Le forze di sicurezza pattugliano le strade di Tripoli dopo gli scontri di questi giorni (foto LaPresse)

Scontri e illusioni

Ita voleva volare in Libia, ma lì si combatte ancora. E i turchi si prendono un porto

Luca Gambardella

Il sogno di una rotta aerea su Tripoli infranto dalla legge delle milizie, che si fanno la guerra per beghe di potere. Ankara intanto si prepara a costruire una base militare davanti alle nostre coste

Un mese fa, di ritorno dalla Conferenza di Roma promossa dal governo Meloni, il premier libico Abdulhamid Dabaiba aveva postato sui social una foto con in bella mostra il suo biglietto aereo Roma-Tripoli. Era il primo volo commerciale effettuato dalla nostra compagnia di bandiera Ita verso la capitale libica dopo anni di chiusura della rotta a causa della guerra. “Entro settembre riprenderanno i voli”, aveva annunciato Dabaiba. Un impegno che rischia di restare disatteso, visto che fino a due giorni fa l’aeroporto di Mitiga è finito al centro di nuovi scontri armati e decine di voli sono stati dirottati su Misurata. La ricostruzione degli eventi – come spesso accade a Tripoli – è difficoltosa. Mohamed Hamza, comandante di una delle brigate più forti e fedeli al governo, la 444esima, è stato catturato dagli uomini delle Forze speciali di deterrenza, meglio note come Radaa, mentre tentava di imbarcarsi su un aereo diretto al Cairo e in partenza dall’aeroporto militare di Mitiga. La Radaa è l’unità che controlla la sicurezza di Mitiga e dipende dal ministero dell’Interno. E’ comandata da Abdul Raouf Kara, un salafita noto per il suo odio viscerale per “deviazioni” come quella dello Stato islamico e per non disdegnare pratiche poco raffinate come estorsioni e rapimenti. Dall’altra parte, la Brigata 444 dipende direttamente dal ministero della Difesa, retto a interim dallo stesso Dabaiba. Da anni è armata e addestrata dalle Forze armate turche, che hanno identificato nel suo comandante Hamza l’uomo giusto su cui puntare. Anche lui è salafita, ha combattuto con valore contro le forze dell’est comandate da Khalifa Haftar, ma è anche considerato un abile mediatore e nell’ultimo anno ha guadagnato influenza militare e politica. Secondo alcune fonti locali, al momento dell’arresto Hamza stava per andare al Cairo per un summit segreto con il figlio del generale Haftar, Saddam, l’astro nascente della Cirenaica.  

 

A invitarlo sarebbe stato Abdul Ghani al Kikli, meglio noto come “Gnewa”, uno dei militari più influenti e potenti di Tripoli e comandante dell’Apparato di supporto alla stabilità, un’altra milizia che nominalmente dipende dal Consiglio presidenziale. Secondo un’ipotesi tutta da verificare, alla base dell’arresto di Hamza – poi rilasciato mercoledì sera grazie alla mediazione di Gnewa – ci sarebbe un complotto che avrebbe ordito con Haftar per rimuovere Dabaiba. Un’altra versione vuole invece che la milizia Radaa abbia voluto mandare un avvertimento per convincere Hamza a ridimensionare le sue aspirazioni politiche e militari. La sua 444esima brigata ha da poco ottenuto dal governo di Dabaiba la gestione della sicurezza e della ricostruzione dell’Aeroporto internazionale di Tripoli, in disuso dal 2014, e questo potrebbe avere indispettito la Radaa che controlla quello di Mitiga.  

 

Non sarebbe la prima volta che i capricci fra milizie per il controllo degli aeroporti di Tripoli portano a grandi scontri armati – sebbene quello di questi giorni, con un bilancio di  55 morti e centinaia di feriti, sia stato il più drammatico degli ultimi anni. Lo scorso gennaio, la Radaa fece ricorso alle armi contro un’altra milizia, la 111esima brigata, perché quest’ultima si era rifiutata di cederle la gestione dei lavori di ristrutturazione dell’Aeroporto internazionale di Tripoli. Uno sgarbo strategico, secondo Kara, che imbracciò i fucili per il tempo necessario a ristabilire la sua legge.  

 

In Libia vince chi controlla le grandi infrastrutture, e se l’ipotesi di volare da Roma a Tripoli oggi potrebbe essere resa sconsigliabile dagli ultimi sviluppi nella capitale, anche sul fronte della gestione dei porti non arrivano buone notizie. Domenica scorsa a Tripoli una milizia non meglio identificata ha rapito Khaled al Tawati, il ceo della General National Maritime Transport Company. Si tratta di una delle principali società pubbliche libiche che si occupa del trasporto di petrolio e gasolio via mare. Dopo il rapimento, i dipendenti sono entrati in sciopero per protestare contro l’incapacità del governo di liberare Tawati e hanno bloccato ogni operazione relativa all’importazione e all’esportazione di petrolio e gasolio. Un motivo di instabilità in più, che non è nulla però se confrontata con quanto sta accadendo solo un centinaio di chilometri più a est, nella cittadina portuale di al Khoms. Lì, Dabaiba ha appena ceduto alla Turchia la gestione in leasing per i prossimi 99 anni del porto commerciale. L’ambizione di Ankara, assai poco segreta a dire il vero, è quella di costruire una base militare che dovrebbe assorbire in buona parte il porto commerciale. La decisione ha fatto infuriare i residenti di Khoms, che sono scesi in strada a protestare perché temono di perdere il lavoro. Ieri, il portavoce del governo ha provato a placare la rabbia smentendo l’accordo con la Turchia, ma è difficile che Dabaiba faccia un passo indietro: buona parte degli apparati di sicurezza che lo circondano e lo proteggono dipendono militarmente proprio dai turchi, che già da anni ormeggiano a Khoms le loro fregate che pattugliano le acque territoriali libiche. Ora però la costruzione di una vera base militare, proprio di fronte alle coste italiane, sarebbe una questione diversa. Un altro punto per Ankara, che potrebbe far passare la voglia agli imprenditori italiani di prendere l’aereo per andare a investire a Tripoli. 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.