Tiraspol. “Motivo della visita?”. “Turismo”. L’ingresso nel paese che non esiste è interdetto ai giornalisti. Il primo checkpoint è quello moldavo, seguito pochi metri dopo da quello dei peacekeepers russi. In entrambi nessuno domanda nulla. Il terzo, quello decisivo, è invece quello transnistriano. I militari ti consegnano una sorta di scontrino: dentro c’è una data di scadenza (nel mio caso, dieci ore dopo l’ingresso) superata la quale la presenza nella regione separatista sarà illegale. Meglio non perderlo. Il modo più sicuro per raggiungere la Transnistria è a bordo di una maršrutka, il tradizionale piccolo bus sovietico. Se invece viaggi in macchina è probabile che la rivoltino per controllare tutto, a meno che non sia targata Transnistria, letteralmente “oltre il fiume Dnestr”. Per chi ci vive, invece, è Pridnestrovie (“presso il Dnestr”). Il nome Transnistria è inviso agli abitanti della regione per due motivi: innanzitutto perché il confine non segue esattamente il corso del fiume e soprattutto in quanto era il nome usato dai fascisti rumeni.
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