Foto di Manish Swarup, AP Photo, via LaPresse 

Altro che Cina

La pace all'indiana. Modi si costruisce uno spazio da mediatore tra Russia e Ucraina

Carlo Buldrini

Il governo indiano s’arma di neutralità per entrare da attore nel conflitto russo-ucraino. C’entra un calcolo elettorale, ma anche una politica di “non allineamento”. I guai dell’ambiguità

A Delhi sono convinti che l’India sia il solo paese in grado di far trovare un compromesso alle due parti in guerra in Ucraina. Per sette volte l’India si è astenuta dal voto nelle risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedevano alla Russia di cessare le ostilità e ritirarsi dai territori occupati. Rimanendo neutrale, la diplomazia indiana ha voluto guardare al conflitto ucraino in prospettiva. Ha creato così uno “spazio” all’interno del quale è possibile ora dare vita a una forte iniziativa di dialogo e di pace. Da poco diventata il paese più popoloso del mondo, l’India ritiene di avere la forza e l’abilità diplomatica per poter guidare ogni tentativo che conduca alla fine del conflitto. La sua posizione attuale di presidente del G20 l’avvantaggia, così come le dà credibilità la lunga storia di paese non allineato.

L’India è “non allineata” da prima di diventare indipendente. Nel gennaio del 1947, Jawaharlal Nehru, capo di un governo a interim, scriveva a K.P.S. Menon, nominato ambasciatore indiano nella Cina nazionalista: “Dobbiamo evitare il nostro coinvolgimento negli scontri tra due gruppi di potere. Oggi i due blocchi dominanti sono quello russo e quello anglo-americano. Dobbiamo essere amici di entrambi ma non dobbiamo unirci a nessuno dei due”. Come guida dei paesi non allineati, il paese di Gandhi e di Nehru ha ottenuto molti successi. Pochi oggi ricordano il ruolo che l’India ha avuto nel porre fine, nel 1953, alla guerra di Corea. Fu Nehru a suggerire alle Nazioni Unite l’istituzione di una commissione per lo scambio e il rimpatrio dei prigionieri di guerra (Neutral nations repatriation commission). Il maggiore dell’esercito indiano K.S. Timayya fu messo a capo della commissione e condusse in porto con successo l’operazione “Big Switch”.

Venendo all’oggi, sono le buone relazioni dell’India sia con gli Stati Uniti sia con la Federazione russa a rendere credibile una sua possibile mediazione tra Mosca e Washington. Il comune obiettivo di contenere le mire espansioniste della Cina nell’Indo-Pacifico e sugli alti contrafforti himalayani ha spinto India e Stati Uniti a una cooperazione sempre più stretta. A gennaio Piyush Goyal, il ministro indiano per l’Industria e il Commercio, si è recato a Washington e ha siglato importanti accordi nel campo della fabbricazione dei semiconduttori e della produzione di armamenti. Questo “perché l’India non ruba tecnologia”, ha chiosato il ministro indiano, con una evidente allusione alla Cina.

È stata poi la volta di Ajit Doval, consigliere per la Sicurezza nazionale indiana, a recarsi negli Stati Uniti dove ha dato vita a una iniziativa con la controparte americana nell’importante settore delle nuove tecnologie. Tre ministri del governo americano, Janet Yellen (Tesoro), Antony Blinken (segretario di Stato) e Gina Raimondo (Commercio), hanno già fissato le date dei loro rispettivi viaggi in India. Narendra Modi e Joe Biden si incontreranno a Hiroshima in occasione della riunione del G7, poi in Australia per il vertice dei leader del Quad e infine, a settembre, a New Delhi per il summit del G20 a presidenza indiana. 

