Foto Ap, via LaPresse

Teheran e noi

L'Iran non è un problema solo di Israele. Parla Spyer

Daniel Mosseri

La guerra in Ucraina e l’instabilità politica di Teheran aumentano la minaccia, anche in Europa. Intervista all'analista e scrittore anglo-israeliano

Berlino. Un braccio di ferro che attraversa i decenni. Una sfida tra due parti con la prima che minaccia regolarmente di distruggere la seconda e la seconda che fa di tutto per intralciare la controparte e mettere il mondo in guardia dai rischi che rappresenta. Allo scontro a distanza fra Israele e Iran siamo ormai abituati da anni ma i suoi contorni non sono immutabili. Al contrario, sia la guerra russo-ucraina sia l’instabilità politica nella Repubblica islamica stanno ridisegnando il quadro della contrapposizione, con ricadute anche in Europa. A parlarne con il Foglio è Jonathan Spyer, analista e scrittore anglo-israeliano, a Berlino per una serie di conferenze.

 

Ricercatore del Jerusalem Institute for Strategy and Security (Jiss) e già columnist del Jerusalem Post, Spyer concentra il suo lavoro sull’Iran e i suoi alleati. Per meglio inquadrare la traiettoria di Teheran sullo scacchiere regionale, l’analista ricorda che quasi tutti gli stati della regione, diventati indipendenti negli anni 50 e 60, “sono stati a lungo caratterizzati da una strana combinazione di fallimento e stabilità”. Regimi come l’Egitto, la Siria, la Libia, lo Yemen, incapaci di sviluppare istituzioni, economia e società civili forti e che però hanno resistito per oltre mezzo secolo. Fino alla primavera araba. Non importa se pro-occidente (l’Egitto di Hosni Mubarak) o pro-russi (la Siria della famiglia Assad), “questi regimi sono poi crollati come pedine del domino”. Al loro posto sono subentrate instabilità, frammentazione, guerra di successione. Curiosamente lo stesso è successo per le organizzazioni paramilitari diventate così forti negli anni della primavera araba. Spyer pensa alle Syrian Democratic Forces (Sdf) e soprattutto all’Isis, che controllava grandi porzioni di territorio in Siria e in Iraq. “Sono sopravvissute solo quelle sostenute da uno stato, perché in medio oriente gli stati sono ancora quelli che contano, persino nel contesto post-primavera araba”. E qui entra in gioco l’Iran con i suoi alleati di successo: Hezbollah in Libano, gli Huthu in Yemen, le milizie sciite Hashd al-Shaabi in Iraq, lo stesso regime di Assad in Siria fino al Jihad Islamico in Palestina, “e in qualche misura anche Hamas a Gaza”. Non è certo un caso che dietro a ciascuna di queste temibili organizzazioni ci sia la mano di Teheran. Al contrario, sottolinea Spyer, il regime degli ayatollah ha sviluppato “la specifica capacità di coltivare e sostenere alleati politici e militari nella regione”. Affidata ai Guardiani della rivoluzione (Irgc) questa attività ha prodotto successi insperati proprio perché condotta in una regione caratterizzata da stati falliti: in questo contesto chi cresce e rafforza partiti-milizia forti e radicati diventa indirettamente il padrone dello stato stesso.

 

Su tutti il caso di Hezbollah è quello più lampante: uno stato nello stato, meglio organizzato e meglio armato delle stesse Forze armate libanesi (Laf). Ed ecco perché Bashar Assad, esponente della minoranza alauita, è riuscito a imporsi sull’esercito regolare sunnita: “Nel 2012 ha chiesto aiuto all’alleato iraniano che nel giro di due anni ha organizzato, addestrato e armato una contro-milizia (National defense forces) ben armata e addestrata grazie alla quale si è imposto sui sunniti fino all’arrivo dei russi”. Per Spyer gli sforzi dell’Iran sono tanto più notevoli se si considera che “è un paese in via di sviluppo, economicamente debole e militarmente mediocre: ma nella guerra per procura Teheran eccelle su tutti”. Uno sforzo notevole per ottenere l’egemonia su due regioni, il Mediterraneo, verso ovest, e il Golfo persico, verso sud, con l’obiettivo di espellere l’occidente, e soprattutto Israele, dal Medio Oriente, senza dimenticare un pizzico di messianismo sciita. “Perché da occidentali”, sottolinea Spyer “non dobbiamo soccombere alla tentazione di credere che il mondo si muova solo per scelte razionali”.

 

Poi c’è l’Europa: un continente che si è a lungo illuso che l’Iran fosse un problema solo di Israele. Un atteggiamento che sta cambiando solo oggi dopo una lunga serie di atti criminali imputabili a Teheran o a suoi alleati. L’analista ricorda l’attacco di Burgas in Bulgaria nel 2012, il sequestro di tonnellate di nitrato d’ammonio a Londra (2015), gli omicidi di dissidenti iraniani nei Paesi Bassi (2015 e 2017), un tentativo di omicidio in Danimarca (2018), ma anche la recente fuga negli Stati Uniti di un canale satellitare iraniano dissidente con base a Londra che il governo britannico non ha saputo difendere dalle minacce del regime. “I primi atti di terrorismo condotti dagli iraniani in Europa risalgono a molto prima”, riprende Spyer menzionando l’omicidio di quattro curdi iraniani in un ristorante a Berlino nel 1992. Eppure, l’Europa resta molto cauta. Nello stesso Regno Unito Hezbollah è stata messa fuorilegge solo nel 2019, e sebbene due mesi fa il Parlamento abbia chiesto al governo di fare lo stesso con l’Irgc, “il governo nicchia, forse perché il Foreign Office spera ancora di siglare un accordo con Teheran sul nucleare”.

   

La bomba iraniana è da sempre l’incubo di Israele: all’Europa, invece, è servita l’invasione dell’Ucraina per capire che Mosca e Teheran hanno firmato un patto strategico per un nuovo ordine globale. “I russi bombardano le infrastrutture ucraine con i droni iraniani e l’Iran si appresta ad aprire una fabbrica di droni sul suolo russo”. Teheran agisce anche da guardiano degli avamposti russi sul Mediterraneo (Tartus, Siria), “tanto più che i russi hanno ritirato il sistema anti-aereo S-300 per dispiegarlo sul confine con l’Ucraina”. E se ieri i combattenti affluivano dalla Russia verso la Siria per aiutare Assad, il flusso ha cambiato direzione con Hezbollah che seleziona miliziani palestinesi da inviare a combattere a fianco dell’esercito russo.

 

Nell’Iran di oggi, debole non solo economicamente ma guidato da un regime largamente impopolare, Spyer rivede una versione moderna della Ddr. “Anche quello ero uno stato fallito sotto ogni livello ma per sovversione e intelligence era una potenza globale”. In maniera analoga gli iraniani investono solo in guerre per procura, guerre irregolari, utilizzo di organizzazioni paramilitari e utilizzo del terrore. Resta da capire se per uno stato sia possibile sopravvivere con un armamentario forte ma limitato. Spyer risponde citando uno degli slogan della contestazione esplosa lo scorso settembre nella Repubblica islamica: “No Gaza, no Libano, la mia vita solo per l’Iran”. Gli iraniani per primi contestano gli investimenti degli ayatollah sui teatri esteri, ma il rovescio della medaglia è che l’Irgc e i fedeli Basij sono anche maestri di repressione. “La situazione non è sostenibile e tutto indica che il regime crollerà: noi però non sappiamo se è questione di giorni, anni o decenni”.

 

Mentre l’Iran cambia da dentro, la regione si trasforma: Spyer osserva il rafforzamento di due contro-alleanze strategiche: gli Accordi di Abramo (centrati sull’asse Israele, Eau, Arabia Saudita) e il più recente Gruppo i2u2 con Israele, Emirati, India e Stati Uniti. Lo stato ebraico è al cuore di due coalizioni rivolte contro Teheran. “Ma attenzione”, riprende l’analista, “nelle alleanze ci sono anche gli Emirati che da un lato comprano sistemi di difesa da Israele, dall’altro conducono una politica di appeasement verso Teheran”. Né va dimenticato che gli ayatollah hanno alleati, “anzi dipendenti” si corregge Spyer, nel cortile di casa di Israele. Scatenare una nuova intifada grazie al Pij o una guerra tramite Hamas, che dalla Turchia e dal Qatar riceve fondi ma dall’Iran riceve armi, avrebbe l’effetto di raffreddare, complicandole, le relazioni fra Israele e il mondo arabo sunnita. “Il ramadan è alle porte e la tensione in Giudea e Samaria è già bollente”. Spyer torna a sottolineare l’unicità dell’operato di Teheran: “Fondono la politica e la guerra. Trovano un movimento politico, lo addestrano e lo armano”. Se un domani gli ayatollah cadessero e con loro finisse il sostegno finanziario e militare agli alleati, alcuni di questi sparirebbero (Pij) o uscirebbero molto ridimensionati (Hezbollah, Huthi, Hashd al-Shaabi), “un po’ come è successo ai terroristi palestinesi di scuola marxista spariti dopo il crollo dell’Urss”.

     

A fare la differenza nella regione sarà la bomba iraniana. Israele non vuole che l’Iran ottenga l’invulnerabilità che la bomba atomica può fornire a uno stato, tanto più quando questo già pratica politiche aggressive nella regione. L’atomica persiana scatenerebbe poi una corsa agli armamenti con almeno Turchia, Egitto e Arabia Saudita decise a colmare il gap con la Repubblica islamica. Benché remota, neppure l’opzione dell’uso della bomba contro Israele può essere esclusa da parte di un regime “non privo di venature messianiche e millenaristiche”. Spyer prevede che se gli ayatollah porteranno il progetto a compimento si arriverà a un’azione militare: non ci saranno boots on the ground ma una grande operazione aerea. L’analista non crede a una reazione di tipi nazionalista da parte dell’iraniano medio. “Negli scorsi mesi ho incontrato tanti profughi iraniani sul confine col Kurdistan iracheno: gli iraniani sono nazionalisti ma non odiano Israele. E soprattutto non ritengono il regime oggi al potere a Teherab un legittimo rappresentante del popolo iraniano”. 

Di più su questi argomenti: