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il personaggio

Negli Stati Uniti, il soldato Newsom prova a risolvere la crisi democratica

Giulio Silvano

Il governatore della California compare sempre nelle chiacchiere sull’età avanzata di Biden, anche se lui è leale alla Casa Bianca. Storia di un democratico e della voglia dell’America di evitare un film già visto

Ci sono due modelli che hanno preso campo negli ultimi anni in America. Da una parte il più recente modello Florida: zero wokismo e più pistole. E’ quello che il governatore, il conservatore Ron DeSantis, vorrebbe usare come matrice da applicare a tutto il paese. Il suo slogan per le primarie repubblicane è: Make America Florida. Dall’altra parte invece c’è il modello California, che a lungo è sembrato un faro per i democratici: innovazione tecnologica, politiche progressiste e green, apertura all’immigrazione per creare un’economia rigogliosa. Hollywood, enoturismo, cannabis, agricoltura e Silicon Valley hanno reso il Golden State la quinta economia, non del paese, ma del mondo. Ma California è anche diventato sinonimo di numeri altissimi di senzatetto – il 30 per cento degli homeless degli Stati Uniti è lì – e di prezzi spropositati per gli alloggi, dove gli studenti universitari che aspirano a lavorare alla Apple dormono in macchina, altro che tende al Politecnico. Questo ha messo in crisi il modello California, tanto che due milioni e mezzo di persone se ne sono andate via dallo stato negli ultimi due anni. L’esodo si deve in parte anche al Covid, che ha stimolato un discreto abbandono delle aree metropolitane, ma la pandemia ha semplicemente accelerato un trend in corso. A iniziare a crepare l’immagine della California come Shangri La della net economy si aggiungono il recente fallimento della Silicon Valley Bank e di una delle maggiori piattaforme di criptovalute, Ftx, oltre ai massicci licenziamenti nel settore tech.

E poi c’è il dissesto all’interno del Partito democratico. Parliamo di uno stato che automaticamente da trentacinque anni va al presidente democratico (Joe Biden qui ha vinto con il 63 per cento), e dove l’ultimo governatore repubblicano, Arnold Schwarzenegger, è un immigrato dell’élite hollywoodiana. Il partito si sta spaccando intorno alla decisione di costringere la senatrice senior dello stato, Dianne Feinstein, a dimettersi. Quasi novantenne, Feinstein per mesi non è potuta andare al Congresso a votare per questioni mediche e questo ha messo a repentaglio la sottile maggioranza democratica al Senato, dove a volte basta un voto per non far passare una legge. L’establishment democratico non vuole sostituirla, mentre l’ala più di sinistra sì. Hillary Clinton è contraria alla sostituzione perché lascerebbe vacante anche il posto nella commissione Giustizia del Senato, e i repubblicani se ne approfitterebbero per non votare i giudici democratici. Secondo la Costituzione, per la maggior parte degli stati è compito del governatore dello stato che il senatore rappresenta nominare un rimpiazzo che resti fino allo scadere del mandato. Era già stato necessario farlo quando l’ex senatrice Kamala Harris era andata alla Casa Bianca come vicepresidente. Per il suo seggio il governatore, Gavin Newsom, aveva nominato un ispanico, Alex Padilla, e aveva promesso che se avesse dovuto nominare qualcuno per l’altro posto avrebbe scelto una donna afroamericana. All’ala sinistra del partito, nel caso di una dimissione di Feinstein, non dispiacerebbe Barbara Lee, deputata nera di settantasei anni, obamiana progressista vecchia scuola: diritti per le donne, per le minoranze e per la comunità Lgbtq+. Lee ha annunciato che si candiderà nel 2024 per il seggio che Feinstein lascerà comunque nel 2024 andando in pensione: Politico ha calcolato che quella per rappresentare la California in Senato sarà una delle campagne senatoriali più costose, tra i 20 e i 100 milioni di dollari a candidato. Lee, nel suo ruolo di deputata, fu l’unica a votare contro le leggi anti terrorismo di George W. Bush dopo l’11 settembre. Ci sono poi altri due candidati che mostrano le altre anime del partito: i deputati Katie Porter, quarantanove anni, e il losangelino Adam Schiff, sessantadue. Schiff, più centrista, è apprezzato dall’establishment e ha il sostegno della democratica più potente dello stato, l’ex speaker del Congresso Nancy Pelosi. Porter invece rappresenta l’ala più radicale ma più giovane, un po’ rottamatrice, e ha l’appoggio della sua mentore, la senatrice del Massachusetts ed ex candidata alla presidenza Elizabeth Warren. 

Newsom cerca di fare da ago della bilancia tra le tre fazioni del partito, volendo presentarsi sia come autorevole e navigato, difensore dei diritti civili, ma anche in dialogo con le nuove generazioni – ha 55 anni, un quarto di secolo meno di Biden. Si sta mostrando come volto risolutore del partito, nonostante non abbia ancora sbrogliato il nodo del Senato, ma è in dialogo con tutte le parti, ed evita di rilasciare dichiarazioni che potrebbero essere travisate. Nello spettro democratico Newsom non è un Pete Buttigieg – ex candidato alle primarie, segretario ai Trasporti, impeccabile, primo membro dichiaratamente gay di un gabinetto presidenziale, lavoratore instancabile al servizio di Biden – ma non è nemmeno come i post attivisti della Squad, capitaniata dalla deputata star Alexandria Ocasio-Cortez, che mescolano socialismo e dirette sui social. Incarna più un tentativo di rinascimento kennediano, di politica old style – è bianco, cattolico, divorziato, benestante ed etero – che attacca il nuovo estremismo legittimato dagli anni trumpiani. Tesla, camicie di Ermenegildo Zegna e cravatte di Tom Ford. Grande fan di Bobby Kennedy, da ragazzo studiava i discorsi di Bill Clinton, registrandoli in vhs. La sua famiglia è intrecciata con quella dei Getty e dei Pelosi, aristocrazie del Golden State. L’amica Ann Getty, per il suo trentesimo compleanno, gli organizzò un party a tema Grande Gatsby. Giovane promessa del baseball, imprenditore della ristorazione, ex sindaco di San Francisco, Newsom è governatore della California dal 2019, dopo essere stato vice del governatore precedente, Jerry Brown, per due mandati. Già nel 2003 la rivista Newsweek l’aveva inserito tra le giovani promesse del Partito democratico, assieme a un giovanissimo Barack Obama. L’anno dopo apparve su Harper’s Bazaar assieme alla prima moglie in un servizio fotografico dal titolo “The New Kennedys”, appunto. Dopo il divorzio da Kimberly Ann Guilfoyle, che ora sta con il primogenito di Trump, Don Jr., si è sposato con Jennifer Siebel, documentarista che in passato ha avuto una storia con George Clooney, e che nell’onda MeToo è stata tra le accusatrici di Harvey Weinstein. “Quando ho iniziato a uscirci, non sapete quante donne e quanti uomini gay mi dicevano: ‘Lo voglio!’”, ha detto Siebel del marito.

Nel corso dei suoi due mandati i repubblicani hanno attaccato Newsom per aver imposto un’alta tassazione sul reddito, aver messo a disposizione la sanità agli immigrati e aver limitato il possesso di armi da fuoco. Durante la pandemia, Newsom si è dimostrato in grado di gestire l’emergenza, andando contro all’atteggiamento lassista del governo, anticipando politiche restrittive e mantenendo nello stato una bassa curva di contagi. Il suo cavallo di battaglia oggi è la proposta di un 28esimo emendamento che risolva una volta per tutte la macchia tipicamente americana delle morti per arma da fuoco. Newsom propone di alzare l’età minima a 21 anni per l’acquisto, di attivare un approfondito sistema di controlli dei precedenti legali, allungare il periodo di attesa per la vendita e di vietare l’acquisto di armi d’assalto. 

E’ da tempo che per il suo physique du rôle e per il suo lignaggio i giornali flirtano con l’idea che Newsom possa prima o poi candidarsi alla presidenza. La proposta nazionale di un 28esimo emendamento è stata vista come anticipo di un’ufficiosa candidatura. Ma non è la prima azione che va in questa direzione. Con i soldi avanzati dalla campagna elettorale, oltre 10 milioni, il governatore ha deciso di uscire dai confini californiani e andare ad appoggiare candidati democratici per togliere dei seggi sicuri ad alcuni repubblicani, attaccando frontalmente Trump e DeSantis, creandosi un’immagine di potenziale leader di partito e non solo di amministratore locale. Non ha mai avuto paura di Trump, che ha etichettato come un “bulletto spaventato” e una “patetica sciagura”. Il suo motto, quando si è candidato governatore, era “Courage for a change”: canalizzare quel change obamiano per prendere di petto la nuova destra alternativa che minaccia la democrazia americana. Newsom non ha mai ammesso di voler lavorare a Pennsylvania Avenue. E, saggiamente, non avrebbe potuto, dato che il Partito democratico è stato costretto a seguire Biden verso un secondo mandato. In autunno ha rassicurato Joe e Jill Biden che avrebbe dato il suo appoggio totale per aiutare il presidente a restare alla Casa Bianca. Il terrore di un populista lunatico al potere ha creato un solido fronte unito intorno a Biden, che però ha azzoppato molte ambizioni presidenziali, e bisognerà aspettare il 2028 per vedere le nuove leve democratiche in azione.

Ma in un’intervista della Fox di qualche giorno fa Gavin Newsom ha detto che non avrebbe problemi a partecipare a un dibattito pubblico contro DeSantis, l’altro astro nascente della politica americana, che sta facendo fatica a scardinare la posizione di front runner di Donald Trump. “Florida vs California è quello che si merita l’elettorato per il 2024”, ha scritto il Wall Street Journal, sottolineando la noia preventiva che si proverà guardando i dibattiti Biden vs Trump, che già nel 2020 non avevano regalato molte emozioni. In risposta il governatore della Florida, DeSantis, ha cercato di mettere Newsom contro il presidente dicendogli: “Hai intenzione di salire sul ring e sfidare Joe? Lo farai?”. Newsom, che appunto non vuole mettere i bastoni tra le ruote a Biden, ha postato però un video in cui partecipava alla prima serata del gay pride organizzata a Disneyland. Può essere vista come una provocazione a DeSantis, che si sta scontrando contro la Disney proprio sui temi Lgbtq, e che fissandosi con questa culture war sta perdendo sostegno. Il desiderio che sfiora la fantapolitica, di vedere due carismatici non ottuagenari sfidarsi per la Casa Bianca, mostra la voglia dell’elettorato e dei media di un ricambio generazionale nello scenario nazionale. Due energetici governatori, rappresentanti di due modelli opposti, sembrano uno spettacolo ben più entusiasmante di un copia incolla del 2020. Ma per paura o per cautela, per ora si aspettano altri quattro anni.

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