Le relazioni con la Russia sono altrettanto buone. Il forte legame ancora oggi esistente tra l’India e la Federazione russa è spesso attribuito a una vecchia scuola di pensiero e a un atteggiamento sentimentale indiano nei confronti dei “bei tempi dell’Unione Sovietica”. Sono ancora in molti, tra gli intellettuali indiani di sinistra, a ritenere che non sia possibile fidarsi del “neoimperialismo americano” con la sua attitudine a usare i vari paesi del mondo per poi sbarazzarsene quando non servono più. L’attuale governo di  Delhi resta fuori dalle diatribe ideologiche e ha un atteggiamento molto pragmatico.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, le importazioni di petrolio greggi dalla Russia sono passate dai 68 mila barili giornalieri a un milione e mezzo di barili. Per il governo indiano il costo delle importazioni di greggio si è ridotto in un anno di tre miliardi e mezzo di dollari. Nello stesso periodo, il commercio tra India e Russia è aumentato del 130 per cento e ha raggiunto i 17 miliardi di dollari. Delhi sostiene essere suo “diritto morale” approfittare della migliore offerta in campo energetico per favorire un paese con un miliardo e mezzo di abitanti e con un reddito pro capite di soli 2 mila dollari. Ma non ci sono solo gli affari.

C’è anche un calcolo strategico a spingere l’India a mantenere buoni rapporti con la Russia. Rompere con la Federazione russa vorrebbe dire consegnala tra le braccia della Repubblica popolare cinese, cosa che l’India non si può permettere. L’amicizia che lega l’India alla Russia non ha impedito al primo ministro indiano Narendra Modi, in occasione del summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai che si è tenuto a Samarcanda nel settembre 2022, di dire in faccia a Vladimir Putin che “questo non è tempo di guerra”. Così come, sull’altro versante, il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, ha detto che “l’Europa deve uscire dalla mentalità secondo cui i problemi europei sono i problemi del mondo, mentre i problemi del mondo non sono problemi europei”.

In India, alcune voci di opposizione, criticano l’atteggiamento assunto dal governo nei confronti dell’Ucraina. Dicono che l’India sbaglia a considerare la guerra un problema solo europeo. La crisi alimentare ed energetica causata dal conflitto ha avuto ripercussioni globali. Ammettono che, il 24 febbraio 2022, il giorno in cui i due eserciti hanno cominciato ad affrontarsi in territorio ucraino, forse non c’era motivo per l’India di schierarsi. Ma quando la Russia ha cambiato la natura della guerra, bombardando città e infrastrutture civili come ospedali, scuole e centrali elettriche, una posizione neutrale non era più sostenibile.

Denunciano il fatto che, dall’acquisto a prezzo scontato del greggio russo, hanno profittato solo le grandi compagnie petrolifere indiane. L’uomo comune continua a pagare la benzina 100 rupie al litro e le bombole del gas da cucina 1.150 rupie, mentre i prezzi avrebbero dovuto scendere del 40 per cento. Shashi Tharoor, una delle poche teste pensanti del Partito del Congresso, sostiene che, con questa politica di equidistanza, la diplomazia indiana “ha perso credibilità, affidabilità e la possibilità di incidere”. Sottolinea la contraddizione di un primo ministro indiano che, a Samarcanda, dice a Putin che questo non è tempo di guerra per poi esitare nell’usare il termine “guerra” e parlare invece di “crisi ucraina”. “Se un giorno la Cina ci attaccherà nei confini settentrionali, potremmo trovarci isolati”, aggiunge il parlamentare del Congresso. 

Malgrado queste deboli critiche il governo indiano continua a tenere le sue carte coperte e resta fermo nella sua politica di non allineamento. (Modi, che odia Nehru, chiama questa politica “multi allineamento”, ma i due termini esprimono, di fatto, la stessa cosa). La riunione a Bengaluru dei ministri delle Finanze del G20 dello scorso mese di febbraio e quella dei ministri degli Esteri a New Delhi all’inizio di marzo, si sono concluse con un nulla di fatto. La Federazione russa e la Repubblica popolare cinese hanno rifiutato l’inserimento nei comunicati finali congiunti dei cosiddetti “paragrafi di Bali” con cui si era concluso il summit del G20 in Indonesia nel novembre 2022. Il paragrafo 3 attribuiva alla guerra in Ucraina le attuali fragilità economiche a livello globale e, in particolare, la crisi alimentare ed energetica. Intimava poi alla Russia il completo e incondizionato ritiro dal territorio occupato. Il paragrafo 4 chiedeva il rispetto delle leggi internazionali e riteneva inammissibile l’uso o la minaccia dell’uso di armi nucleari. Il ministro degli Esteri indiano Jaishankar, di fronte al sostanziale fallimento delle riunioni dei ministri delle Finanze e degli Esteri del G20, ha definito “prematura” la possibilità dell’India di assumere un ruolo di mediatore nel conflitto tra Russia e Ucraina.

