(foto EPA)

editoriali

Undici soldati italiani feriti negli scontri in Kosovo. Perché l'intervento delle forze Nato è un segnale

Redazione

In totale i militari della missione Kfor rimasti feriti nei Balcani sono 46: è il segno che la tensione tra serbi e albanesi è più alta che mai. Ora c'è bisogno di un impegno più forte da parte dell'Ue (anche per disinnescare l'influenza della Russia)

Per la prima volta da quando si sono fatte più intense lo scorso anno le tensioni tra serbi e albanesi in Kosovo, sono intervenute le forze di pace guidate dalla Nato (Kfor) e negli scontri con i manifestanti serbi a Zvecan, nel nord del paese, sono rimasti feriti 46 militari, di cui 11 italiani. Le tensioni sono iniziate venerdì scorso, quando i serbi hanno cominciato a manifestare contro l’insediamento di sindaci albanesi a Zvecan, Leposavic e Zubin Potok. I sindaci sono stati eletti con un’affluenza del 3,5 per cento e il voto è stato boicottato dai serbi, le istituzioni kosovare hanno scortato i nuovi eletti alla cerimonia per il loro insediamento e le proteste si sono fatte sempre più violente. La pericolosità degli scontri, in una zona in cui l’allerta è costante, è stata però più preoccupante del solito: ne è un sintomo proprio l’intervento delle forze Kfor, che finora hanno mantenuto un profilo molto basso e ridotto al minimo il loro ruolo. Belgrado e Pristina, attraverso la mediazione dell’Unione europea, sono impegnate in una serie interminabile di negoziazioni che finora hanno prodotto poco ma hanno almeno permesso di controllare  derive violente.

Ora c’è bisogno di un impegno più forte, soprattutto in un’area che non soltanto è alle porte dell’Ue, ma che coinvolge dei paesi che un giorno vorrebbero anche farne parte e in cui soprattutto influiscono le ingerenze di paesi terzi come la Russia. Mosca ha soffiato per anni sul nazionalismo serbo e con l’inizio dell’invasione dell’Ucraina ha potuto contare anche sul sostegno di Belgrado che, per esempio, non ha imposto sanzioni contro la Russia. Nella guerra contro Kyiv, alcune frange più nazionaliste della politica serba hanno visto le loro stesse rivendicazioni. Non sempre Belgrado e Pristina hanno rispettato gli impegni presi con Bruxelles e tra i due paesi – non tutti e 27 gli stati dell’Ue riconoscono il Kosovo – c’è una zona grigia e pericolosa legata a doppio filo con le ambizioni russe in Ucraina. Una zona di instabilità che fa male alle popolazioni locali e alla sicurezza europea. 

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