G7 nello spazio

L'inedito divieto sui missili anti satellite e il pericolo che arriva dall'orbita. Il Giappone s'attrezza

Giulia Pompili

Un eventuale conflitto spaziale resta un territorio inesplorato: quando scatterebbe l'articolo 5 della Nato? Le strategie di Russia e Cina

Tokyo, dalla nostra inviata. L’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, il 24 febbraio scorso, ha cambiato radicalmente l’approccio della politica globale alle infrastrutture strategiche spaziali. C’è una nuova consapevolezza: in orbita esistono tecnologie fondamentali per la vita sulla terra, per le comunicazioni e per il corretto funzionamento dei sistemi di difesa, che potrebbero essere colpite da attori sempre più aggressivi e dotati delle capacità tecniche di metterle fuori uso.  Nel comunicato congiunto finale dell’ultimo G7 di Hiroshima, che si è tenuto lo scorso fine settimana, per la prima volta è stato inserito un paragrafo sul tema, voluto dal paese presidente di turno, il Giappone. Vi si legge non soltanto della necessità di rinnovare l’attenzione ai detriti spaziali, che sono sempre più un pericolo per le attività in orbita, ma c’è un passaggio rilevante anche sulle attività ritenute aggressive: i paesi membri del G7 si impegnano “a non condurre test distruttivi di missili anti satellite a gittata diretta e incoraggiamo gli altri a fare altrettanto, al fine di garantire la sicurezza, la stabilità e la sostenibilità dello spazio esterno”. E’ dal 2007 che la Repubblica popolare cinese testa missili anti satellite e oggi, secondo il Pentagono, Pechino ha la capacità di mettere a rischio la tecnologia americana in orbita. 

 

Secondo un recente studio di Army Technology, nel sito di test di Korla East, nella regione cinese dello Xinjiang si sperimenta il funzionamento di armi anti satellite laser (Asat) per attaccare i satelliti occidentali.  Da più di un decennio il programma spaziale cinese, pressoché sovrapposto a quello della Difesa, è legato al programma della Russia, che un anno fa ha testato un missile anti satellite con successo, colpendo un suo obiettivo e creando migliaia di detriti orbitali molto pericolosi per gli altri satelliti ma anche per la Stazione spaziale internazionale. La Cina e la Russia hanno una strategia precisa: in caso di crisi, devono poter contare sulla messa fuori uso delle infrastrutture altrui e contare sulla propria. E’ anche per questo che Pechino sta accelerando lo sviluppo, con tanto di basi di lancio, di una rete internet satellitare in grado di competere con la Starlink di Elon Musk. Secondo diverse analisi sviluppate su un eventuale attacco cinese contro Taiwan, Pechino potrebbe facilmente mettere fuori uso il sistema Gps americano, rendendo difficile l’intervento statunitense a difesa dell’isola. La centralità delle questioni spaziali è dimostrata anche dal fatto che l’attuale ministro della Difesa cinese, Li Shangfu, colpito da sanzioni americane che oggi l’Amministrazione Biden vorrebbe sollevare come gesto di buona volontà, viene da una carriera nel lancio dei satelliti. 

 

Il 10 marzo scorso l’Unione europea ha pubblicato la sua prima strategia per la sicurezza e la difesa dello spazio, che chiede agli stati membri di rafforzare l’autonomia e la “sovranità tecnologica”, e considera la possibilità di proporre “una legge spaziale dell’Ue per fornire un quadro comune per la sicurezza e la sostenibilità nello spazio”. Il mese prossimo, sarà il Giappone a pubblicare la sua strategia: le questioni spaziali non sono più una questione economica, ma di sicurezza e difesa. Il governo di Tokyo ha messo a punto un piano che preveda una presenza più assertiva dell’aspetto militare nella Jaxa, l’agenzia spaziale nipponica e, per esempio, prevede che in caso di crisi il governo possa di fatto requisire e utilizzare tecnologie e infrastrutture commerciali e di proprietà di compagnie private. In questo senso, il G7 e le altre alleanze come il Quad lavorano a una cooperazione più attiva tra paesi partner, per esempio nel tracciamento dei detriti e – soprattutto – delle manovre dei satelliti di paesi sotto costante osservazione, cioè Russia e Cina. 

 

Ma un eventuale conflitto spaziale resta un territorio inesplorato. Se un satellite di un paese straniero, ci spiega una fonte che ha lavorato al dossier nipponico, dovesse avvicinarsi pericolosamente a un nostro satellite, dovremmo cercare prima di tutto di capire quali sarebbero le sue intenzioni, e se ci fosse effettivamente un attacco, sarebbe coperto dal trattato di sicurezza con l’America? E’ la domanda che si pongono in molti, ultimamente, anche in Europa: nel giugno del 2021, al Summit di Bruxelles, la Nato ha dichiarato che “gli attacchi verso, da o all’interno dello spazio rappresentano una chiara sfida alla sicurezza dell’Alleanza. Tali attacchi potrebbero portare all’invocazione dell’articolo 5”, ma vanno valutati caso per caso, si legge nelle dichiarazioni finali. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.