L’India sa che le guerre finiscono in due casi: quando uno degli eserciti sconfigge chiaramente l’altro, o quando entrambi sono così esausti da non potere più continuare a combattere. La diplomazia indiana ritiene che, nella guerra in corso in Ucraina, si verificherà il secondo dei casi. Delhi, un po’ cinicamente, pensa che l’offensiva e la controffensiva di questa estate siano ormai inevitabili. Ci saranno altre migliaia di morti. Poi, all’inizio dell’autunno, arriverà il momento dell’India per entrare in scena. Sarà quello il tempo, a settembre, del summit  dei paesi del G20 a presidenza indiana. In quella occasione, con ogni probabilità, l’India cercherà di assumere nuovamente il suo ruolo storico di guida dei paesi non allineati e vorrà mettere in campo tutta la sua capacità di mediazione per giungere alla pace. A dar forza alla posizione indiana sarà il cosiddetto Sud globale. Indonesia, Sudafrica, Algeria, Mozambico, Bangladesh, Vietnam e tanti paesi ancora, appoggeranno l’iniziativa dell’India. Sono tutti paesi che rifiutano l’approccio dell’occidente di voler risolvere il problema ucraino con le armi ma, nello stesso tempo, condannano senza esitazione l’aggressione armata russa a un paese sovrano. 
In caso di successo, l’ambizioso premier indiano Narendra Modi – con lo slogan già pronto per il G20 di settembre: “Un Mondo, una Famiglia, un Futuro” – vestirà i panni del “Vishvaguru”, il termine sanscrito per “Maestro del mondo”. A quel punto, per lui, vincere le elezioni politiche indiane nel maggio 2024 sarà semplice come bere un bicchiere d’acqua.

Ma nel comunicato congiunto emesso al termine dell’incontro di Mosca tra Vladimir Putin e Xi Jinping c’è una frase che ha messo in allarme la diplomazia indiana. Vi si legge che “entrambe le parti condannano la politicizzazione degli organismi multilaterali e il tentativo di alcuni paesi di inserire questioni irrilevanti nell’agenda di tali organismi” (le “questioni irrilevanti” sono la guerra in Ucraina). Il riferimento del comunicato al prossimo vertice del G20 che si terrà a  Delhi, è apparso evidente a tutti. 

Russia e Cina, così come hanno fatto nelle riunioni dei ministri delle Finanze e degli Esteri che si sono tenute in India, sono pronte a far fallire anche il vertice indiano. Verrebbe così a mancare a Modi la carta vincente per le elezioni politiche indiane del prossimo anno, la cosa che maggiormente gli sta a cuore. È scattato allora il piano B. Un tribunale del Gujarat, lo Stato indiano che ha dato i natali a Narendra Modi, ha condannato a due anni di carcere Rahul Gandhi, il leader del maggior partito di opposizione. L’accusa è di aver detto, in un comizio elettorale tenuto nel 2019, che “tutti i ladri hanno Modi come cognome”. Rahul Gandhi è stato immediatamente espulso dalla Lok Sabha, il Parlamento indiano, e non potrà ripresentarsi candidato alle elezioni politiche del 2024. Anche se il vertice del G20 fallirà, il premier indiano si è così assicurato la vittoria alle prossime elezioni. A Narendra Modi – “il leader politico più amato del mondo” a detta del nostro presidente del Consiglio Giorgia Meloni – piace vincere facile.

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