L'Honduras molla Taipei, ma l'isolamento che sogna Pechino non c'è

Giulia Pompili

Sui paesi in rotta con gli Stati Uniti l’influenza cinese funziona, ma soprattutto dopo la guerra in Ucraina per molte delegazioni occidentali rompere il ricatto diplomatico di Pechino è diventata la normalità

Il numero di paesi che riconoscono formalmente la Repubblica di Cina – il nome formale dell’isola di Taiwan – potrebbe presto scendere a 13. “Ho incaricato il ministro degli Esteri Eduardo Reina di gestire l’apertura delle relazioni ufficiali con la Repubblica Popolare Cinese”, ha annunciato ieri su Twitter la presidente dell’Honduras Xiomara Castro, “come segno della mia determinazione a rispettare il piano di Governo ed espandere liberamente i confini di concerto con le nazioni del mondo”. Anche se non lo ha menzionato, riconoscere Pechino significa, automaticamente, smettere di riconoscere Taipei, secondo il principio “di una sola Cina” richiesto per stabilire relazioni diplomatiche formali con Pechino. La Repubblica popolare cinese, che rivendica Taiwan come proprio territorio, da anni lavora a un isolamento diplomatico dell’isola de facto indipendente e autogovernata di Taiwan. Ieri il ministero taiwanese della Difesa ha fatto sapere di non poter escludere che l’annuncio di Castro sia arrivato su pressione della Cina in un momento preciso, cioè per cercare di “interferire” con il viaggio della presidente taiwanese Tsai Ing-wen in America del nord, centrale e latina, previsto il mese prossimo, durante il quale la presidente dovrebbe incontrare il nuovo speaker del Congresso americano Kevin McCarthy.

 

Taiwan fino a oggi si è tenuta cara i quattordici paesi che la riconoscevano formalmente, ma uno a uno stanno cadendo rapidamente grazie all’offensiva diplomatica di Pechino: all’inaugurazione di Castro, l’anno scorso era volato il vicepresidente taiwanese Lai Ching-te e le relazioni tra i due paesi erano piuttosto consolidate. Il ministero degli Esteri di Taipei in un comunicato ieri ha avvertito il governo dell’Honduras di “non cadere nella trappola della Cina e prendere decisioni sbagliate”. 


Il tentativo di Pechino di isolare Taiwan diplomaticamente, e aumentare la pressione militare sull’isola con continue incursioni aeree, in realtà sta avendo un effetto contrario a quello sperato. Se sui paesi in rotta con gli Stati Uniti l’influenza cinese funziona, e certi annunci come quello di Castro servono spesso anche per avere una leva negoziale con Washington, tra i governi occidentali, soprattutto dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, rompere il ricatto diplomatico con Pechino è diventata la normalità. Sin dalla visita dell’allora speaker della Camera americana Nancy Pelosi a Taiwan, lo scorso agosto, le visite ufficiali di parlamentari e rappresentanti istituzionali occidentali a Taipei sono aumentate.  Una delegazione di sei membri del Congresso americano è arrivata ieri a Taiwan per una visita di due giorni, solo un mese dopo un’altra visita di un gruppo di quattro legislatori americani. Lunedì scorso è arrivata a Taipei la prima delegazione della storia di parlamentari del Kosovo, a settembre c’era stato un gruppo di parlamentari francesi e il 9 gennaio scorso una legazione di alto profilo tedesca, guidata dalla presidente della commissione parlamentare tedesca per la Difesa, Marie-Agnes Strack-Zimmermann. Secondo fonti del Foglio, sarebbe in preparazione anche il molto atteso viaggio di una delegazione parlamentare dell’Italia a Taiwan.

 

I partiti di maggioranza – Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega – durante la campagna elettorale avevano assunto posizioni  vicine a quelle di Taipei. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva  rilasciato un’intervista alla stampa taiwanese  e incontrato il rappresentante diplomatico di Taiwan a Roma, pubblicizzando l’occasione su Twitter e definendolo pubblicamente “ambasciatore” – la parola proibita, nella logica di Pechino, perché l’unico vero ambasciatore sarebbe quello della Repubblica popolare cinese. Poi però non era mai seguito nessun atto concreto alle dichiarazioni elettorali sulle relazioni con Taipei.  A breve potrebbe esserci finalmente il via libera alla visita di una delegazione parlamentare a Taiwan (guidata probabilmente da Lucio Malan, senatore di Fratelli d’Italia e presidente del Gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Taiwan): iniziativa parlamentare, appunto, e non governativa che lascia a Palazzo Chigi la mano libera nelle relazioni bilaterali con Pechino. 
Giulia Pompili 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.