Foto di Haeferl via Wikimedia Commons

La ricetta per la vittoria dei comunisti in Austria

Daniel Mosseri

Anti Putin, zero nostalgie sovietiche, ambizioni sul territorio. Il Kpö piace e non somiglia ai suoi simili

Berlino. “Noi con le dittature comuniste o con l’economia pianificata non abbiamo nulla a che vedere allo stesso modo in cui oggi la Chiesa cattolica non c’entra con l’Inquisizione o le crociate”, così il 34enne Kay-Michael Dankl, leader del partito comunista austriaco (Kpö) nel Land salisburghese, ha risposto alle domande di chi gli ha chiesto se nel 2023 abbia ancora un senso definirsi comunisti. Dankl è entrato nelle case degli austriaci dopo che il suo Kpö è passato dallo 0,4 per cento ottenuto nel 2018 al molto più considerevole 11,7 delle elezioni per il rinnovo del Parlamento regionale di Salisburgo domenica scorsa.

 

La crescita del più antico partito d’Austria (fu fondato nel 1918) ha sorpreso gli stessi sondaggisti che pure l’avevano prevista. Puniti invece gli avversari: un tonfo da 7,4 punti per i popolari (Övp) del premier regionale Wilfried Haslauer; una limatura per gli alleati Verdi; e quasi il dimezzamento per i liberali di Neos (dal 7,3 al 4,2 per cento), terza gamba della coalizione. Se il governo piange l’opposizione non ride: i socialdemocratici (Spö) perdono due punti fermandosi al 17,8. L’unica formazione che, oltre ai comunisti, torna a casa più forte è quella sovranista: dal 18,8 per cento di cinque anni fa, il Partito della libertà (Fpö) passa al 25,7, confermandosi seconda formazione nel Salisburghese. Un po’ come succede nei Länder tedeschi orientali, a vincere sono solo le estreme, con la differenza che le regioni dell’ex Ddr sono le meno ricche di Germania, mentre il Land con Salisburgo è uno dei più benestanti d’Austria.

 

L’exploit dei comunisti ha un precedente: a settembre del 2021, il Kpö ha vinto le elezioni a Graz, la seconda città austriaca. “In Austria esistono degli hotspot in cui i comunisti sono forti perché ascoltano una popolazione in sofferenza soprattutto per la crisi degli alloggi, carissimi a Graz e a Salisburgo”, spiega al Foglio Franz Fallend, politologo all’Università della città natale di Mozart. Per lo stesso motivo calano i partiti di governo, incapaci di risolvere l’emergenza abitativa. Lo scienziato politico osserva poi che l’alto pil pro capite a Salisburgo non deve fare dimenticare i distretti abitati da persone in difficoltà, che si sentono abbandonate dalle autorità locali e regionali. Fallend ricorda come per esempio il vittorioso Dankl devolvesse già parte del suo emolumento da consigliere comunale in iniziative di aiuto sociale.

 

Lontani da ogni velleità neosovietica, i politici del Kpö praticano in sostanza un comunismo compassionevole e che porta consenso, “ma il loro metodo resta democratico”. A differenza di quanto fa la Linke (il partito socialcomunista) in Germania, “il Kpö ha largamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina”, riprende Fallend. Lo stesso Dankl ha spinto Vienna “a essere meno neutrale” e ad agire contro gli interessi in Austria degli oligarchi russi. Dankl non ha velleità di governo e Fallend osserva come il prossimo esecutivo regionale sarà probabilmente guidato dai popolari assieme ai socialdemocratici, “oppure con la Fpö, uscita più forte dalla urne nella quarta elezione regionale consecutiva”. Un’onda lunga alimentata dall’inflazione, dalla crisi energetica, dal caro-alloggi “e dagli ultimi effetti dei lockdown ai quali la Fpö si è sempre opposta: oggi vediamo anche un chiaro legame fra bassi tassi vaccinali e alti risultati per il partito sovranista”. Nel Salisburghese gli elettori hanno punito popolari, Verdi e neoliberali: al netto di questi ultimi, si tratta della stessa coalizione che guida il governo federale. “Tutti i sondaggi ci dicono che se oggi si votasse per il Parlamento, il Partito della libertà guadagnerebbe per la prima volta la maggioranza relativa”.

Di più su questi argomenti: