il reportage

La mattina speciale della capitale Kyiv bloccata e grata: Biden è qui

Micol Flammini

Tra le commemorazioni del 2014, il sorriso stampato sul volto degli ucraini: “E’ arrivato il presidente americano”

Kyiv, dalla nostra inviata. “C’è Joe Biden!”, hanno esclamato gli ucraini increduli e grati. Perché lo aspettavano, il presidente americano, lo avevano invitato, chiamato, voluto e nella settimana in cui si ricorda l’inizio dell’invasione russa è arrivato tra le sirene antiaeree che non si sentivano da qualche giorno. E non è comparso in una data qualsiasi, ma mentre il cuore di Kyiv, Piazza Indipendenza, ricordava le proteste e i manifestanti uccisi nel primo forte atto di questa guerra divisa in fasi: Euromajdan. Le foto degli ucraini caduti nelle manifestazioni del  2014 sono ovunque, percorrendo corridoi di occhi e di nastri blu e gialli, gli abitanti di Kyiv portavano rose rosse alla “centuria celeste”. Così sono chiamate le vittime, “gli eroi”, come vengono identificati in questa città-museo che ogni giorno che passa aggiunge una teca, uno strato, tra i cavalli di Frisia, i carri armati russi, pezzi di armi. Nella storia si è aggiunta la visita del presidente americano, arrivato per guardare al futuro e non al passato. Anche lui ha voluto rendere omaggio ai caduti, i soldati morti dal 2014 durante la guerra nel Donbas, iniziata dopo l’occupazione della Crimea da parte di Mosca.  

 

Kyiv attendeva Biden tra le strade bloccate in maniere diversa dal solito: gli ucraini hanno imparato a riconoscere ogni segnale, dal rumore delle bombe ai blocchi in città e quelli indicavano che nella capitale era in arrivo qualcuno di diverso, un ospite speciale. Indicavano che quello era un momento che  stavano aspettando, proprio nei giorni in cui in molti si ripetono: non sappiamo cosa accadrà, non sappiamo come reagirà Vladimir Putin, ma dobbiamo essere moralmente pronti.  Biden ha deciso di partire per Kyiv venerdì, da quel momento una squadra non numerosa di suoi collaboratori si è messa al lavoro per garantire la sicurezza di questo viaggio storico e portare il presidente in un paese in guerra, in cui i bombardamenti costringono gli abitanti a scendere sottoterra e ripararsi, e senza lo scudo protettivo americano. La notizia dell’arrivo di Biden è giunta tra gli allarmi che non hanno interrotto la sua visita. Il Cremlino era stato avvisato poche ore prima della partenza del presidente americano e probabilmente Putin approfitterà del discorso alle Camere riunite atteso per martedì per rispondere. Non sono molte le ripicche  o le accuse  che può fare  davanti allo spettacolo di solidarietà occidentale dopo un anno di guerra che ha insegnato che molto è possibile: resistere ai russi, rinunciare al gas di Mosca, armare l’Ucraina. Anche il viaggio di Biden sembrava impossibile. Anche il sole sfacciato sembrava impossibile. 

 

I due presidenti, americano e ucraino, si sono incontrati a Palazzo Mariinsky, Biden è arrivato con una cravatta blu e gialla, hanno parlato di aiuti e di armi, il capo della Casa Bianca ha promesso un nuovo pacchetto da mezzo miliardo di dollari, e del processo di pace. La seconda tappa è stata il monastero di San Michele, luogo simbolo della resistenza ucraina, che nascose i manifestanti in fuga dagli omon mandati a malmenarli dal presidente filorusso Viktor Yanukovich. L’ultimo punto della visita è stata l’ambasciata americana a Kyiv. Infine, il treno per Varsavia. Anche l’arrivo in Ucraina è stato in treno, dopo un viaggio di dieci ore partito dalla Polonia in assoluta segretezza. 

 

Gli ucraini si aggiravano per il centro con il sorriso stampato in volto, non dimenticano mai che c’è la guerra ma l’arrivo del capo della solidarietà occidentale, l’architetto, il direttore d’orchestra instancabile, era il segnale che desideravano, tanto più questa settimana. Instancabile è anche Kyiv, con i soldati in giro per le strade che fanno raccolte fondi per Bakhmut, chiedono soldi senza insistere, spiegando perché potrebbero essere importanti. Con i ragazzi che sotto le immagini dei caduti di Euromajdan tolgono i fiori secchi e ne mettono di nuovi. Con i signori anziani che si avvolgono  la bandiera ucraina attorno alle spalle e a piedi fanno la salita dedicata alla centuria celeste. Leopoli, lontana, sonnecchia. Kyiv stringe i denti e ricorda tutto. Non è questa la città della stanchezza.  Dopo il tuffo ucraino di Biden, lo staff del presidente russo Vladimir Putin avrà probabilmente rimesso mano al discorso, il suo megafono ed ex premier, Dmitri Medvedev, ha già detto che Biden è passato dalla parte del governo neofascista. La loquace portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha invece avvisato che Zelensky finirà come tutti i progetti americani: “Maledetti dalla loro stessa gente, inutili”. Un pronostico frettoloso, la guerra è stata un progetto di Putin e il progetto di Zelensky e di Biden è per una vittoria che porti a una pace che i due presidenti hanno definito “durevole e giusta”.  Kyiv, schietta e ruvida, si è sentita abbracciata. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.