Il cancelliere austriaco Karl Nehammer in visita a Kyiv con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, aprile (Ansa) 

il mito neutrale

In Austria tuonano i critici della politica estera di neutralità: “È ora di schierarsi”

Flaminia Bussotti

A sollevare domande sulla dottrina militare di Vienna è stato un gruppo di 55 insigni personalità in una lettera al presidente. Nessun modello per l’Ucraina: lo spiega la storia

Fra gli effetti collaterali della guerra in Ucraina ci sono sicuramente il rilancio della Nato, un ripensamento della politica di sicurezza in Europa, e una riflessione su senso e attualità della neutralità. Oggi, alla luce degli eventi, il principio della neutralità traballa, e al tempo stesso è ipotizzato come modello per l’Ucraina dopo la guerra. Fino all’aggressione russa il 24 febbraio, si discuteva sulla salute della Nato, se fosse uno strumento adeguato nel terzo millennio o solo un relitto del secolo scorso. Adesso, invece, il dubbio sollevato dalla guerra in Ucraina è se il relitto non sia semmai la neutralità. Anche in Austria, come in Finlandia e Svezia, che però hanno sciolto i dubbi chiedendo subito l’adesione alla Nato, i timori scatenati dall’aggressione russa contro uno stato sovrano nel cuore dell’Europa, hanno fatto da propellente a un acceso dibattito sulla propria neutralità e su molti interrogativi a essa connessi.

La sicurezza nazionale è veramente garantita? Le forze armate sono in condizioni di assicurare la difesa dei confini? La neutralità è ancora attuale 67 anni dopo la sua proclamazione? E ancora: se è pur vero che l’Austria è circondata da stati Nato – che quindi, in caso di aggressione russa, si mobiliterebbero in base all’articolo 5 dell’Alleanza difendendo sé stessi e di fatto anche gli austriaci – non rischia comunque la Repubblica alpina, con la scusa della neutralità, un danno d’immagine figurando come profittatrice dell’impegno altrui in base al motto “armiamoci e partite”? A sollevare tutte queste domande, e sollecitare un dibattito a Vienna sulla dottrina militare, è stato un gruppo di 55 insigni personalità in una lettera al presidente, al governo, al Parlamento e al popolo austriaco.

 

Fra i promotori la ex presidente della Corte suprema (Ohg), Irmgard Griss. Fra i firmatari noti intellettuali, manager e politici come l’ex ministro della difesa Friedhelm Frischenschlager, il dirigente dell’Agenzia del Lavoro (Ams), Johannes Kopf, lo scrittore Robert Menasse e gli autori Robert Misik e Julya Rabinowich. Chiedono “una seria, ampia discussione sulla futura politica di sicurezza e difesa austriaca e la definizione di una nuova dottrina di sicurezza”. Opinionisti e politologi alimentano il dibattito in Austria e Germania, divenuto di grande attualità dopo la domanda di adesione alla Nato di Finlandia e Svezia.
 
La storia della neutralità austriaca coincide con quella del Trattato di Stato del 1955 e della riconquistata sovranità dopo la lunga occupazione alleata seguita al ’45. E’ un capitolo a parte della divisione del continente stabilita dagli accordi di Yalta. Col Trattato di Stato, firmato dai ministri degli esteri di Unione sovietica, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Austria il 15 maggio 1955 a Vienna, l’Austria tornava libera. Ma nella vulgata nazionale la sovranità arrivò solo con la partenza dell’ultimo soldato sovietico il 26 ottobre 1955. Quello stesso giorno il Parlamento emanò la legge costituzionale sulla neutralità. Ragion per cui il 26 ottobre, e non il 15 maggio, è il giorno della festa nazionale. 

 

A differenza della Germania – divisa in una zona di influenza sovietica dentro il Patto di Varsavia, la Ddr, e una ancorata all’occidente nella Nato, la Brd, la Repubblica federale – L’Austria non veniva smembrata ma a costo della neutralità voluta da Mosca. La clausola della “immerwährende Neutralität” (neutralità permanente) non è contenuta nel Trattato di Stato ma in un Memorandum confluito nella legge costituzionale di 67 anni fa. Da allora la neutralità è sempre stata motivo di orgoglio e patriottismo, ma anche spesso criticata come un alibi per stare alla larga dei conflitti e beneficiare al contempo dell’appoggio dell’occidente e, se necessario, di quello militare della Nato. 
  
La strada per la neutralità, come racconta Alexandra Föderl-Schmid sulla Süddeutsche Zeitung (Sz), è un capolavoro della diplomazia viennese strappato ai negoziatori sovietici – il cui ministro degli esteri non era certo una colombella ma un osso duro come Molotov – con l’ausilio di canti popolari innaffiati con abbondante alcool in uno dei tanti Heuriger, le tipiche osterie dove si mesce vino novello. A Molotov non bastava un’Austria non allineata, voleva l’impegno a non entrare in nessuna alleanza militare, in primis la Nato fondata nel 1949, e a non ospitare basi militari straniere sul suo territorio. Da dieci anni l’Austria era occupata, un terzo del territorio era in mano sovietica e il governo doveva consultarsi sulle leggi con la Commissione alleata che aveva diritto di veto. Nel frattempo in Urss era arrivato Nikita Kruscev. L’11 aprile 1955 una delegazione austriaca si recò a Mosca. Ne faceva parte il sottosegretario agli esteri, e futuro cancelliere socialista (Spö) Bruno Kreisky, e si arrivò al Memorandum di Mosca, lasciapassare per il Trattato di Stato e il ripristino della sovranità.

 

Il 15 maggio la firma dei cinque ministri degli esteri alleati e di quello austriaco nella Sala di marmo del Belvedere con la folla festante sotto e la famosa frase, rimasta scolpita nella memoria collettiva, del ministro Leopold Figl dal balcone del castello del principe Eugenio di Savoia: “l’Austria è libera”. Il nome Trattato di Stato fu proposto da Vienna, che rifiutava un trattato di pace, volendo così segnalare di essere stata la prima vittima del nazismo. Infatti, lasciando tutti attoniti, alla vigilia della firma Figl minacciò di non firmare se non venisse stralciato dal preambolo il riferimento a una corresponsabilità dell’Austria nella guerra. Lo devo ai compagni morti nei campi di concentramento, disse. Lui stesso era stato arrestato nel 1938 e detenuto oltre cinque anni nei lager di Dachau e Flossenbürg. Con sorpresa generale, Molotov accettò e il passo fu cancellato. 

 

  
Nasceva il mito della “prima vittima” e ci vollero altri 36 anni prima che un cancelliere austriaco, Franz Vranitzky, in uno storico discorso nel 1991 in Parlamento, riconoscesse una corresponsabilità austriaca nei crimini nazisti. I sovietici avrebbero voluto ancorare la neutralità al Trattato di Stato ma gli austriaci, appoggiati dagli alleati, insistettero per una legge costituzionale affinché sembrasse un atto sovrano. Fu così quindi che lo storico 26 ottobre il Parlamento emanò la legge sulla neutralità il cui primo articolo recita: “Al fine di garantire la sua duratura indipendenza all’esterno e l’inviolabilità del proprio territorio, l’Austria dichiara liberamente la sua neutralità permanente”. “La manterrà e difenderà con i mezzi a sua disposizione e a garanzia non aderirà a nessuna alleanza militare e non permetterà la presenza di basi militari straniere sul suo territorio”. Impegni finora mantenuti. 

  

Secondo lo storico Rathkolb, in caso di attacco sovietico la Nato non si sarebbe fatta scrupolo di occupare il Tirolo, varco fra Italia e Germania

   
Alla formula della neutralità permanente si arrivò perché l’Austria voleva una garanzia. Secondo lo storico Oliver Rathkolb, in caso di attacco sovietico la Nato non si sarebbe comunque fatta scrupolo della neutralità austriaca e avrebbe come minimo occupato il Tirolo per aprire un varco fra i paesi Nato Italia e Germania. Nel 1955 i socialisti erano contro la neutralità per “paura di essere inghiottiti dai russi”: sola eccezione Kreisky, che da cancelliere (1970-1983) trasformò la neutralità in attiva politica estera con l’Austria mediatrice in medio oriente e nel nord-sud. Vienna divenne teatro di negoziati internazionali e sede dell’Onu accanto a New York, Ginevra, Nairobi.

 

Secondo Rathkolb, il modello austriaco per l’Ucraina è “utopico”. Una neutralità militare, dice alla Sz, di gran parte dell’Ucraina e uno status di autonomia come in Sudtirolo per il territorio occupato dai russi comporterebbe necessariamente che la Russia fermasse la guerra. Per l’Austria, ha detto a marzo il cancelliere Karl Nehammer, “la neutralità dinamica e solidale” ha funzionato, ma l’Ucraina deve decidere da sola cosa ritiene giusto per sé. 

  

Militarmente neutrale, ma politicamente schierata: condivide la politica estera e di sicurezza dell’Ue, aderisce alle sanzioni 

  

Da tempo ormai in politica estera l’Austria è taciturna. L’ultimo atto importante risale a Vranitzky con l’adesione all’Unione europea nel 1995. Anche se militarmente neutrale, politicamente però è schierata con l’occidente: è fra i fondatori dell’Ocse nel 1961, condivide la politica estera e di sicurezza dell’Ue, aderisce alle sanzioni e ha partecipato a numerose missioni dei caschi blu Onu. Dal 1995 aderisce anche al programma Nato Partnership for Peace e prende parte nell’ambito dell’Ue ai Battlegroups impegnati in missioni non solo di mantenimento ma anche di ristabilimento della pace.

 
All’Ucraina ha fornito finora 10.000 elmetti, 100.000 litri di carburante, 15 milioni di euro in aiuti umanitari e ha congelato 254 milioni di euro di oligarchi russi in 97 conti. Inoltre l’Austria ha deciso di aumentare il bilancio della difesa all’1 per cento del pil (4,3 miliardi di euro) contro lo 0,74 per cento finora (2,7 miliardi).

 
Per il politologo Heinz Gärtner quella austriaca “non è una neutralità di principio ma militare”. Il Trattato di Stato esclude sostanzialmente tre cose: coinvolgimento militare nei conflitti in altri paesi, stazionamento duraturo di truppe straniere in Austria, adesione ad alleanze militari. L’abbandono della neutralità è un tema ricorrente ma è sempre fallito. “Nessun grande partito è favorevole e neanche la popolazione”: in genere i sondaggi indicano un 75 per cento per il suo mantenimento. Da potenza imperiale, l’Austria, dopo la Prima guerra mondiale, era stata ridimensionata col trattato di Saint-Germain ai confini attuali ma senza neutralità. Mentre per Svezia e Finlandia la neutralità è solo una dottrina di politica estera, per Austria e Svizzera è fissata in trattati internazionali firmati anche da altri stati (Francia, Austria, Prussia per la Svizzera al Congresso di Vienna del 1814-15; gli Alleati per l’Austria col Trattato di Stato del 1955) i quali dovrebbero essere consultati in caso di modifica o revoca.

 
Il dibattito sulla neutralità ha rianimato stereotipi sempre latenti in Austria: austro-pacifismo, opportunismo, infantilismo, neutralismo, isolazionismo. Di segno opposto gli altri argomenti: orgoglio della diversità; siamo piccoli ma ascoltati e possiamo dare un contributo alla pace proprio perché neutrali; la neutralità ci ha garantito pace e sicurezza per 67 anni. Drastico il giudizio sulla neutralità dato dal defunto filosofo Rudolf Burger: “Autoinganno elevato a forma di vita”, una spietata politica, cieca dinanzi ai crimini e alla barbarie.

  
Nel 2001 un tentativo di disfarsi della neutralità e aderire alla Nato lo fece il cancelliere popolare (Övp) Wolfgang Schüssel, convinto che “i vecchi luoghi comuni dei lipizzani, le palle di Mozart e la neutralità non si adattano più alla realtà complessa del Ventunesimo secolo”. Forse aveva ragione ma lo stesso non ebbe successo. C’ha riprovato ora Andreas Khol, veterano Övp, ex presidente del Parlamento, che in un articolo sulla Kleine Zeitung rilancia l’idea dell’adesione alla Nato: “Uno stato neutrale senza alleanze è solo se viene aggredito”. 
  

L’attacco al vetriolo dell’opinionista Robert Misik: la neutralità è diventata una “religione civile”, una mentalità provinciale di comodo che instupidisce

  
Un attacco al vetriolo alla mentalità dietro la difesa della neutralità lo lancia sulla Zeit l’opinionista Robert Misik (firmatario della lettera): è diventata una “religione civile”. L’idea del “dialogo al posto della violenza” è simpatica ma funzionava in passato, ora nasconde una mentalità provinciale di comodo che instupidisce e rende “bifolchi applicati”: “Sulle grandi questioni geopolitiche gli austriaci sono come quei tifosi di calcio panzoni che dagli spalti urlano al campo e credono di saper giocare meglio”. 

  
L’interpretazione flessibile della neutralità, che include anche le sanzioni alla Russia, non piace a Mosca che ha reagito seccata alle critiche di Nehammer, definito cancelliere di una “apparente neutrale Austria”, e accusato di “retorica antirussa”. Il ministero degli esteri ha replicato sottolineando in una nota in russo e tedesco che “l’Austria è militarmente uno stato neutrale ma non lo sarà mai politicamente quando è in gioco il diritto internazionale. Non siamo affatto neutrali davanti alla violenza e non staremo mai zitti se viene aggredita la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza di uno stato”.

 

Diversamente da Svezia e Finlandia, Vienna non cerca l’adesione alla Nato: “L’Austria era neutrale, l’Austria è neutrale, l’Austria resterà neutrale”, ha tagliato corto Nehammer. Ma la discussione non è finita: i firmatari dell’appello “al mondo libero” sollecitano un dibattito serio. “L’aggressione della Russia in Ucraina non è solo un crimine e una tragedia, ma un ultimo campanello di allarme al mondo libero cui appartiene anche l’Austria. Se vogliamo mantenere il nostro modello di vita di società indipendente, democratica e rispettosa dello stato di diritto, dobbiamo avviare una discussione onesta su come e con quali capacità ci vogliamo difendere”. “La nostra neutralità – interpretata sempre in modo molto flessibile – non è stata mai verificata nella sua idoneità oggi, ma elevata a rango di mito”. Quale membro dell’Ue, l’Austria è già ora tenuta alla solidarietà: “Alla luce della attuale minaccia, urge un dibattito senza paraocchi” sulla politica di difesa e sicurezza nonché “una nuova dottrina militare”. In altre parole, sintetizza lo Standard: è auspicabile considerare un’adesione alla Nato.

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