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come nasce il furore nazionalista

Verità e balle sul nazismo ucraino. La vita e il mito di Stepan Bandera

Adriano Sofri

L’ammirazione per il fascismo, l’antisemitismo, l’alleanza cercata e rinnegata col nazismo. Un padre prete giustiziato dai sovietici, tre sorelle deportate in Siberia, due fratelli morti ad Auschwitz, lui avvelenato dal Kgb. La storia

Un anno e mezzo dopo, certi luoghi comuni vengono ripetuti tal quali. Fra i più comuni, il nome di Stepan Bandera e quello dei suoi seguaci, i “banderovtsy” - banderiti. E’ l’evocazione più proverbiale del “nazismo” ucraino. Bandera è stato, negli anni fra le due guerre e poi nel corso della Seconda guerra, il leader più di spicco dell’indipendentismo nazionalista ucraino. La sua ideologia si è largamente ispirata al fascismo italiano, e ha poi cercato nel legame con il nazismo tedesco, che aveva dalla sua la maggior potenza e l’egemonia sui territori della Polonia e dell’Europa centrale, l’occasione necessaria alla formazione di uno Stato ucraino, che non avrebbe mai trovato. La connotazione fascista del nazionalismo radicale ucraino è certa, ma non basta a rendere conto del mito di Bandera e della sua reviviscenza. Quel mito è cresciuto ed è durato in alcuni per la caratterizzazione fascista, in altri nonostante. Lo stesso Bandera, assassinato da un agente del Kgb sovietico nel 1959, a Monaco di Baviera, quando era diventato un oltranzista atlantista nella Guerra fredda, si adoperò per aggiustare la storia propria e del suo movimento. Aveva 50 anni quando morì avvelenato, nel terzo attentato dei servizi sovietici. Prima della Seconda guerra, aveva trascorso alcuni anni nelle carceri polacche. Negli anni della Seconda guerra, quelli dell’alleanza iniziale con la Germania nazista, “non c’era mai”: li trascorse in gran parte in un lager tedesco, sia pure in una prigionia attenuata – un modo per tenerlo a bada e insieme a disposizione. Suo padre fu condannato a morte da un tribunale sovietico e fucilato nel 1941. Due suoi fratelli morirono nel campo di Auschwitz. Un terzo in Ucraina nel 1944. Due sue sorelle furono deportate in Siberia, una terza in Kazakistan. Questi dettagli rendono l’idea di una storia problematica e stretta fra condizionamenti inesorabili. 

La biografia più ampia e accurata, e severa, di Bandera, resta quella dello storico polacco-tedesco Grzegorz Rossolinski-Liebe (è nato nel 1979). “Stepan Bandera. The Life and Afterlife of an Ukrainian Fascist. Fascism, Genocide and Cult”, Stuttgart 2014. Non c’è in italiano, ha 656 pagine, dunque faccio qui un servizio riassumendola, e spesso meramente traducendola. Della discussione che suscitò potremo rioccuparci. Rossolinski ricorda l’opposizione virulenta incontrata da parte dell’estrema destra ucraina, che vede Bandera come l’eroe del “movimento di liberazione” nemico dei sovietici e dei tedeschi. “Questa monografia – avverte – non ignora che le componenti ucraine coinvolte nella violenza etnica e politica divennero le vittime del regime sovietico. Di più, lo studio non suggerisce che tutti gli ucraini che militarono nell’OUN (l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini, fondata nel 1929) o nell’UPA (l’Esercito insurrezionale ucraino, ala militare dell’OUN, fondata nel 1942) fossero fascisti o nazionalisti radicali”. 

Bandera è nato il 1° gennaio del 1909 a Staryi Uhryniv, un paese della Galizia “rutena” allora sotto l’impero austro-ungarico. Suo padre, Andrii (1882-1941), è un prete greco-cattolico e un fervido nazionalista. Sua madre, Myroslava, è anche lei figlia di un prete greco-cattolico: muore nel 1921,  a 31 anni, di tubercolosi. Altri leader nazionalisti sono figli di preti greco-cattolici, Lenkavs’kyi, Stets’ko, Matviieiko… La popolazione è in larghissima maggioranza di contadini ucraini, al servizio di padroni terrieri polacchi. E i preti sono i più vicini alle famiglie contadine, i più sospetti agli occhi delle autorità polacche. (Come fra le minoranze slovena e croata nell’Italia fascista). La Galizia irredentista è chiamata “il Piemonte ucraino”. Ucraina orientale e occidentale si somigliano quanto alla composizione sociale, essenzialmente contadina, ma si differenziano per il legame della prima con la Russia. Stepan studia a casa perché il maestro del paese è richiamato alle armi. Farà gli studi superiori a Kalush. Canta, suona chitarra e mandolino. Pratica gli sport, gli scacchi. Vanterà di non aver mai fumato né bevuto. Bambino, si infila spilli sotto le unghie per addestrarsi a resistere alla tortura che gli spetterà dai polacchi – come l’eroina Basarab. O si brucia le dita. Mentre lo fa si intima: “Confessa!”, e si risponde: “Non confesso!”. (La prima martire eroina dell’Organizzazione militare ucraina, Uvo, si chiamava Ol’ha Basarab. La notte del 12 febbraio 1924 si impiccò in una cella per non denunciare i suoi compagni, o forse morì per il trattamento subito da parte dei polacchi che la interrogavano).

Nella Prima guerra il fronte austro-russo tagliò in due il paese di Staryi Uhryniv. La casa dei Bandera fu parzialmente distrutta. L’adulto Stepan raccontò che, benché avesse 8 anni, aveva capito allora che gli ucraini erano destinati a trovarsi su ambedue i lati del fronte e a combattere gli uni contro gli altri. E’ piccolo, magro. Ha un aspetto ordinario ma un’efficace oratoria, e una determinazione fanatica. Nel 1928 si iscrive alla facoltà di Agraria a Lwów-Lviv (Leopoli), ma la passione politica prevale. Nel 1929 si iscrive all’OUN. Severo nelle circostanze politiche, viene descritto socievole e scherzoso in privato. Un coetaneo lo ricorda camminare nei Carpazi parlando agli uccelli e pregando gli alberi. Oppure mettersi addosso una coperta, appollaiarsi su un albero e tenere un discorso proclamandosi Mohandas Gandhi. La cosa non dev’essere molto solenne perché un altro sale sull’albero, si proclama un gorilla e si mette a spidocchiarsi. Scala rapidamente la gerarchia dell’OUN. E’ a capo della propaganda nell’Esecutivo interno (non in esilio) guidato dal suo compagno di scuola Okhrymovych, il quale muore nel 1931 per le torture subite in prigione. Bandera potrebbe succedergli, ma è finito anche lui in galera. Dal 1933 è il leader. Gli attribuiscono una inclinazione a militarismo, maniere spicce, cospirazione. E moltiplicazione degli omicidi politici, e promozione di un movimento partigiano nelle foreste. Dal 1932 è arrestato, molte volte. A volte arrestati insieme, lui e suo padre, per l’attivismo nazionalista. Il padre si è battuto per uno Stato ucraino durante e dopo la Prima guerra. E’ stato deputato nella effimera Repubblica Popolare dell’Ucraina occidentale, dalla fine del 1918 all’inizio del 1919, e cappellano militare. Una rivendicazione etnicista, fondata sulla lingua, dell’Ucraina agli ucraini, “dai Carpazi al Caucaso”, era stata rivendicata da Mykola Mikhnovs’kyi (1873-1924). Fra i suoi Dieci comandamenti per il Partito nazionale ucraino, 1904, figurava quello: “Non sposare una donna straniera” (rivolgendosi, al solito, all’ucraino maschio, l’ucraina donna è l’accessorio da sposare) “perché i tuoi figli diverranno i tuoi nemici…”. Nemici erano tutti: russi, polacchi, ungheresi, rumeni ed ebrei, “fino a quando ci comanderanno e ci sfrutteranno”. E nemici anche gli ucraini, la maggioranza, che parlavano russo, o un dialetto fra russo e ucraino. 

Fino alla Prima guerra gli ucraini vissero nell’impero asburgico con altre nazionalità, i polacchi, gli ebrei e i romeni, e nell’impero russo, con russi, ebrei e polacchi. Dopo la Prima guerra gli ucraini fallirono nello sforzo di costituire uno Stato, come i curdi nel vicino oriente. Gli ucraini, che avevano combattuto su entrambi i fronti, alla Conferenza di pace 1919 vengono ignorati. Il premier britannico Lloyd George dice: “Ho visto un ucraino solo una volta. E’ l’ultimo che ho visto e non sono certo di volerne vedere ancora”. Fra le due guerre, gli ucraini vivono in quattro stati differenti: 26 milioni nella Repubblica socialista sovietica Ucraina, 5 milioni nella Seconda Repubblica polacca stabilita nel 1918, mezzo milione nella Repubblica cecoslovacca e 800.000 nella Grande Romania. Il movimento nazionale ucraino radicato nella Galizia orientale era più debole di quelli polacco e russo. La situazione cambiò quando entrò in scena l’OUN, coinvolgendo i giovani e diventando un movimento nazionalista di massa simile a quello ustascia. I membri dell’OUN vivevano in Polonia o in esilio, e non avevano influenza sulla politica dell’Ucraina sovietica. Pur esaltando la sua aspirazione nazionale, patriottica e romantica, l’OUN fu un tipico movimento fascista nell’Europa centro orientale. E mirò a stabilire uno Stato contrassegnato da una dittatura fascista.

Nel 1918 si era costituita la Seconda Repubblica polacca. In Polonia, il maggior partito ucraino era l’Alleanza democratica nazionale ucraina, Undo, che non riconosceva il governo polacco ma partecipava alle elezioni. Gli ucraini erano la più larga minoranza, ed erano la netta maggioranza nella zona sudorientale, la Galizia già austroungarica e la Volinia già russa. Le città più grandi erano però abitate soprattutto da ebrei e polacchi. La Polonia perseguiva un’assimilazione senza concessioni. La denominazione di “ucraino” era vietata, anche nelle scuole private ucraine. I maestri erano gli strumenti primi: in un villaggio il maestro polacco che aveva sostituito quello ucraino fu ucciso – come successe nel 1930 al maestro siciliano Sottosanti nella slovena Vrhpolje, che ho studiato nel mio libro “Il martire fascista”. Rossolinski ricorda che “nel 1939 politici polacchi a Lublino parlavano di ‘sterminio’ degli ucraini. Negli ultimi anni 30 la maggioranza degli ucraini in Polonia cominciò a considerare la Germania nazista come un possibile liberatore. Dopo il 1939 anche i politici ucraini democratici cominciarono a collaborare con la Germania nazista e a vedere l’OUN come una importante forza di liberazione. Dunque tutte le forze ucraine in esilio o in Polonia si orientavano verso la Germania nazista. Speravano che la Germania avrebbe schiacciato la Polonia e dato agli ucraini l’occasione di istituire uno Stato. Già dopo il patto di Monaco, 29 settembre 1938, cercarono di istituire uno Stato carpato-ucraino in territori appartenuti alla Cecoslovacchia. I tedeschi non ne vollero sapere e li diedero all’Ungheria. Gli ucraini delusi non rinunciarono però a sperare. Iniziata la guerra, la fiducia che i connazionali orientali condividessero il loro progetto andò anch’essa delusa. Presero atto dell’indisponibilità degli ucraini orientali al nazionalismo razzista e al fascismo. L’OUN aveva un’ideologia improntata all’ultranazionalismo e all’antisemitismo e al razzismo, e a un’avversione intransigente al socialismo e alla democrazia. Nell’OUN si misurarono presto due posizioni. Agivano come sempre rivalità personali, e un passaggio di generazioni: dai nati attorno al 1890 ai nati attorno al 1910. Rossolinski attribuisce ai più anziani, che hanno sperimentato la brutalità della Prima guerra e vivono in esilio, una renitenza alla violenza estrema cui inclinano i più giovani. A capo dei primi è Andrii Mel’nik, a capo dei secondi Bandera. Dalle loro iniziali il movimento si scinderà in OUN-M e OUN-B. Ma ambedue sono attratte dal fascismo e disposte all’alleanza col nazismo. In una lettera a Joachim von Ribbentrop del 2 maggio 1938, Mel’nik descriveva l’OUN come “ideologicamente affine ai movimenti in Europa, specialmente al nazionalsocialismo in Germania e al fascismo in Italia”.

Mel’nik aveva rappresentato l’OUN nell’Italia fascista, che l’aveva tenuto a balia come gli affini ustascia croati di Ante Pavelic, fondati nel 1920. Militanti OUN e ustascia furono addestrati insieme nei campi paramilitari patrocinati da Mussolini. Un fratello di Stepan Bandera, Oleksandr’ era venuto a Roma nel 1933 con una borsa del governo italiano. (Oleksandr’ si imparentò, pare, con Galeazzo Ciano). Dopo che l’OUN interna di Bandera assassinò il ministro dell’Interno polacco Pieracki, suscitando una risonanza internazionale clamorosa, Mussolini fece confinare i membri OUN e ustascia in Sicilia. Gli OUN stettero a Tortorici fino al giugno 1937. Il 27 agosto 1939 si tenne a Roma il Secondo Grande Congresso dei nazionalisti ucraini. Vi fu ufficialmente sancito il Fuehrerprinzip. Il sedicenne Bandera vedeva l’UNDO, il partito legalitario ucraino in Polonia, come un partito “con gli ebrei”, un “partito di Grimbaum”. Il politico ebreo Izaak Gruenbaum nel 1922 aveva fondato il Blocco delle minoranze nazionali presenti nella seconda Repubblica polacca, cui l’UNDO si unì nel 1927. I pregiudizi nazionalisti di Bandera e l’“antisemitismo tradizionale” gli venivano dall’ambiente famigliare e dall’estrema ostilità polacco-ucraina. L’attrazione per il fascismo arrivò nella scuola superiore, quando cominciò a studiare l’ideologo Dmytro Dontsov ammiratore dei fascismi e nemico acerrimo del socialismo, degli ebrei e della democrazia – dopo esser stato marxista. Bandera non aveva contatti con cittadini russi, quelli che i nazionalisti chiamavano “i moscoviti”. Erano il nemico astratto e demonizzato. Quanto agli ebrei, il tradizionale antisemitismo ucraino li considerava agenti dei latifondisti polacchi e sfruttatori dei contadini ucraini. Vi si sovrapponeva l’antisemitismo razzista moderno. per il quale la razza e non la religione è il segno di identità degli ebrei. Lo stereotipo del “bolscevismo ebraico” fu un contrassegno dei giovani nazionalisti attorno a Bandera ancora dopo la scissione dell’OUN-B nel 1940.

Nel 1926 a Parigi un giovane ebreo, Sholom Schwartzbard, aveva assassinato Symon Petliura. Dopo l’Ottobre, Petliura era stato a capo della resistenza a Bianchi e Rossi e della effimera Repubblica Popolare ucraina. Schwartzbard, la cui famiglia era stata decimata nel pogrom di Odessa, rivendicò di aver punito il responsabile dei massacri di ebrei. Fu assolto. La sua assoluzione rafforzò enormemente la propaganda nazionalista ucraina sul “bolscevismo ebraico”. Nel martirologio nazionalista si guadagnarono un posto di riguardo, nel 1932, Vasyl Bilas, 21 anni, e Dmytro Danylyshyn, 25 anni. Dopo una rapina a un ufficio postale, compiuta con altri dieci militanti dell’OUN, e l’uccisione di un poliziotto, furono catturati. Al processo ammisero anche l’assassinio del politico Tadeusz Holowko, nel 1931. Furono impiccati. Stepan trascorre gli ultimi cinque anni prima della Seconda guerra in prigione. Ma era stato un primattore nei processi di Varsavia e Lviv. Il 22 ottobre 1933, in un’operazione preparata da Bandera, il diciannovenne Mykola Lemyk va a uccidere il console sovietico a Lviv, ma sbaglia persona e uccide il segretario. L’attentato è rivendicato come una punizione per la carestia che affama l’Ucraina sovietica, il Holodomor. Volodymyra Bandera, sorella di Stepan, spiegò che a spingerlo erano stati dei parenti scampati al Holodomor a Staryi Uhryniv. Pochi mesi dopo, il 12 maggio 1934, un’altra militante dell’OUN, Kateryna Zaryts’ka, depone una bomba nella direzione del quotidiano Pratsia. La rivendicazione denuncia la linea comunista del giornale ma anche la carestia nell’Ucraina sovietica. (L’episodio, come l’esecuzione di Bylas e Danyshylyn, può richiamare il 1930 dei Quattro giovani di Trieste fucilati a Basovizza: ma a parti invertite, dal punto di vista politico – e soprattutto a geografia invertita. Senza il dispotismo della geografia un’affinità avrebbe potuto sussistere fra Ucraina e minoranza slava sotto il fascismo italiano). 

La mattina del 15 giugno 1934 il ministro polacco dell’Interno, Bronislaw Pieracki, salutò il ministro nazista della propaganda Goebbels, in visita ufficiale. Più tardi, mentre andava a piedi e senza scorta al ristorante, un ventunenne membro dell’OUN, Hryhorii Matseiko, dopo aver fallito l’esplosione di un ordigno, gli sparò due colpi in testa. Poi riuscì fortunosamente a scappare – fino in Argentina, dove sarebbe morto nel 1966. Bandera era stato arrestato il giorno prima dell’assassinio. Ancora il 25 luglio 1934, l’OUN uccise Ivan Babii, il direttore di una scuola superiore ucraina a Lviv. La stampa legalista ucraina che era rimasta riservata sull’attentato al ministro polacco, condannò ora con veemenza gli assassinii perpetrati contro i membri di una stessa nazione. Il metropolita della Chiesa greco- cattolica chiamò gli assassini di Babii “terroristi ucraini” e “nemici della nazione ucraina”. Dopo questa sequela di attentati, i processi tenuti fra il 1935 e il 1936 ebbero un risalto enorme, così come l’aveva avuto il lutto per l’assassinio del ministro.

Il processo di Varsavia a 12 membri dell’OUN, fra 1935 e 1936, fu subito politico. L’accusa, oltre all’omicidio, imputava il separatismo dalla Polonia. Un rilievo spettacoloso lo assunse il rifiuto degli imputati di parlare in polacco, come imponeva la procedura. Mentre il processo era in corso, un quotidiano ucraino accostò le fotografie degli imputati a quelle degli insorti croati, gli ustascia implicati nell’assassinio del re Alessandro I di Jugoslavia e del ministro degli Esteri francese Louis Barthou a Marsiglia il 9 ottobre 1934: i due processi si svolgevano contemporaneamente. Alla fine Bandera fu condannato all’ergastolo. Ma si era messo in luce. Si mise in luce una giovane, Vira Svientsits’ka, che, multata ed espulsa per aver rifiutato di rendere la sua testimonianza in polacco, si diresse verso gli imputati, sollevò il braccio destro e gridò “Slava Ukraini!” E loro risposero. Fu la prima volta del “saluto fascista” in pubblico. La Vira fu condannata a un giorno di cella di punizione. Tre imputati, compreso Bandera, furono in realtà condannati a morte, ma il Parlamento polacco il 2 gennaio di quel 1936 aveva abolito la pena capitale. Dopo la lettura del verdetto Bandera e Lebed’ in piedi sollevarono il braccio destro appena sopra le teste, come avevano imparato dagli italiani, e gridarono Slava Ukraini – e furono espulsi. 

Sulle Wiadomości Literackie, influentissima rivista letteraria polacca, i fratelli e intellettuali polacchi Myeczyslaw e Ksawery Pruszynski pubblicarono articoli che fecero scalpore. Cinque milioni di ucraini, scrissero, vivevano nello Stato polacco e i razzisti polacchi negavano loro perfino il nome. Paragonavano la Polonia di prima del 1914 all’Ucraina contemporanea. E i rapporti polacco-ucraini a quelli britannico-irlandesi e spagnoli-catalani. Era solo l’inizio. Nel 1936 si aprì a Lviv il processo a 23 imputati di appartenenza all’OUN e degli attentati, compreso l’assassinio del segretario sovietico. Questa volta potevano parlare in ucraino. Bandera si dichiarò responsabile di tutti i crimini addebitati, e tenne un discorso finale che per decenni a venire sarebbe stato imparato a memoria dai giovani nazionalisti ucraini. “Poiché in questo processo si è trattato degli assassinii di molte persone organizzati dall’OUN, può apparire che l’organizzazione non abbia a cuore la vita umana… Risponderò che chi è consapevole di poter perdere la propria vita in ogni momento per adempiere alla sua missione, sa apprezzare il valore della vita… La nostra idea è così grandiosa che non centinaia ma migliaia di vite umane devono esserle sacrificate. Ho vissuto per un anno con la certezza che perderò la vita, e tuttavia in tutto questo tempo non ho sentito niente di paragonabile a ciò che ho sentito quando ho mandato altri a una morte certa, quando ho mandato Lemyk al consolato, o colui che ha assassinato il ministro Pieracki. La misura della nostra idea non sta nel fatto che eravamo preparati a sacrificare le nostre vite, ma che eravamo preparati a sacrificare le vite degli altri”. Bandera ora era il simbolo del movimento di liberazione ucraino. Restò nelle prigioni polacche fino al 13 settembre 1939. In questo tempo fece tre scioperi della fame di 9, 13 e 16 giorni. Nel 1938 il leader dell’OUN in esilio Konovalets’ fu assassinato a Rotterdam. All’inizio del 1939 Bandera fu trasferito in un carcere di Brest nella Polonia orientale. Riuscì a scappare il 13 settembre 1939, nel disordine della guerra iniziata e con l’aiuto di prigionieri ucraini. La guerra era la sola occasione possibile per l’aspirazione ucraina a procurarsi un’indipendenza statale. Bandera evase 12 giorni dopo l’aggressione tedesca alla Polonia, e 4 giorni dopo la sua evasione l’Urss completava l’opera del Patto Ribbentrop-Molotov invadendo la Polonia da est. Bandera e suo fratello Vasyl, evaso a sua volta, lasciarono Lviv, che restava nella zona sovietica, per il Governatorato Generale, la Polonia occupata dai tedeschi. Durante una breve occupazione tedesca dell’Ucraina occidentale, miliziani dell’OUN uccisero 3000 polacchi in Galizia orientale e in Volinia, e un numero indefinito di dissidenti ucraini. Militari polacchi uccisero a loro volta un numero indefinito di ucraini, compresi quelli favorevoli all’armata sovietica. Gli ebrei furono vittime di ambedue i fronti. Bandera non ne avrebbe mai parlato. 

Quasi 30.000 ucraini nazionalisti ripararono nel Governatorato Generale per sfuggire al regime sovietico. A Cracovia, che divenne il loro centro principale, Bandera si sposò con Iaroslava Oparivs’ka (1917-1977). Nel 1940 si spostarono a Varsavia. In quel periodo viaggiò. Fu operato a Berlino al naso, che era stato fratturato durante l’alimentazione forzata in prigione. Alla fine del 1939 era stato a Vienna, e aveva concordato con Lopatynskyi, capo dell’esecutivo interno, di visitare insieme Roma, per discutere col nuovo capo dell’OUN, Andrii Mel’nyk. Un comitato direttivo di 8 membri era di base a Roma dal 1930. Bandera voleva l’espulsione di Mykola Stsibors’kyi, il più autorevole ideologo dell’OUN, perché conviveva con una donna “sospetta ebrea russa” (sua moglie, in realtà), oltre a essere “un traditore e un agente bolscevico”. (Stsibors’kyi, che si era schierato con Mel’nyk, sarebbe stato ucciso nel 1941, si ritiene da seguaci di Bandera). 

A Roma, nel gennaio 1940, ci furono discussioni tese con Mel’nyk. (Nell’autobiografia del 1959, Bandera sostenne che avrebbe voluto l’OUN meno dipendente dalla Germania nazista, ciò che non sembra confermato). Nel febbraio 1940, a Cracovia, Bandera e i suoi proclamarono una direzione rivoluzionaria con lui a capo, la cosiddetta OUN-B (contro l’OUN-M, dalle rispettive iniziali) consacrata in un congresso a Cracovia l’anno dopo. Rossolinski scrive che nelle conclusioni non si faceva menzione dei non ucraini nel futuro Stato dell’OUN, ma “si sa da altri documenti che l’OUN progettava di espellerli o ucciderli”. L’OUN proclamava di voler collaborare con le altre nazioni dell’Europa orientale e dell’Asia schiavizzate da Mosca, per edificare un nuovo ordine sulle rovine dell’impero moscovita, l’URSS. E si diceva soprattutto interessata alla cooperazione con “Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia e Bielorussia”. Nelle risoluzioni del Congresso si diceva che “gli ebrei sono il pilastro del regime bolscevico nell’URSS, e l’avanguardia dell’imperialismo moscovita in Ucraina”. Contemporaneamente si imputava all’Unione sovietica l’antisemitismo in Ucraina e nelle stesse file nazionaliste: “Il governo di Mosca sfrutta i sentimenti antiebraici nelle masse ucraine allo scopo di deviare la loro attenzione dagli effettivi autori del male, e per canalizzare la loro ribellione nei pogrom contro gli ebrei”. L’ammirazione dell’OUN per il fascismo e il nazismo era stata rafforzata dalla proclamazione dello Stato slovacco nel 1939 e dello Stato croato nel 1941, guidati da organizzazioni simili all’OUN. 

Dopo la Seconda guerra e la Shoah, sia Bandera che i suoi seguaci provarono tenacemente a sbarazzarsi del loro antisemitismo fra le due guerre. Ma sulla loro stampa i due milioni di ebrei in Ucraina erano stati additati come alieni di cui liberarsi. C’erano state posizioni meno devote al fascismo. Oleksander Mytsiuk (1883-1943) argomentava che il fascismo avesse bisogno di uno Stato, e l’Ucraina non ce l’aveva. E che fosse un fenomeno italiano e non si potesse esportare. Al contrario Ievhen Onats’kyi, rappresentante dell’OUN a Roma e influente collaboratore dei suoi giornali, non fece che rincarare il suo entusiasmo. All’inizio aveva ritenuto che fra italiani e ucraini ci fosse solo una comune radice nazionalista, e che il fascismo fosse il nazionalismo di uno “Stato nazione”. (Il nazionalismo ucraino era dunque un “fascismo senza Stato”, per così dire). Più tardi accentuò la somiglianza: il fascismo italiano era il modello del riscatto delle nazioni e del loro passato conculcato. Le leggi razziste del 1938 furono salutate come la riprova della necessità dell’antisemitismo. L’OUN riprendeva termini cui il lessico fascista assegnava un significato positivo, come totalitarismo e fanatismo. Il fine della rivoluzione sarebbe stato ristabilire un “potere totalitario della nazione Ucraina nei territori ucraini”. (Nell’Ucraina orientale l’OUN-B era debole o del tutto inesistente). Bandera e i suoi contavano che la vittoria tedesca e la ritirata dell’Armata Rossa permettesse loro di riempire un vuoto politico istituendo gli organi dello Stato ucraino. Nella condizione “del caos, sarebbe stato possibile liquidare gli intrusi polacchi, i moscoviti e gli attivisti ebraici”. Questi nemici – i moscoviti, gli ebrei, “come individui così come gruppo nazionale”, gli “alieni, in specie i vari asiatici con cui Mosca colonizza l’Ucraina”, i polacchi ancora nostalgici della Grande Polonia – sarebbero stati annientati. Alla milizia dell’OUN-B – un bracciale giallo blu, o uno bianco con la scritta Milizia nazionale – sarebbe spettata, con la collaborazione della gente comune, la registrazione di tutti gli ebrei, da sterminare o da deportare dall’Ucraina dopo la fondazione dello Stato (ma non ho trovato una citazione testuale corrispondente a questo piano agghiacciante). Poiché gli ebrei erano troppo numerosi, la registrazione sarebbe avvenuta gradualmente. Dapprincipio avrebbe facilitato la loro detenzione in campi di concentramento insieme agli “elementi asociali”. Gli slogan sanguinari contro il “bolscevismo ebraico” erano diffusissimi, e così quelli contro le città: “L’Ucraina contadina conquista le città e uccide i nemici della patria”. 

Il 7 giugno 1941 un corriere di Bandera comunicò a Ivan Klymiv, il capo dell’attività clandestina, la data esatta in cui sarebbe cominciata l’invasione dell’Urss. Bandera aveva ormai acquistato l’aura del leader carismatico. Secondo un suo commilitone “gli ucraini sono intimamente anarchici, proni alla libertà cosacca, e con gente simile non si può costruire una nazione indipendente. Abbiamo bisogno di una guida autoritaria / avtorytarnyi vozhd, un duce / e di esecutori della sua volontà pronti al sacrificio”. Nei 21 mesi di occupazione dell’Ucraina occidentale le autorità sovietiche istituirono un Congresso del popolo, indissero elezioni farsa, e unirono l’Ucraina occidentale con la Repubblica socialista sovietica Ucraina. Crocifissi cattolici e ritratti di Pilsudski furono sostituiti da ritratti di Lenin e Stalin. La sovietizzazione si compì col terrore e la repressione. Più di 300.000 persone furono deportate in Urss: 140.000 dalla Galizia orientale, e 45.000 ebrei rifugiati dalla Polonia occupata dai tedeschi. Nella stessa Galizia orientale le autorità sovietiche arrestarono 50.000 persone. Molte vennero torturate. Quanto agli ucraini orientali, avevano sperimentato la durezza delle politiche sovietiche nella carestia artificiale del 1932-33, ribadita nel 1937-38 del Grande terrore. Quando l’avanzata tedesca si fece troppo rapida perché le autorità sovietiche evacuassero i prigionieri, decisero di ucciderli.

Documenti sovietici indicano che circa 9.000 prigionieri furono giustiziati nella Repubblica sovietica Ucraina, 2.800 nella sola Lviv. L’ordine era venuto da Lavrenti Beria, il capo della Nkvd, e fu trasmesso dal segretario del Pc ucraino, Nikita Krusciov. Il terrore sovietico colpì anche la famiglia Bandera. Il 23 marzo 1941 fu arrestato il padre Andrii e le due figlie Marta e Oksana, per la parentela con Stepan e per aver ospitato un ricercato. Il padre fu condannato a morte da un tribunale militare a Kiev l’8 luglio 1941. Due giorni dopo fu fucilato. Le due figlie furono deportate in Siberia. Intanto Hitler e gli altri capi nazisti avevano vietato l’istituzione di uno Stato ucraino nei territori sgombrati dall’occupazione sovietica. Per giunta i tedeschi sembravano fare più affidamento sulla fazione OUN-M, e diffidare di Bandera. A lui e ad altri dirigenti ucraini dell’OUN-B fu proibito di lasciare il Governatorato Generale. 

La cosiddetta Rivoluzione nazionale ucraina cominciò insieme all’operazione Barbarossa il 22 giugno 1941. Nel suo corso la violenza politica prese soprattutto la forma dei pogrom antiebraici. L’OUN-B decise avventurosamente di proclamare lo Stato indipendente a Lviv, contando che i tedeschi l’avrebbero riconosciuto, come avevano fatto con gli stati satelliti di Slovacchia e della Croazia di Pavelic. All’ingresso dei tedeschi e dei nazionalisti ucraini a Lviv il 30 giugno, la città contava 160.000 ebrei, 140.000 polacchi, e 70.000 ucraini. Coi tedeschi marciavano gli ucraini in un Battaglione Nachtigall, da loro ribattezzato Battaglione Stepan Bandera – al grido di Slava Ukraini. L’ “Amministrazione statale Ucraina” fu proclamata dal vice di Bandera, Jaroslav Stets’ko, la sera del 30 giugno. Il giorno prima i tedeschi avevano messo Bandera al confino, per impedirgli di entrare nei territori appena occupati. Il testo della proclamazione echeggiava quello degli ustascia. Il 1° luglio 1941 miliziani tedeschi e ucraini scatenarono un pogrom incitando la popolazione ad unirsi. Il giorno prima le truppe tedesche e ucraine avevano scoperto, nelle celle e nelle fosse dei cortili di quattro prigioni, fra i 2.800 e i 4.000 cadaveri di prigionieri assassinati dal Nkvd, la polizia segreta sovietica. In maggioranza ucraini, circa un quarto polacchi, e un numero indefinito di ebrei. Agli ebrei vennero indistintamente imputate le torture e le uccisioni del Nkvd. (Era avvenuto così per la carestia del 1932-33). Le violenze, gli stupri, le torture, le uccisioni e le umiliazioni dei due giorni del pogrom di Lviv toccarono un record di efferatezza e perversione – e non era facile. Il Battaglione Bandera non ne fu protagonista: suoi membri vi presero parte. Fra i 7 e gli 8 mila ebrei furono assassinati in quei due giorni. Un nuovo raccapricciante pogrom a Lviv durò dal 25 al 28 luglio. Le vittime questa volta furono forse 1.500. Complessivamente nei pogrom condotti allora nell’intera Ucraina occidentale furono assassinate fra le 13.000 e le 40.000 persone. 

Nell’agosto 1941 furono uccisi in Ucraina più di 60 mila ebrei, in settembre 136 mila. Autori i tedeschi, l’OUN-B, e la gente comune. Lungo tutta questa vicenda, il nome di Bandera era acclamato e invocato in ogni villaggio, ma lui non c’era. Era sorvegliato e dal 5 luglio arrestato dai tedeschi, prima a Cracovia e poi a Berlino. Non si sa se Bandera avesse ordinato o caldeggiato le violenze antiebraiche dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa, né quanto fosse al corrente degli eventi. Né a quali limiti i tedeschi sottoponessero le sue relazioni. A sua differenza, i suoi tre fratelli – Bohdan, Vasyl’ e Oleksandr – poterono partecipare alla “Rivoluzione nazionale ucraina” nei territori ora occupati. I tedeschi, e personalmente Hitler, non ebbero alcuna intenzione di autorizzare uno Stato, o anche solo una forma di autogoverno nei territori ucraini. Nei loro programmi ultimi, una popolazione tedesca vi si sarebbe insediata, una parte degli ucraini sarebbe stata asservita, e il resto eliminato. Il 3 luglio 1941 gli ucraini, compreso un frustrato Bandera, si sentirono comunicare la fine del loro tentativo di crearsi uno Stato prima della fine della guerra. Il giorno dopo, Bandera era messo in una carcerazione politica a Berlino. Stets’ko ne seguì la sorte. Pochi giorni dopo furono liberati, ma tenuti a presentarsi regolarmente alla polizia. Stets’ko si sbrigò a scrivere un documento in cui chiariva: “Io appoggio la distruzione degli ebrei e l’opportunità di estendere i metodi tedeschi per sterminare gli ebrei all’Ucraina”. Il 15 settembre, per ordine di Heydrich, Bandera, Stets’ko e altri dirigenti vennero riarrestati, in seguito all’assassinio di Stsibors’kyi e di Senyk, un altro esponente dell’OUN-M, a Zhytomyr. Bandera fu detenuto dalla Gestapo. 

Ai dirigenti dell’OUN-B fu proposto da ufficiali tedeschi di ritirare la “Dichiarazione di indipendenza”, e rifiutarono. Nei villaggi ucraini comparvero le prime scritte contro le “Autorità straniere” e in onore di Bandera. Il 9 luglio 1941 Hitler incorporò la Galizia orientale nel Governatorato Generale. Bandera e Stets’ko protestarono per lettera a “Sua Eccellenza Adolf Hitler”. Le sedi OUN-B all’estero vennero chiuse, i militanti in Ucraina occidentale decisero di passare alla clandestinità. Le autorità tedesche cominciarono a ricevere lettere che esprimevano la delusione e la persuasione che l’Ucraina indipendente, “senza ebrei, polacchi e tedeschi”, sarebbe stata favorita dagli Alleati. Dopo il 25 novembre 1941, gli Einsatzgruppen e altre forze tedesche cominciarono a uccidere membri dell’OUN-B. Entro dicembre ne avevano arrestati 1.500. Nell’estate del 1942, 48 esponenti dell’OUN-B, fra i quali due fratelli di Bandera, Vasyl’ e Oleksandr, furono rinchiusi nel campo di concentramento di Auschwitz. Nell’ottobre 1943 altri 130 furono mandati ad Auschwitz da Lviv, come prigionieri politici. Nel campo svolgevano lavori nei quali le possibilità di sopravvivenza erano buone: cucina, sartoria, magazzini degli oggetti confiscati. Tuttavia sui 48 rinchiusi nel 1942, 16 non sopravvissero. In totale, più di 30 dei 200 esponenti dell’OUN-B non sopravvissero, compresi i due fratelli di Bandera. 

Alla fine del 1941 Bandera offrì di nuovo la collaborazione dei nazionalisti ucraini, “formati in uno spirito simile agli ideali nazionalsocialisti”. L’offerta non ebbe esito. L’atteggiamento degli occupanti nazisti verso gli ucraini fu particolarmente duro. Le università chiuse, l’interesse pressoché esclusivo alla fornitura di grano, il programma di germanizzazione integrale delle città. L’atteggiamento non cambiò molto nemmeno quando i tedeschi si trovarono alle strette. All’inizio del 1943, Himmler ordinò la formazione di una divisione Waffen-SS Galizien, composta di soldati ucraini, ma vietò che si chiamassero ucraini. Nel 1942 i nazisti consideravano l’OUN-B come “un’organizzazione illegale prevalentemente antitedesca”. Nel settembre ’42 si trovarono appelli a prendere le armi contro i tedeschi in nome di Bandera. Alla fine dell’anno l’OUN-B decise di costituire un esercito, “UPA, Esercito insurrezionale ucraino”. Restò il saluto – Gloria all’ucraina, gloria agli eroi – ma si abbandonò il braccio sollevato fascista. Nel 1944, al suo massimo, l’UPA annoverava fra i 25.000 e i 30.000 partigiani e poteva mobilitare 100.000 persone. 

Già all’inizio del 1943 la dirigenza dell’OUN-B pensava a una futura cooperazione con gli alleati angloamericani, e dunque sottolineava di voler lottare contro due imperialismi: quello della Germania nazista e quello dell’Unione sovietica. A questo scopo si impegnò a rompere col fascismo e a “democratizzarsi”. In nome della “libertà per le nazioni e per le persone”, l’OUN-B si proponeva ora di dissolvere l’Unione sovietica in più stati. Fu questa la parola d’ordine della “Conferenza delle Nazioni schiavizzate dell’Europa orientale e dell’Asia”, che si svolse il 21 e 22 novembre 1943 vicino a Zhytomyr. L’OUN-B era ormai persuasa che la guerra sarebbe stata vinta dalle democrazie occidentali, e che queste l’avrebbero appoggiata contro l’Unione sovietica. Nonostante ciò, l’UPA continuò una micidiale pulizia etnica contro la popolazione polacca nell’Ucraina occidentale, col proposito di forzare i superstiti a emigrare. Si chiedeva agli ucraini che avessero matrimoni misti di “uccidere spose e bambini”. Nel luglio 1943 l’Armia Krajowa, la forza di resistenza polacca, osservò che lo slogan “morte ai polacchi” era diventato così popolare fra gli ucraini di Lviv che veniva usato come una formula di saluto. Fra il 1943 e il ’45, OUN e UPA uccisero fra i 70.000 e i 100.000 polacchi. I polacchi uccisero fra i 10.000 e i 20.000 ucraini, per lo più non in Volinia e in Galizia ma in regioni a maggioranza polacca. Sistematica fu la caccia dei nazionalisti ucraini agli ebrei. Il terrore dei Banderiti arrivò al punto che ebrei nascosti nei boschi cercarono rifugio nei campi di concentramento. In Volinia migliaia di sopravvissuti allo sterminio tedesco furono massacrati da partigiani nazionalisti ucraini. Solo l’1,5 per cento degli ebrei di Volinia sopravvisse all’Olocausto. Intanto l’UPA preparava documenti a sostegno della tesi che la persecuzione tedesca degli ebrei nel 1941 non avesse trovato alcun aiuto da parte della polizia ausiliaria ucraina. Resta tuttavia da ricordare che OUN-B e UPA non comprendevano solo fanatici razzisti e criminali di guerra. E non mancarono ucraini che aiutassero ebrei e polacchi nascondendoli e nutrendoli. Bandera non era mai in Ucraina. Rossolinski non ha trovato alcun documento che provasse o smentisse la sua approvazione della pulizia etnica, o dell’uccisione degli ebrei e di altre minoranze. 

Ritirandosi dall’Ucraina i tedeschi lasciarono in mano all’OUN-UPA enormi quantità di armi e munizioni. L’appoggio degli ucraini appariva loro adesso più importante. Un prete legato all’OUN fu autorizzato a incontrare Bandera nel lager di Sachsenhausen, presso Berlino. (Sarebbe stato rilasciato solo il 28 settembre 1944, messo agli arresti domiciliari a Berlino, e liberato a novembre). I suoi controllori erano ormai convinti che odiasse i tedeschi quanto i russi. Un compromesso fu raggiunto nel febbraio 1945, quando a Weimar si costituì un Comitato nazionale Ucraino, con l’impegno di continuare a battersi contro l’Armata Rossa. Bandera e la sua famiglia lasciarono Berlino alla volta di Vienna, dove lui fu rieletto alla testa dell’OUN. Mentre l’Armata Rossa si avvicinava a Vienna, andò a Praga e poi a Innsbruck. Nell’estate 1944 l’Armata Rossa conquistò l’Ucraina occidentale, e il destino dei banderiti mutò radicalmente. 

Finita la guerra, OUN e UPA puntarono alla disperata sullo scoppio di una terza guerra mondiale, in cui si sarebbero trovati dalla parte degli alleati occidentali contro l’Urss. Ci fu invece la Guerra fredda. Tra il 1944 e il 1946 700.000 polacchi sopravvissuti ai massacri di Volinia e Galizia orientale vennero ricollocati in Polonia, e 488.000 ucraini dalla Polonia neo-comunista furono ricollocati nella Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Nel 1947 140.000 ucraini rimasti nella Polonia sud-orientale furono spostati nella Polonia del nord e dell’ovest, con metodi brutali. Molte e molti civili ucraini furono uccisi, rapinati, violentati. Nel marzo 1945 Stalin ordinò che la chiesa greco-cattolica, che aveva contato nel 1939 4.200.000 fedeli, fosse incorporata nella chiesa ortodossa russa. Nel 1946 la siccità e la confisca dei raccolti nelle fattorie collettive dell’Ucraina orientale provocarono una carestia in cui morirono fra 800.000 e 1 milione di persone. Nei primi anni dopo la Seconda guerra, nell’Ucraina occidentale ci fu qualcosa di molto simile a una guerra civile. Fra il 1944 e il 1949 il regime sovietico deportò più di 200.000 persone dell’Ucraina occidentale, in maggioranza donne e bambini i cui mariti e padri erano nascosti nelle foreste o caduti nella guerriglia antisovietica. Occorsero più di cinque anni alle autorità sovietiche per avere ragione della guerra partigiana nell’Ucraina occidentale. Il 5 marzo 1950 il comandante in capo dell’UPA, Roman Shukhevych, si uccise per sfuggire alla cattura, vicino a Lviv. La guerra di qualche decina di partigiani continuò ancora per qualche anno, col risultato dell’assassinio di altri civili dichiarati “traditori”. La guerra di Corea rianimò la speranza di una terza guerra mondiale. Gli ultimi tre combattenti furono catturati nel 1960: non diventarono nemmeno proverbiali come gli ultimi giapponesi. Nel resto d’Europa la guerra era finita da 15 anni. (La più vasta rivolta nei gulag avvenne dopo la morte di Stalin il 5 marzo 1953, a Noril’sk, Vorkuta, e Kengir. Aleksandr Solzhenitsyn, che trascorse otto anni da prigioniero nel gulag, scrisse: “Nel nostro campo tutto cominciò con l’arrivo degli ucraini occidentali, membri dell’OUN. Quel trasporto ci portò il bacillo della ribellione”. E aggiunse che aveva portato anche la nuova legge dell’uccisione dei “traditori”). 

La documentazione sovietica e i calcoli degli storici mostrano che durante il conflitto con l’OUN-UPA, le autorità sovietiche uccisero 153.000 persone, ne incarcerano altre 134.000, ne deportarono 203.000 – soprattutto nel biennio 1944-45. Per alcuni tribunali sovietici “era peggio essere un nazionalista ucraino che partecipare all’assassinio di centinaia di ebrei”. L’OUN-UPA uccise più di 20.000 civili e quasi 10.000 soldati sovietici, membri dei “Battaglioni di distruzione” e agenti del Nkvd. Nel 1947 circa 200.000 ucraini rimanevano nella Germania occidentale e circa 50.000 in Austria e in Italia, soprattutto in campi per displaced persons. Bandera trovò a Innsbruck una quantità di ucraini emigrati, molti membri dell’OUN-B. Nella seconda metà del 1945 andò nel resort tirolese di Seefeld, vicino al confine tedesco. Lebed riuscì meglio di lui a guadagnare l’Intelligence americana, benché la Cia lo descrivesse come un “notorio sadico e collaboratore dei tedeschi”. In un libro, Lebed si avventurò a sostenere che l’UPA aveva aiutato le minoranze etniche in Ucraina e in particolare gli ebrei. Ci furono nuovi dissensi interni, in particolare fra Bandera e Lebed. Si ricorse spesso alle armi. Nel 1951 la Cia ruppe con Bandera, che continuò a condurre la sua agitazione anticomunista: “Il comunismo è il più importante travestimento dell’imperialismo moscovita”. Denunciò la repressione della rivoluzione ungherese del 1956 come una riedizione della strategia moscovita dei pogrom. Proclamò che il movimento nazionalista ucraino non aveva niente in comune col nazismo o il fascismo. Il 15 ottobre 1959 fu assassinato a casa sua, a Monaco di Baviera. Il Cremlino attribuì l’attentato a un ministro del governo Adenauer, insinuando che volesse così coprire il proprio ruolo nei pogrom di Lviv del 1941. Il vero assassino, al servizio del Kgb, Bogdan Stashyns’kyi, era stato arruolato attraverso una storia d’amore con una donna tedesca. Confessò quella intera storia da fotoromanzo, e perse anche l’amore.  

La sorella di Bandera, Volodymyra, fu condannata a 10 anni di reclusione e deportata in Kazakistan nel 1946. Nella Seconda guerra gli ucraini combatterono, volenti o nolenti, dalla parte di Stalin contro Hitler, o dalla parte di Hitler contro Stalin. 6.850.000 persone furono uccise in Ucraina, e 5.200.000 erano civili di diverse nazionalità. Durante l’occupazione nazista, i tedeschi e i loro complici uccisero 1 milione e 600 mila ebrei ucraini, metà nella Galizia orientale e nella Volinia, territori molto più piccoli del resto del paese. Nel 2010 una risoluzione del Parlamento europeo condannò la dichiarazione del presidente ucraino Viktor Yushchenko che aveva proclamato Stepan Bandera “Eroe della nazione”: l’iniziativa, affermò, allontanava il paese dai valori europei cui diceva di aspirare. Ci fu allora un primo ampio dibattito sulla “questione Bandera”, e sulla sua reviviscenza. (Qualcosa di simile era successo con Ante Pavelic, morto anche lui nel 1959 per i postumi di un attentato da parte di un cetnico serbo, e anche lui resuscitato nel nazionalismo croato post jugoslavo). Quel dibattito non è mai finito. Un episodio clamoroso è avvenuto il 29 giugno 2022, quando Andrij Mel’nyk (un’omonimia), ambasciatore ucraino a Bonn, in un’intervista negò che i seguaci di Bandera fossero stati implicati nell’uccisione di ebrei e polacchi nella Seconda guerra: “Non ce n’è alcuna prova”. Lo attribuì alla propaganda russa, sostenuta da Germania Polonia e Israele. La pioggia di proteste, comprese quelle ufficiali di Polonia e Israele, costrinse il governo ucraino a farlo tornare in patria, dove peraltro è oggi viceministro degli Esteri. 
Ma su tutta la aguzza questione del Bandera-dopo-Bandera torneremo, forse, un’altra volta.

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