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lo stato dell'unione

Perché von der Leyen minaccia dazi alle auto elettriche cinesi

David Carretta

L'annuncio di un'inchiesta anti sovvenzioni sui veicoli prodotti a Pechino potrebbe essere una mossa per garantirsi il sostegno di un grande elettore più grande di molti altri: la Francia

Strasburgo. Il discorso di Ursula von der Leyen sullo stato dell’Unione non passerà alla storia come il più ispirato per qualcuno che potrebbe candidarsi a un secondo mandato alla testa della Commissione. Ma potrebbe comunque entrare nella storia per il rischio di una guerra commerciale con la Cina, dopo l’annuncio di possibili dazi contro le auto elettriche cinesi. “La Commissione sta avviando un’inchiesta anti sovvenzioni sui veicoli elettrici in provenienza dalla Cina”, ha detto von der Leyen davanti al Parlamento europeo: “L’Europa è aperta alla concorrenza. Non a una corsa al ribasso”. Secondo von der Leyen, “i mercati globali sono inondati di auto elettriche cinesi a basso prezzo. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi di stato”. La Commissione ritiene che Pechino stia attivamente gonfiando le esportazioni verso l’Ue: la sua industria dell’auto elettrica è in sovracapacità, ma riceve fondi diretti, prestiti agevolati e tassazione privilegiata. In tre anni la quota di mercato delle auto elettriche cinesi nell’Ue è passata da praticamente nulla all’8 per cento. Tra due anni potrebbe raddoppiare, con danni ingenti per i costruttori europei. Se l’inchiesta confermerà i sospetti, tra nove mesi l’Ue potrebbe imporre dazi anti sovvenzioni del 20 per cento. 


L’annuncio di von der Leyen sui potenziali dazi alla Cina potrebbe essere una mossa per garantirsi il sostegno di un grande elettore più grande di molti altri, quando nel giugno del 2024 i capi di stato e di governo dovranno scegliere il prossimo presidente della Commissione. Da mesi la Francia di Emmanuel Macron sta facendo pressioni sull’esecutivo comunitario per imporre dazi sulle auto elettriche importate dalla Cina. Gli appelli in arrivo da Parigi non erano stati ostacolati per l’opposizione dell’industria tedesca dell’auto. Volkswagen ha trasferito in Cina buona parte della produzione di auto elettriche. Altri grandi costruttori temono rappresaglie commerciali di Pechino. In un comunicato l’associazione dell’industria dell’automotive tedesca ha implicitamente criticato von der Leyen: “I danni devono essere attentamente valutati e si deve tenere in conto l’interesse comune. Si devono anche considerare possibili reazioni dalla Cina”. Il ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck, è più entusiasta. “Si tratta di concorrenza sleale, non di tenere auto efficienti convenienti fuori dal mercato dell’Ue”, ha spiegato Habeck. “E’ una decisione molto positiva”, ha spiegato il suo collega francese, Bruno Le Maire. I nove mesi di tempo che la Commissione ha per prendere una decisione sui dazi scadono appena dopo le elezioni europee, quando i leader dell’Ue dovranno decidere chi presiederà la prossima Commissione.

Von der Leyen non ha svelato le intenzioni sul suo futuro. Alcuni ritengono che potrebbe trasferirsi alla Nato, quando nell’ottobre del 2024 scadrà il mandato dell’attuale segretario generale, Jens Stoltenberg. Ma, al Parlamento europeo, diversi deputati hanno visto nel discorso sullo Stato dell’Unione un posizionamento in vista di un altro mandato alla testa dell’esecutivo dell’Ue. La presidente della Commissione ha compiuto una piccola svolta sul Green deal per riavvicinarsi al suo partito, il Ppe, che da mesi insegue i partiti delle destre sovranista e anti europea. Pur non avendo usato l’espressione “pausa”, von der Leyen ha annunciato una “nuova fase” con maggiore attenzione sulla competitività dell’industria, sui costi per gli agricoltori e sulle conseguenze per le famiglie. Sul Green deal e la biodiversità “abbiamo bisogno di più dialogo e meno polarizzazione”, ha detto la presidente della Commissione. Von der Leyen ha anche strizzato l’occhio a un altro grande elettore, Giorgia Meloni, adottando il suo approccio sulle politiche migratorie: più accordi con i paesi terzi sul modello della Tunisia e nuove leggi contro i trafficanti di esseri umani. Anche la scelta di Mario Draghi – “una delle menti europee più brillanti nel settore economico” – per redigere un rapporto sul futuro della competitività europea è vista in chiave Italia.

Più in generale, Von der Leyen ha accuratamente evitato di criticare i governi e tralasciato tutti i temi su cui sono prevedibili scontri tra i ventisette. Ha lasciato intendere di essere contraria a fissare una data obiettivo – il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha proposto il 2030 – per l’allargamento a Ucraina, Moldavia e paesi dei Balcani occidentali. “L’adesione è un processo fondato sul merito. E la Commissione difenderà sempre questo principio”, ha detto von der Leyen. Sulla riforma del trattato per consentire all’Ue di funzionare anche con 35 membri è rimasta ambigua. Si farà “se e quando sarà necessario”, ma “non possiamo e non dobbiamo attendere di modificare i trattati per avanzare”, ha spiegato von der Leyen citando gli esempi dell’adozione (all’unanimità) del debito comune di NextGenerationEu e degli acquisti congiunti di vaccini e gas. Sulle risorse finanziarie necessarie per l’allargamento – il bilancio 2027-35 – si è limitata a dire che occorre “riflettere”.