Nell'Ue ognuno dice la sua sui rapporti con la Cina, ed è un problema

David Carretta

Da Macron a von der Leyen, da Michel a Borrell fino a Baerbock. Nel giro di due settimane si sono sentite almeno cinque voci dissonanti su Pechino parlare a nome dell’Europa. La cacofonia di messaggi rischia di riprodurre lo stesso errore fatto con la Russia

Bruxelles. Chi parla a nome dell’Europa? Le polemiche seguite all’intervista di Emmanuel Macron al suo ritorno dalla Cina hanno riportato d’attualità la vecchia domanda di Henry Kissinger sul numero di telefono da comporre per parlare con il vecchio continente. Peggio. La cacofonia di messaggi che partono da Bruxelles e dalle altre capitali europei rischia di riprodurre con la Cina di Xi Jinping lo stesso errore che era stato fatto con la Russia di Vladimir Putin: inviare segnali ambigui e contraddittori che non hanno effetti sull’interlocutore e permettere a un regime ostile di sfruttare le divisioni europee. Nel giro di due settimane si sono sentite almeno cinque voci dissonanti sulla Cina parlare a nome dell’Europa.

  

La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha fatto un discorso duro prima del suo viaggio a Pechino con Macron, incentrato sulla dottrina del derisking, cioè la riduzione dei rischi politici ed economici legati alla natura del regime di Xi. Il presidente francese, Emmanuel Macron, al ritorno da Pechino ha sostenuto in nome dell’autonomia strategica europea la tesi della quasi equidistanza tra Stati Uniti e Cina, perché l’Europa deve essere un “terzo polo” e tenersi distante dalle crisi “che non sono le nostre” (Taiwan). Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, martedì ha difeso le tesi di Macron sull’autonomia strategica dagli Stati Uniti in un mondo multipolare. L’Alto rappresentante, Josep Borrell, che a causa del Covid ha annullato un viaggio a Pechino, giovedì ha pubblicato un post sul suo blog per esprimere “la mia visione” sulla Cina, che è una via di mezzo tra l’autonomia strategica di Macron e il “derisking” di von der Leyen perché alla fine per lui sono “la stessa cosa”. Il ministro tedesco degli Esteri, Annalena Baerbock, durante una conferenza stampa a Pechino, ieri ha tenuto testa al suo omologo cinese, Qin Gang, sulla mancata condanna della guerra della Russia contro l’Ucraina, le dipendenze e gli squilibri economici, i diritti umani universali e Taiwan. “Un cambiamento unilaterale e violento dello status quo per noi europei sarebbe inaccettabile”, ha detto Baerbock.

  

I viaggi a Pechino in questo mese di aprile di Macron, von der Leyen, Borrell e Baerbock (prima era andato anche il premier spagnolo, Pedro Sánchez) erano stati organizzati per fare pressioni su Xi affinché esercitasse la sua influenza su Putin per mettere fine alla guerra in Ucraina. L’intervista di Macron ha mandato all’aria la strategia e provocato una dura reazione di buona parte dei partner europei. Pechino ha potuto sfruttare le dichiarazioni del presidente francese per la sua propaganda e dare una legittimità insperata alle sue mire su Taiwan. Borrell ha cercato un equilibrio confuso tra due posizioni inconciliabili. Baerbock ha voluto riparare i danni di Macron. Oltre a Michel che ha un conflitto personale aperto con von der Leyen, solo il premier ungherese, Viktor Orbán, ha lodato pubblicamente Macron. Nell’intervista  del venerdì a Kossuth Radio, Orbán ha definito Macron “l’unico leader con la capacità di pensare in termini storici” e lodato il suo concetto di autonomia strategica dell’Europa, perché “il continente deve perseguire i suoi interessi” facendosi “amici nel mondo, non nemici”.

  

In realtà, l’autonomia strategica rischia di diventare vittima del suo più grande promotore. Gran parte dei paesi europei – compresi quelli storicamente più reticenti – sono pronti a seguire Macron sul rafforzamento dell’indipendenza dell’Ue in vari settori, dalla Difesa all’energia, passando per le catene di approvvigionamento. Ma pur sempre rimanendo alleati di Washington perché a minacciare l’Europa non sono gli Stati Uniti, ma l’asse autoritario Cina-Russia.

  

L’autonomia strategica può servire in caso di ritorno di un Donald Trump alla Casa Bianca, ma deve essere applicata prima di tutto alla Cina, perché la lezione del gas russo è stata imparata. “I voli pindarici del presidente su Russia e Cina e la sua volontà di liberarsi dalla tutela americana, nel momento stesso in cui gli Stati Uniti volano in soccorso dell’Europa nella crisi ucraina, sconcertano gli europei dell’est e del nord”, ha spiegato ieri Laure Mandeville del Figaro: Macron “si è arrogato senza consultare nessuno il ruolo di leader dell’Europa di fronte alla Cina” ed esprime i suoi concetti come se “fossero sospesi sopra la realtà, slegati dai fatti”, incapace “di comprendere la natura e l’estrema pericolosità del momento geopolitico”.