Foto di Aurelien Morissard, Pool, AP Photo, via LaPresse 

aiuto a morire

Presentato a Macron il parere della Convention citoyenne sul fine vita. Qualche risposta e tanti dubbi

Ferdinando Cancelli

Nel dibattito sull'eutanasia e il suicidio assistito il 75,6 per cento dei votanti si è espresso a favore. Ma ancora una volta si accendono i riflettori solo sull'autonomia e non sull'economia

Domenica, la Convention citoyenne sur la fin de la vie organizzata in Francia dal Consiglio economico, sociale e ambientale (Cese) ha pubblicato un importante parere sul fine vita, presentato ieri a Emmanuel Macron. Nell’ultima seduta svoltasi al Palais d’Ièna a Parigi, 162 cittadini su 176 hanno approvato il documento finale, senza giungere però a una visione univoca. Nato in seno al “dibattito nazionale sulla fine della vita” lanciato da Macron nel settembre 2022, il gruppo di cittadini estratti a sorte ha risposto alla domanda posta dal primo ministro Elisabeth Borne: “Il quadro d’accompagnamento della fine della vita è adatto alle differenti situazioni che si incontrano o dovrebbero essere introdotti dei cambiamenti?”.

E la risposta è venuta dopo ventisette giorni di lavori che in poco più di quattro mesi hanno visto confrontarsi giuristi, medici, religiosi, filosofi per deliberare, discutere e mettere ai voti varie proposte. Nel documento di 150 pagine  si legge chiara la risposta: “Il quadro attuale di accompagnamento della fine della vita non è adatto alle differenti situazioni incontrate”. E non lo è per due motivi: le disuguaglianze nell’accesso all’accompagnamento al fine vita e l’assenza di risposte soddisfacenti di fronte a situazioni particolari in fine vita, specialmente “nel caso di sofferenze fisiche o psichiche refrattarie”. Di fronte al primo motivo, le proposte mirano a “sviluppare l’accompagnamento a domicilio”, a “garantire le risorse economiche” per rendere effettivo quest’accompagnamento, a “sostenere una migliore formazione dei professionisti della sanità rispetto alle prese in carico palliative”, a “rinforzare per tutte e tutti ovunque l’accesso alle cure palliative”, a “informare meglio tutti i cittadini”, a promuovere la ricerca e lo sviluppo per prendere in carico la sofferenza e a migliorare l’organizzazione dei percorsi di cura della fine della vita. 

Rispetto alle sofferenze refrattarie si evince che il 75,6 per cento dei votanti si è espresso in favore dell’aiuto attivo a morire specialmente per “rispettare la libertà di scelta dei cittadini”, “colmare le insufficienze dell’attuale quadro legislativo”, “in particolare i limiti della sedazione profonda”, e “mettere fine alle situazioni di ipocrisia constatate”. La proposta maggioritaria è quella della necessità di permettere sia il suicidio assistito che l’eutanasia sebbene quasi un terzo dei votanti si sia espresso dicendo che l’eutanasia deve rimanere “un’eccezione” e, dato sottolineato anche nella sintesi del rapporto, circa un quarto dei cittadini si è pronunciato contro un’apertura all’aiuto attivo a morire.

Questi ultimi hanno sottolineato la scarsa conoscenza e applicazione in Francia dell’attuale legge Claeys-Leonetti del 2016, il rischio di derive che correrebbero le persone vulnerabili e il rischio di destabilizzazione del sistema sanitario “che vedrebbe forti reticenze di una parte dei professionisti sanitari”.Le condizioni per aver accesso all’aiuto attivo a morire sarebbero la volontà del paziente, “libera e manifesta”, espressa in maniera diretta o indiretta (tramite le direttive anticipate o la persona di fiducia); “l’incurabilità” (che sarebbe stato nettamente più chiaro esprimere come “inguaribilità”), la sofferenza refrattaria e la prognosi infausta. Non si ritrova nel documento un chiaro pronunciamento sulla possibilità che a chiedere di morire sia un minore. I luoghi per morire sarebbero quelli che oggi sono i luoghi di cura: il domicilio e le strutture sanitarie comprese le case di riposo e gli hospice. L’80 per cento circa dei votanti si è dichiarato a favore del riconoscimento di una clausola o di un’obiezione di coscienza dei sanitari che in quel caso dovrebbero “orientare il paziente verso un altro professionista”.

Il Monde ha presentato la notizia in modo tendenzioso. Vi si leggeva infatti che 162 cittadini su 176 votanti “si sono espressi in favore di un aiuto attivo a morire”, dato che non si ritrova con tali cifre nel rapporto della Convenzione. La Convention citoyenne non dice nulla di nuovo rispetto a quanto, molti anni fa, era già stato espresso dalla Legge Leonetti, poi divenuta Claeys-Leonetti: un enorme bisogno di estendere e promuovere una vera cultura palliativa che permetta a tutti di essere curati fino alla fine. Purtroppo quanto viene invocato come soluzione, l’aiuto attivo a morire, non andrà nella direzione auspicata e rappresenterà al contrario una soluzione rapida per problemi complessi. In tutti i dibattiti affrontati nei paesi occidentali nessuno tra i sostenitori di suicidio assistito e eutanasia ha mai l’onestà di dichiarare l’enorme vantaggio economico che deriverebbe per i sistemi sanitari nazionali dalla possibilità di “farsi da parte” prima del tempo. Ancora una volta si accendono i riflettori sull’autonomia e non sull’economia, spesso il vero “primo motore” che sta dietro tante sbandierate “scelte di civiltà”.

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