La “Nato economica” e la diplomazia dei valori. A colloquio con il dissidente Yang Jianli

Giulia Pompili

L'occidente è l'adulto nella stanza nello scontro con la Cina, dice Yang, che ha vissuto il carcere in Cina per cinque anni e le sue brutalità. “La sicurezza non è più solo quella dei confini, ma anche quella economica"

C’è un motivo se Yang Jianli è uno dei dissidenti cinesi più famosi nel mondo e tra quelli più disprezzati dalla leadership (e dalla propaganda) di Pechino. Matematico, accademico, difensore dei diritti umani, Yang parla con la calma di chi conosce il mondo, e la Repubblica popolare cinese. Non è un falco, non è un attivista rabbioso; non usa mai superlativi, anzi: fa proposte politiche concrete per difendere la libertà e lo stato di diritto, anche in Cina. In un libretto pubblicato a marzo  ha avanzato la proposta di creare una “Nato economica”, cioè di estendere il principio di difesa collettiva anche alla coercizione economica cinese. “L’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia ha fatto realizzare di nuovo agli europei il valore della democrazia, della Nato, delle alleanze”, dice al Foglio Yang Jianli, che nel 2008 ha fondato l’ong Citizen Power Initiatives for China ed è membro onorario del Global Committee for the Rule of Law-Marco Pannella. “La sicurezza non è più solo quella dei confini, ma anche quella economica, delle dipendenze. Le democrazie che condividono gli stessi valori devono stare insieme non solo politicamente ma anche economicamente, ed è necessario più che mai tornare a una diplomazia basata sui valori”.  

 

Yang ha la capacità di cui pochi sono dotati, quella di saper essere convincente con la forza delle idee. Negli anni Ottanta, mentre studia Matematica all’Università Normale di Pechino, ha già un passato da attivista pro democrazia. Ma decide di iscriversi al Partito comunista cinese, come molti altri giovani, nella speranza di cambiarlo dall’interno. La repressione di piazza Tiananmen del giugno 1989, a cui partecipa, lo costringe alla fuga in America. Viene messo da Pechino sulla lista nera dei fuggitivi, ma nell’aprile del 2002 torna in Cina per partecipare a una protesta di lavoratori nel nord-est del paese colpiti dagli espropri forzati. Entra con il passaporto di un amico. Viene arrestato due settimane dopo, e resta in carcere per cinque anni, di cui uno in isolamento. Subisce interrogatori quotidiani, torture fisiche e psicologiche. Viene rilasciato nel 2007, dopo anni di pressioni politiche e diplomatiche da parte americana. Nel 2010 ritira il premio Nobel per la pace in rappresentanza del dissidente cinese Liu Xiaobo e di sua moglie, Liu Xia, all’epoca entrambi agli arresti in Cina. 

 

 


“Non sono d’accordo con chi vorrebbe il decoupling con la Cina”, dice Yang. “Non è possibile, non è desiderabile. Molti paesi dell’Asia orientale fino a poco tempo fa dicevano: ci affidiamo alla Cina per l’economia e agli Stati Uniti per la sicurezza. Ma non è più quel tempo”. E dunque bisogna continuare a parlare con Pechino, ma come? “Immagina  una vasca di acqua sporca e una di acqua pulita. Se si uniscono, è impossibile poi separare di nuovo le acque sporche da quelle pulite. Ma una cosa la possiamo fare: aumentare il livello di acqua limpida, e aggiungere  detergente. Significa che dobbiamo parlare, ma con dei ruoli ben definiti”. L’aspetto più complicato della diplomazia con la Cina riguarda però proprio questo: evitare di cadere nella trappola della propaganda, farsi manipolare. “Penso che il segretario di stato americano, Antony Blinken, a Pechino abbia fatto un buon lavoro. Si è comportato da adulto, ha messo in chiaro i ruoli. Del resto è la Cina a sfidare l’ordine mondiale, e quindi  si comporta in modo immaturo”: con azioni di forza, pretese, e dicendo bugie. Il ruolo della diplomazia occidentale deve essere questo: “Essere chiari sui propri valori, comportarsi da adulti”, dice Yang.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.