Il conflitto

L'establishment russo discute l'effetto di un “attacco preventivo” con armi nucleari tattiche

Luciano Capone

Per il falco Karaganov il first strike è “una soluzione difficile necessaria”, per Timofeev sarebbe “una catastrofe per la Russia”. In tutti c'è consapevolezza di una guerra andata storta: l'Ucraina per Mosca è una "ferita sanguinante"

Pochi giorni fa aveva definito “totalmente irresponsabile” la decisione della Russia di dispiegare armi nucleari in Belorussia, ora Joe Biden sostiene che la possibilità che Vladimir Putin le usi “è reale”. “Quando circa due anni fa sono venuto qui a dire che ero preoccupato per il prosciugamento del fiume Colorado, tutti mi hanno guardato come se fossi pazzo – ha detto il presidente degli Stati Uniti incontrando un gruppo di donatori in California – Mi hanno guardato come quando ho detto che mi preoccupo che Putin usi armi nucleari tattiche. E’ reale”. Sul tema, durante il Forum economico di San Pietroburgo, a un’esplicita domanda sull’utilizzo di ordigni tattici Putin aveva risposto che “questo uso di armi nucleari è certamente teoricamente possibile” qualora ci fosse una “minaccia alla nostra integrità territoriale, indipendenza e sovranità, all’esistenza dello stato russo”, per poi specificare che la Russia “non ha un tale bisogno” e che non intende “spaventare il mondo intero”.

 

In realtà, nell’establishment russo si discute apertamente dell’utilizzo dell’arma nucleare. E non se ne discute solo nei talk show propagandistici riempiti con personaggi bizzarri, ma anche nei centri di potere e di riflessione sulla politica internazionale russa, anche perché l’“operazione militare speciale” in Ucraina non sta esattamente andando secondo i piani. Proprio in questi giorni è stato avviato un dibattito sul first strike su Russia in Global Affairs, una rivista accademica pubblicata dalla Foreign Policy Research Foundation, guidata dall’oligarca putiniano Vladimir Potanin. “Una soluzione difficile ma necessaria”, è il titolo del articolo che ha avviato la discussione (“L’uso di armi nucleari può proteggere l’umanità da una catastrofe globale”, è il sottotitolo). L’autore è Sergey Karaganov, già consigliere per la politica estera di Eltsin e di Putin, presidente onorario del presidium del Consiglio per la Politica Estera e della Difesa e uno dei primi teorici, già negli anni Novanta, della difesa dei gruppi etnici russi fuori dai confini per estendere il potere della Russia. La delirante tesi di Karaganov, in sostanza, è che la Russia deve sferrare un “attacco preventivo” nucleare con ordigni tattici per salvare l’umanità, che dopo un lungo periodo di pace “ha smesso di avere paura”. Pertanto: “La paura dell’escalation nucleare deve essere ripristinata. Altrimenti, l’umanità è condannata”.

 

Secondo Karaganov, gli Stati Uniti e l’occidente decadente hanno sferrato un attacco alla civiltà russa e l’Ucraina, che è il fronte di questa guerra, e questo sta diventando per Mosca “una ferita sanguinante che minaccia di inevitabili complicazioni” e rischia di trasformarsi in “una tragica trappola storica”. Per il politologo putiniano, quindi, la Russia deve uscire dall’angolo e infliggere una sconfitta strategica agli Stati Uniti con un attacco nucleare preventivo, che dividerà l’occidente visto che gli Washington non difenderebbe l’Europa mettendo in pericolo il proprio territorio con un attacco nucleare alla Russia. Certo, il resto del mondo sarebbe contrario, “ma alla fine i vincitori non vengono giudicati”, dice Karaganov.

 

Al falco, ha risposto Ivan Timofeev, direttore del Russian International affairs council, un think tank legato al ministero degli Esteri russo, con un articolo dal titolo “Un attacco nucleare preventivo? No!”. Per Timofeev si tratta di un approccio “estremamente pericoloso”, non tanto per le vittime che farebbe una bomba nucleare tattica, ma perché sarebbe contro l’interesse della Russia: “Questo approccio sottovaluta le élite dell’occidente e la loro determinazione a salire le scale dell’escalation con la Russia e, se necessario, a stare al passo con essa. E sopravvaluta anche le possibilità di accettare un attacco nucleare russo da parte della Cina e di altri paesi della maggioranza mondiale. Trascura le possibili conseguenze catastrofiche per la stessa Russia”. L’unica soluzione è quindi convivere con la “ferita sanguinante” dell’Ucraina, consolidando lo status quo sul campo di battaglia, resistendo allo tsunami di sanzioni e ai tentativi di destabilizzazione interna, nella consapevolezza che l’Ucraina è anche per l’occidente una “ferita sanguinante da cui scorrono risorse e capitale politico”.

 

Una posizione intermedia è quella Dmitri Trenin, altro influente politologo, che sembra suggerire all’occidente di non cercare la sconfitta totale della Russia che giustificherebbe la reazione nucleare di Putin. Al netto dei deliri, è evidente che i discorsi sull’uso e sulla deterrenza nucleare nell’establishment russo manifestino la piena consapevolezza della debolezza di una regime che rischia di dissanguarsi in Ucraina.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali