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l'intervista

Cosa ci vuole (e quali sono i rischi) per riformare l'Fbi. Parla Douglas Charles

Matteo Muzio

L'arresto dell’ex capo della sede newyorchese Charles McGonigal ha riaperto il dibattito sullo stato dell'agenzia governativa americana. Lo storico della Penn State University ci aiuta a capire i paralleli con il passato

La reputazione dell’Fbi è sotto attacco da molti anni per varie ragioni. Da parte dem, per la gestione discutibile nell’autunno 2016 dell’indagine sul server delle mail inviate da Hillary Clinton durante il suo mandato da segretario di stato e desecretate dall’allora direttore James Comey a pochi giorni dalle elezioni che avrebbero incoronato Donald Trump. I repubblicani, viceversa, accusano l’agenzia di essere “politicizzata” e di aver cercato di incriminare Donald Trump, reo di voler scardinare certe dinamiche di potere. Più di recente, l’arresto dell’ex capo della sede newyorchese Charles McGonigal lo scorso gennaio, accusato di aver lavorato segretamente per l’oligarca putiniano Oleg Deripaska. Secondo lo storico Douglas Charles, docente alla Penn State University e autore di numerosi libri sulla storia dell’Fbi, l’ultimo dei quali s’intitola Hoover’s War on Gays, le ragioni di questa erosione di consenso hanno radici più profonde. E risalgono all’epoca proprio del direttore J. Edgar Hoover, a capo dell’agenzia dal 1924 al 1972, un periodo lunghissimo durante il quale “l’agenzia ha compiuto numerosi abusi contro le minoranze etniche, gli estremisti politici e quelli che allora venivano definiti “deviati””, spiega Charles. Un periodo che ha fatto sì che nel corso degli anni ‘70 la reputazione dell’Fbi abbia molto sofferto “per poi recuperare grazie ad alcune indagini negli anni ‘80 contro alcuni criminali e serial killer”. Alla vigilia dell’11 settembre, c’è l’arresto di Robert Hanssen, avvenuto il 18 febbraio 2001: per oltre vent’anni aveva passato cruciali informazioni d’intelligence prima all’Unione Sovietica e poi alla Russia. Secondo Charles “l’arresto di McGonigal ha potenzialmente lo stesso impatto che può avere quello di Hanssen, ma ora non possiamo ancora saperlo”.

 

Quello che però sappiamo adesso è che le critiche dem all’Fbi, ora, appaiono molto flebili, mentre quelle repubblicane, rafforzate dalla conquista della maggioranza alla Camera, salgono sempre di più, con la promessa di indagare sui presunti “crimini” dell’agenzia. Per Charles non c’è nulla di serio in tutto ciò: “Al netto dell’ironia storica che ci dice che i repubblicani sono stati i maggiori sostenitori dell’agenzia per decenni. Non caveranno nulla e cercheranno di far girare storie non confermate solo per compiacere il proprio elettorato”. L’Fbi però avrebbe bisogno di riforme serie, che riguardano in primis il terrorismo interno: “Dal 2012 la principale minaccia da affrontare sono i gruppi armati di estrema destra suprematista, e siccome storicamente hanno sempre preso di mira l’estremismo di sinistra e altri terroristi esteri, stanno cercando di riassestarsi da anni, cosa che durante il quadriennio trumpiano non è stato facile, dato che potevano essere tacciati di partigianeria politica qualora venissero aperte inchieste ad esempio sui Proud Boys” argomenta Charles. Quello che manca insomma è una legge specifica che consenta di perseguire meglio il terrorismo made in Usa, dato che non esiste un reato specifico né un corpus di norme come nel caso dei gruppi internazionali, “così è più difficile lottare per sciogliere eventuali associazioni a delinquere” secondo il docente. Questo però non sarà facile nemmeno per i dem. Però c’è una cosa che si può fare facilmente: “Alcune riforme interne sono possibili in quanto, trattandosi di un’agenzia federale, le regole si possono cambiare con un semplice ordine esecutivo” secondo Charles. Poi c’è la questione dell’influenza russa, che anche in quel caso potrebbe essere combattuta a colpi di irrigidimento delle regole interne.

 

Quello che però bisogna tenere in mente è che non bisogna mai oltrepassare certi limiti: “Ancora oggi gli abusi dell’epoca di Hoover consentono ai repubblicani trumpiani di accusare facilmente l’Fbi senza prove e di risultare credibili. Certe azioni hanno lasciato un segno duraturo” conclude Charles. Se le riforme quindi sono necessarie, attuarle è quasi impossibile. E qualora Biden si decidesse per un decreto esecutivo per riformare l’Fbi, probabilmente verrebbe accusato di abuso di potere. E a finirci di mezzo, tanto per cambiare, sarebbe la credibilità di un’agenzia cruciale per la sicurezza americana, che non si può permettere di essere vulnerabile alle infiltrazioni di potenze ostili come la Russia.

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