La vanità di una talpa

I danni fatti da Jack Teixeira e gli scenari apocalittici che non lo erano

Paola Peduzzi

Il videogamer che ha fatto tirare più di un sospiro di sollievo – meglio lui che tutte le ipotesi degli ultimi giorni che presumevano l'esistenza di una regia da parte di un agente di qualche stato – e i leak da leggere bene 

Milano. Ieri sono state formalizzate le accuse a Jack Teixeira, il ventunenne arrestato giovedì perché sospettato di essere la talpa che ha messo online documenti segreti del Pentagono e dell’intelligence americana. Teixeira è accusato di due reati: la conservazione e la trasmissione non autorizzate di informazioni sulla difesa nazionale e la rimozione e la conservazione non autorizzate di documenti o materiali riservati – rischia in tutto quindici anni di carcere. Il ragazzo è arrivato ammanettato in un tribunale di Boston, il giudice gli ha chiesto se sapeva di aver il diritto di rimanere in silenzio, lui ha risposto di sì, e le altre parole che ha detto erano rivolte a suo padre in prima fila che gli ha urlato “ti vogliamo bene, Jack”: “Anch’io, papà”. 

 

Un amico del gruppo di videogamer in cui sono stati condivisi i documenti segreti ha raccontato di aver sentito Teixeira prima dell’arresto, in un audio convulso in cui diceva: “Non volevo che finisse così, ho pregato Dio che non succedesse, e ho pregato, pregato e pregato. Solo Dio può decidere cosa accadrà d’ora in poi”. Questo stesso amico – gli amici sono le fonti principali che hanno permesso ai giornalisti di arrivare fino a Teixeira prima dell’Fbi – ha detto che lui voleva “informare e fare colpo”: “E’ un ragazzo cristiano contro la guerra, voleva solo informare i suoi amici di quello che sta succedendo”. 

 

Per quanto i danni fatti alle relazioni internazionali da questo miscuglio di vanità, leggerezza e militarismo  non sia ancora calcolabile, lo “scenario Teixeira” ha fatto tirare più di un sospiro di sollievo: meglio lui che tutte le ipotesi che si sono moltiplicate negli ultimi giorni, che presumevano l’esistenza di una regia da parte di un agente di qualche stato. Certo, l’ottimo sarebbe che quel che è segreto resti segreto, ancor più quando è in corso una guerra che sta facendo migliaia di vittime, ma meglio Teixeira che una commissione da parte di un regime alleato della Russia o i paladini della trasparenza assoluta che in passato si sono rivelati – vedi Julian Assange, vedi Edward Snowden che hanno sempre detto di essere spinti “dal desiderio di rivelare quel che loro consideravano trasgressioni commesse dagli Stati Uniti”, come ha scritto David Sanger sul New York Times – in linea con la Russia, e poi  sulla sua busta paga.

 

Teixeira aveva la presunzione di spiegare il mondo, e la bruttura della guerra, a una trentina di coetanei e minorenni che lo ricambiavano trattandolo come un guru e in questa sua vanità da leader del gruppo ha commesso reati di cui probabilmente è già  pentito: non aveva un obiettivo strategico, diceva che il mondo è brutto e cattivo, armiamoci di videogiochi, pistole e un po’ di odio. Pericoloso sì, ma lo è ancora di più chi cerca ora di strumentalizzarlo, di fornirgli quell’obiettivo, quella causa, che né lui né i suoi amici avevano. Di drammatico semmai c’è il fatto che documenti che possono causare crisi diplomatiche anche profonde siano tanto accessibili  e trafugabili per un numero così grande di persone da renderne quasi impossibile il controllo. In realtà si era già posto di recente questo problema durante la presidenza Trump, quando leak e indiscrezioni erano all’ordine del giorno e la caccia alla talpa era un mestiere quotidiano (talpe di alto livello, non ventenni schiantati dal lockdown con un’idea perversa del patriottismo): è finita che Trump si è portato scatoloni di documenti segreti nella villa in Florida e li ha lasciati nello sgabuzzino degli ombrelloni.

 

Questo non significa che tale mole di informazioni raccolte per rimanere segrete e ora consultabili da chiunque sia innocua, tutt’altro. La pericolosità sta nel fatto che alcuni di questi documenti risalgono soltanto a quaranta giorni fa, che sono di un’attualità sconvolgente e quindi con un impatto concreto sull’oggi e sul prossimo futuro, in particolare per quel che riguarda la guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Indipendentemente dalle motivazioni di Teixeira, ognuno sta cercando di trarre qualche profitto spulciando tra questa caterva di informazioni. L’Amministrazione Biden ha già cominciato un’operazione di rassicurazione dei suoi alleati – gli ucraini, che sono quelli più esposti essendo gli unici a essere decimati sul campo di battaglia e nelle loro case, scuole e ospedali dai russi, sembrano i meno arrabbiati – mentre Mosca cerca di utilizzare i leak per dimostrare che gli americani sono ben più presenti e coinvolti in Ucraina di quanto vogliano dire. Ma anche i documenti segreti, come i dati, vanno letti con attenzione. Un esempio: i russi continuano a ripetere che i leak dimostrano che ci sono militari americani sul campo. E’ vero, c’è scritto che ci sono dipendenti del Pentagono in Ucraina, c’è anche il numero: 29, inclusi i marines di guardia all’ambasciata americana a Kyiv, lo staff dell’attaché della Difesa e i funzionari che si occupano del coordinamento della difesa. Non esattamente “boots on the ground”. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi