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il racconto

Il missile russo sulla cattedrale e il collare di Athina: diario da Odessa

Anna Golubovskaja

"Nel momento in cui le bombe hanno distrutto la chiesa stavo dormendo. Sono saltata in piedi". Tra passeggiate e orrori, storie di vita quotidiana in una città in bilico tra speranza e paura 

Ogni giorno inizio con una passeggiata con Athina, la mia cagnolina allegra. Andiamo in una piazzetta, salutiamo venditori di negozietti, altri cani noti e ignoti lungo la strada.

Mio padre è malato. Queste passeggiate sono diventate l’unica uscita da casa. Sabato l’infermiera che viene la mattina a cambiare la flebo mi ha dato un’ora di libertà. 

Col nostro caro amico, Misha Poizner, sono andata al mercato di Starokonny, la Mecca del sabato di Odessa. Misha a Moldavanka è un po’ come Benja Krik, gli manca di essere un bandito.

Per 10 grivne (0,25 euro) ho comprato un libro di Konstantin Paustovsky dal titolo dickensiano, “Tempo di grandi speranze”, su Odessa nel 1918-1920. Ne furono tirate centomila copie negli anni sovietici. Ogni volta che ne trovo uno lo compro e lo regalo a qualcuno che ama Odessa.

Con Misha si cammina svelti, lui dà un’occhiata, saluta tutti, tutti lo salutano. Compra cimeli odessiti, specialmente ebraici. Ne è il più grande custode. E’ passato un uomo basso e robusto, e l’ho riconosciuto: un bambino molto più giovane del cortile in cui sono cresciuta. Sì, è Fima Bella! Era appena arrivato. Era il più piccolo e spaventato. Strisciava come un gattino. I bambini infierivano: lo attaccarono con un grido di guerra. Lui rispose con un grido di soccorso: “Bella, Bella!”. Subito, come se stesse già aspettando, una donna corse fuori, enorme e dai capelli rossi, come uno scoglio nel mare. Bella è un nome ebraico comune a Odessa. Bella iniziò a imprecare così terribilmente che persino l’incallito bullo tredicenne Fofa non riuscì a escogitare una difesa. Fima, come un pollo nel piumaggio di una gallina, si seppellì nella sua gonna. Poi il grido di “Bella, Bella!” si diffuse nel cortile. E Fima è cresciuto con il soprannome di “Fima Bella”.

Misha sta per ricevere dalla tipografia il suo nuovo libro, dedicato all’artista odessita Leonid Pasternak, il padre di Boris. Grande evento: il libro contiene racconti di questa famiglia che nessuno ha conosciuto prima di Misha.

Dopo siamo arrivati ​​al Nuovo Mercato. A Odessa, invece di “comprare da mangiare” si dice “fare un mercato”. E’ un rito sacro: sempre dalla stessa coppia sorridente del villaggio bulgaro per i pomodori – tante varietà. Tieni un’anguria tra le mani, lodala, ma decidi che la stagione non è ancora arrivata e rimanda l’acquisto ad agosto. C’è un’anziana nel Mercato Nuovo, ha 96 anni ed è a capo di una dinastia che vende verdure in salamoia. Mi ricorda come la nipote della dottoressa Golubovskaya, era una paziente di mia nonna. Questa matrona offriva sempre a mia figlia un piccolo cetriolo. Adesso non ricorda più esattamente chi c’è davanti a lei: io, o mia figlia, ma vedendomi da lontano mi tende il suo regalo: “Mangia, mangia, piccola, non sei ancora sposata? E’ ora, è ora, quanto è diventata bella”.

Poi c’è stata una giornata piena di faccende domestiche, e nel pomeriggio sono riuscita a lavorare. Studio l’archivio del fotografo di Odessa dell’Ottocento Joseph Migursky. Ho guardato le fotografie di Migursky. Compresa un’istantanea del Palazzo Tolstoj sul ponte Sabaneyev. 

Notte, momento difficile, se la famiglia è malata. Il padre dorme poco, tossisce, soffoca, è tormentato dalla sete, dai dolori. Dormo a intervalli. Ma nel momento in cui il missile ha distrutto la cattedrale, stavo dormendo. Sono saltata in piedi.

Il fragore era tale che sembrava che la casa crollasse. La cattedrale è vicina. E dietro questa esplosione altre, un po’ più vicine, un po’ più lontane – ma vicine.

Non si parla di andare al rifugio, il padre non si alza dal letto. Spesso non sente le esplosioni, la sordità ha i suoi vantaggi. Ma queste le ha sentite proprio come noi. 

Il più delle volte durante un’incursione calmo Athina, si nasconde in un angolo, davanti alla porta, mi siedo con lei, le parlo e la accarezzo. Questa volta l’ho tenuta in braccio, ho preparato il tè, ho cercato medicine. E tenuto d’occhio il telefono.

La notizia della cattedrale è stata tremenda. Non perché io sia credente – non lo sono. E non la visito spesso, è stata ricostruita vent’anni fa dopo che Stalin la fece saltare, ha icone nuove e un’atmosfera piuttosto ufficiale. Ma che la cattedrale della città, per il cui restauro sono stati raccolti soldi da tutta Odessa, sia stata nuovamente distrutta! Non ho dubitato dal primo minuto che si trattasse di un atto di intimidazione, non di un incidente.

Ogni notte, durante gli attacchi, guardo le luci verdi “in rete”. “Come stai?”. Qualcuno ha paura da solo sotto i razzi. Ho visto una luce verde: la mia amica traduttrice Yulia. Vive nella casa dei Papudov (nel centro di Odessa le case si chiamano ancora coi nomi dei proprietari pre rivoluzionari, i vecchi abitanti lo capiscono), la finestra e il balcone si affacciano sulla cattedrale.

Le scrivo: sei viva? Viva. Finestra e porta del balcone in frantumi. Ma né lei né la sua piccola figlia sono ferite. Verrò da voi dopo il coprifuoco. Mi addormento per un’ora e mezza.

Cinque del mattino. Esco e arrivo nella piazza. Non puoi entrare, i genieri stanno lavorando. Vado da Yulia. Sua figlia si è appena addormentata. Faccio qualche scatto. Yulia per miracolo si era addormentata nella stanza dei piccoli. E poi si sono sedute in bagno. E’ stato spaventoso.

Sono uscita e ho camminato per pochi isolati fino a Gogol’. Nell’area della Discesa Militare sono state distrutte delle case d’abitazione. Le strade sono disseminate di vetri, scintillano al sole del mattino. Sono andata alla Casa degli Scienziati, l’ex palazzo dei Tolstoj (non lo scrittore). Le celebri vetrate colorate erano rotte, le finestre rotte. Dal giardino sale il fumo.

Una guardia notturna è morta: un razzo ha colpito una casa vicina. C’era un ristorante in giardino, è andato a fuoco. C’è del sangue sul sentiero tra i detriti bruciati.

Nel palazzo ho seguito la portiera, è appena arrivata. Ha aperto la porta e mi è letteralmente svenuta tra le braccia. Tutto è distrutto: il pianoforte suonato da Franz Liszt, specchi e lampadari veneziani, mobili, quadri. Il palazzo non era stato danneggiato né durante la rivoluzione né negli anni di Stalin. I nazisti non lo saccheggiarono durante la Seconda guerra. 

Ho fatto delle foto. Sono tornata a casa. Mentre le pellicole si sviluppavano, ho scritto su Facebook. Facebook è utile. Si sono trovati attivisti che hanno portato fuori i detriti, un restauratore di mobili, uno di vetrate.

La cattedrale è il biglietto da visita ufficiale della città. Il Palazzo Tolstoj è l’anima preziosa di Odessa.

La scuola intitolata a Stolyarsky, dove hanno studiato Ojstrach padre e figlio, e Seidel, e Milstein e tutti i famosi violinisti, la gloria della scuola di musica di Odessa, ora è senza finestre. Gli edifici residenziali sono stati danneggiati. Più tardi, nel pomeriggio, ho visto ciò che restava di una gran casa in Preobrazhenskaya. Lacrime, confusione, paura che i muri rimasti crollino.

Per la prima volta la sera, tutti si scrivevano: è spaventoso aspettare la notte. Ho letto che le persone raccoglievano documenti in uno zaino.

Non ho raccolto nulla. Per ogni evenienza, ho trovato solo una medaglia per cani: nome e numero di telefono di Athina, mettigliela sul collare.

Nel caso in cui rimanga senza di noi, allora non un bersaglio senza nome, ma un cane con un bel nome.

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