Il colloquio

Così è svanito il sogno di abbassare le armi. Intervista a Fiamma Nirenstein

Nicoletta Tiliacos

“Non dimenticate le immagini di questi giorni, i ragazzi uccisi”, dice la studiosa dell'antisemitismo e del mondo mediorientale da Gerusalemme, dove sta vivendo la guerra in prima persona

La giornalista Fiamma Nirenstein, studiosa dell’antisemitismo e del mondo mediorientale (Jewish lives matter, uscito nel 2021 per Giuntina, è il suo ultimo libro) sta vivendo in prima persona, a Gerusalemme, la nuova esplosione della guerra mossa da Hamas contro Israele. Ancora una volta lo stato ebraico è sotto attacco, ma stavolta, spiega Nirenstein al Foglio, “insieme con ciò che ritorna sempre uguale c’è qualcosa di nuovo. Di uguale c’è che abbiamo un nemico che ci vuole morti almeno dagli anni Trenta, cioè ben prima del 1948, anno di fondazione di Israele. La ricerca dell’annientamento di Israele ha avuto tante facce diverse, ma la più eloquente, fino a oggi, è stata la seconda Intifada, scoppiata subito dopo l’incontro che avrebbe dovuto inaugurare una nuova stagione di pace. La speranza che accolse gli accordi di Camp David si spense nell’ecatombe di duemila ebrei ammazzati sugli autobus e nei ristoranti. Da quel momento in poi, ogni volta che sembrava disegnarsi una possibile soluzione di quello che chiamiamo impropriamente conflitto israelo-palestinese, l’esito è stato identico”.

Perché impropriamente? “Perché Israele il conflitto non l’ha mai cercato, non ha mai iniziato una guerra, non ha mai intrapreso operazioni che non fossero giustificate da un pericolo forte e attuale per la popolazione. Quanto sta accadendo in queste ore in Israele è l’ennesima manifestazione di un odio religioso e ideologico che studiosi insigni come Bernard Lewis hanno classificato come ‘nazificazione’ del pensiero islamico, cioè di quella particolare deriva che vediamo all’opera nell’antisemitismo genocida propugnato dal capo di Hamas, con i suoi inviti ai palestinesi perché uccidano con entusiasmo più ebrei possibile. La Carta di Hamas non è mai stata cambiata su questo punto, così come non è mai stata cambiata, sul medesimo punto, la Carta dell’Olp. All’interno di questi documenti, ancora oggi, ritroviamo la stessa semina ideologica che porta all’odio genocida con cui Israele ha a che fare da settantacinque anni, mentre tenta di trovare un discorso comune con chi non sa e non vuole fare nessun discorso che preveda l’idea di pace, di convivenza, di tolleranza, di dialogo tra le religioni”. 

Fin qui la vicenda di questi giorni segna una ripetizione di quello che è già avvenuto altre volte. “Ma il 7 ottobre ha segnato anche qualcosa di diverso: almeno ai miei occhi - spiega Nirenstein - stabilisce l’impossibilità, per un popolo che lo sogna da sempre ma anche per l’Europa e per l’occidente, di poter abbassare le armi per occuparci di problemi climatici o di parità di genere. Fa sorridere, di un tragico sorriso, pensare che in Israele avevamo passato gli ultimi giorni a discutere furiosamente sulla possibilità per uomini e donne di pregare insieme nelle celebrazioni di Yom Kippur. Una polemica che ha toccato punti di aggressività assurda, perché uomini e donne in Israele hanno gli stessi diritti, e se qualcuno vuole continuare a pregare separato come è uso da migliaia di anni dovrebbe avere la facoltà di farlo, così come chi vuole pregare insieme. Ma l’ambizione degli ebrei di costruire un paese moderno, libero dai pregiudizi, woke, è stata sovrastante, ed è atroce e incredibile ora pensare alla lista dei bambini morti negli ultimi tre giorni; quando dico bambini, penso ai ragazzi di diciotto, diciannove, vent’anni. Bisogna andarsi a leggere la lista dei loro nomi sul sito dell’esercito israeliano. Scannati, fatti a pezzi, rapiti in vista di qualche futuro scambio con i terroristi. E hanno sbagliato tutti a litigare sulla riforma giudiziaria, hanno sbagliato quelli che la volevano e quelli che non la volevano. Bisognava occuparsi soltanto del diritto di quei ragazzini a sopravvivere, del diritto delle loro madri ad averli ancora con sé. Il popolo ebraico è un popolo in pericolo di vita, dobbiamo tutti tenerlo a mente. In Israele e in tutta Europa. Il modello adottato contro di noi è lo stesso dei russi che hanno invaso l’Ucraina. Hamas progetta e pratica una dittatura autocratica che si arroga la facoltà di violare tutte le regole internazionali: razzie casa per casa, bambino per bambino, vecchi portati via con le loro badanti, aggressione e strage contro una folla di ragazzi che ballano. Ma nessuno deve sentirsi al sicuro, perché questo atteggiamento può riguardare Hamas, Hezbollah, Iran, Russia, Cina… mentre dall’altra parte c’è il mondo delle democrazie: Stati Uniti, Europa, Israele e paesi del Patto di Abramo (compresa l’Arabia saudita, che ancora non c’è e che spero si salvi dal ricatto di questi giorni). Questo mondo deve sbrigarsi ad agire, avendo presente che il rischio è molto più grande di quanto non si immagini”. 

Quindi la minaccia mortale contro Israele è anche una dichiarazione di guerra a tutto il mondo libero e al nostro modo di vivere. Perché tanta reticenza a prenderne atto? "Per paura o per non turbare il business, senza contare la giustificazione del pacifismo, della ricerca del dialogo e della tolleranza. Nobili cause che però, guarda caso, dimenticano puntualmente (parlo di certi movimenti per i diritti umani e anche del femminismo) gli orrori subiti dalle donne nel mondo musulmano, in Afghanistan, in Iran e altrove". 

Fiamma Nirenstein è convinta che "magari solo tra un paio di giorni, quando ci sarà l’attacco contro Gaza per fermare Hamas, si ridarà fiato alle trombe all’antisemitismo. Scommettiamo che sarà così? Pensiamo all’uso di termini come rappresaglia o ritorsione, applicato al diritto di Israele di andare a colpire a Gaza le rampe da cui partono le migliaia di razzi che arrivano sulla sua gente. Lo leggiamo già. Ma non è ritorsione, è legittima difesa! Tuttavia, appena Israele fa valere il proprio diritto all’autodifesa, l’unanime sostegno comincia a rovesciarsi in biasimo e ludibrio, come sempre. Non si tratta qui di sostenere una parte contro l’altra, ma di sostenere la parte che ti consente di vivere secondo le regole della libertà, della democrazia, della civiltà. Se chiunque ha diritto di combattere per la propria sopravvivenza ma quel diritto a Israele è negato, questo si chiama in un solo modo: antisemitismo". 

Per questo, conclude Fiamma Nirenstein, “chiedo a tutti di non dimenticare con chi abbiamo a che fare. Non dimenticate le immagini di questi giorni, non dimenticate come sono stati fatti a pezzi i nostri soldati, non dimenticate le case assediate, le persone rapite e deportate, non dimenticate i ragazzi uccisi”. 

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