Foto di Antonino Durso, via LaPresse 

la riflessione

Sui migranti l'Europa abbia la stessa unità dimostrata con l'Ucraina

Sergio Belardinelli

Il naufragio di Cutro ha smosso ancora una volta le coscienze. Ma tutti sono più o meno convinti che l'Ue non metterà in campo una soluzione reale neanche questa volta. La solidarietà tradita deve spingere a trovare risposte concrete e comuni, come nel caso dell'aggressione russa

Davanti all’enormità del naufragio di domenica scorsa sulla costa calabrese siamo tutti un po’ sgomenti, e bene ha fatto il presidente Mattarella a levare il suo grido di dolore, chiedendo altresì all’Europa di assumere “finalmente in concreto la responsabilità di governare il fenomeno migratorio”. Non se ne può letteralmente più del clima di ignoranza, indifferenza, ipocrisia e cinismo che contraddistingue il nostro dibattito pubblico su questo problema. Resta tuttavia il dubbio che, passata l’emozione del momento, anche le parole del nostro presidente resteranno lettera morta.

 

In fondo, chi più chi meno, anche con qualche buona ragione, siamo tutti convinti che l’Europa non ce la possa fare a prendere di petto il problema. Troppo diverse le prospettive sull’immigrazione, troppo sensibili le opinioni pubbliche dei diversi paesi su un tema divenuto ovunque semplice oggetto di propaganda da parte dei leader politici di tutti gli schieramenti. Di conseguenza, anziché reagire, magari imponendoci un’inversione di rotta che sia conforme a quella che resta pur sempre l’identità profonda di noi europei – penso a un ideale di uomo che è universale e nel contempo comunitario, dotato di incommensurabile dignità, libertà e doveri, primi fra tutti quelli verso noi stessi e la nostra comunità, nonché verso chiunque si trovi in pericolo; anziché reagire, dicevo, prendendo sul serio tutto questo, ripieghiamo ora su insulsi bigottismi identitari, ora su altrettanto insulsi bigottismi solidaristici, ora sul morbido tepore/torpore dell’inevitabile decadenza. Un ripiego peggiore dell’altro.   

 

Le centinaia, forse migliaia, di disperati che muoiono affogati nelle acque del Mediterraneo, trasformando il mare nostrum in un enorme cimitero, rappresentano non soltanto il segno dell’incapacità dell’Europa di gestire politicamente e culturalmente una catastrofe umanitaria, di accogliere chi deve essere accolto, impedendo nel contempo un’immigrazione fuori controllo; questi morti evocano più di ogni altra cosa il disfacimento del Mediterraneo e, quindi, dell’Europa stessa. Come ha scritto in una pagina molto bella Predrag Matvejevic’, “lungo le coste di questo mare passava la via della seta, s’incrociavano le vie del sale e delle spezie, degli olii e dei profumi, dell’ambra e degli ornamenti, degli attrezzi e delle armi, della sapienza e della conoscenza, dell’arte e della scienza. Gli empori ellenici erano un tempo mercati e ambasciate. Lungo le strade romane si diffondevano il potere e la civiltà. Dal territorio asiatico sono giunti i profeti e le religioni. Sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa”. 

 

Mi rendo conto che, dopo l’ennesimo naufragio di domenica scorsa, la tentazione sarebbe quella di dire che oggi non è più così, che l’Europa ha dimenticato se stessa e, un po’ come il suo mare, sta perdendo ormai inesorabilmente qualsiasi forma di vitalità. Oltretutto anche su altri fronti, dalla demografia alle istituzioni educative alla politica, si respira ormai un’aria di decrepitezza. Eppure guai ad assecondare la suddetta tentazione. Come ci ricorda Maria Zambrano, “l’Europa è forse l’unica cosa nella storia che non può morire del tutto. L’unica cosa che può risuscitare”. 

 

Il che significa che anche in tempi di crisi, abbiamo le risorse per uscirne a testa alta. Ce lo sta insegnando la guerra in Ucraina e soprattutto ce lo stanno insegnando gli ucraini. Chi avrebbe detto che l’Europa sarebbe stata capace di tanta unità e solidarietà? Chi avrebbe detto che il popolo ucraino sarebbe stato tanto coraggioso? Putin sicuramente non lo immaginava. Occorre dunque che l’Europa sappia essere se stessa anche di fronte al problema dell’immigrazione. A tal proposito il primo dovere che abbiamo è quello della chiarezza. Visto il carattere geopolitico del fenomeno migratorio, non potrà esserci una politica dell’immigrazione europea, senza una vera e propria politica estera europea.

 

Che cosa vuole rappresentare l’Europa (dico l’Europa, non la Francia, la Germania o l’Italia) rispetto ai paesi, non soltanto africani, dai quali centinaia di migliaia di persone scappano per la miseria, la guerra e la fame? Questa è la domanda che dovremmo porci, al fine di orientare di conseguenza le nostre politiche migratorie e le trattative con gli stati dai quali sappiamo che la gente fugge. Altro che offrire a questo o a quel tiranno qualche miliardo di euro per tener lontani da noi quanti più disperati possibile!  

 

Quanto all’Italia, al momento di sicuro essa non è in grado di accogliere tutti coloro che si riversano sulle sue coste, ma questo non può voler dire che vanno finanziati i lager dove si impedisce loro di partire, né che vanno lasciati morire in mare coloro che riescono a farlo grazie a qualche scafista criminale, né che bisogna predicare l’accoglienza e magari anche la concessione della cittadinanza politica, senza essere in grado di garantire nemmeno i più elementari diritti sociali ed economici: un lavoro regolare, una casa decente, l’assistenza sanitaria e via di seguito. Una ragione in più per sperare che a muoversi sia l’Europa.

Di più su questi argomenti: