(foto EPA)

a washington

I passi falsi di Biden. Così la nomina speciale del repubblicano Hur rischia di essere una zappa sui piedi

Giulio Silvano

Il caso dei documenti di Biden, seppur molto diverso da quello di Trump, diventa un’arma nelle mani di un Gop che ha appena preso il controllo della Camera e che da tempo non vede l’ora di usare l’arma della giustizia per minare la rispettabilità del presidente

Dopo il ritrovamento di documenti classificati nella residenza privata di Joe Biden e nell’ufficio del suo think tank, il procuratore generale Merrick Garland ha deciso di nominare un procuratore speciale che si occuperà del caso. Si tratta di documenti appartenenti al periodo in cui Biden era vice presidente di Obama. Se ne sarebbe potuto occupare il dipartimento di Giustizia, ma i democratici, di fronte a questi ritrovamenti che hanno subito permesso parallelismi con i documenti top secret portati da Donald Trump a Mar-a-Lago, sembrano voler mostrare una integrità procedurale da primi della classe. Il rischio, però, è darsi la zappa sui piedi.

La scelta di Garland potrebbe esser stata condizionata dal fatto che solo pochi mesi fa ha scelto di nominare un altro procuratore speciale per occuparsi dei circa 13.000 documenti trafugati da Trump e portati in Florida alla fine della sua presidenza – quindici scatoloni pieni di carte, tra cui segreti militari sul nucleare e report dell’intelligence sull’Iran e sulla Cina. Garland, scelto da Biden nel 2021 per la guida del dipartimento di Giustizia, non ha voluto usare due pesi e due misure. 

 

E così adesso il presidente e l’ex presidente, sfidanti alle elezioni del 2020 (e forse del 2024), sono entrambi sotto indagine per non aver consegnato tutto agli archivi nazionali, come richiede la procedura. Il procuratore speciale per il caso Biden è il repubblicano Robert K. Hur, già nominato da Trump come procuratore generale del Maryland. Volendo schivare accuse di faziosità partitica, Garland ha nominato uno come Hur, che ha lavorato ed è stato vicino a figure conservatrici come il direttore dell’Fbi Chris Wray e Rod Rosenstein, scelto da Trump durante il suo mandato come vice procuratore generale. Hur, cinquantenne, di origini asiatiche, aveva assistito Rosenstein mentre lavorava al Russiagate, l’investigazione guidata da un altro procuratore speciale, Robert Mueller, per cercare eventuali ingerenze russe nella campagna elettorale delle presidenziali del 2016, dove fu sconfitta Hillary Clinton. L’investigazione provò poco, mantenendo il dubbio di una collusione con la Russia. Con Mueller si è aperta una stagione di procuratori e di uso del dipartimento di Giustizia per attaccare l’operato delle amministrazioni precedenti, sintomo di una forte polarizzazione politica. 

 

Hur dovrà riempire i vuoti a cui Biden non ha risposto due giorni fa davanti ai giornalisti: non solo come sono arrivati lì i documenti e  se è stato intenzionale o meno, ma anche perché la notizia è venuta fuori due mesi dopo il primo ritrovamento e perché a occuparsi delle ricerche non è stata l’Fbi ma gli avvocati personali del presidente. Il fatto che tra il primo ritrovamento e la divulgazione della notizia ci siano state le elezioni di metà mandato ha esaltato subito i repubblicani che vorrebbero usare questo passo falso di Biden per mettere in crisi la Casa Bianca e paragonare i suoi comportamenti a quelli di Trump. Gli avvocati del presidente, come ha detto uno di loro, Richard Sauber, sono convinti che andando a fondo verrà dimostrato che “questi documenti sono stati smarriti inavvertitamente”, sottolineando inoltre la loro prontezza nell’avvertire le autorità competenti. Il caso dei documenti di Biden, seppur molto diverso da quello delle migliaia di carte trovate dai federali a casa di Trump, diventa un’arma nelle mani di un Gop che ha appena preso il controllo della Camera. Un Gop che da tempo non vede l’ora di usare l’arma della giustizia e delle commissioni d’inchiesta per minare la rispettabilità di Biden in vista delle presidenziali del 2024. 

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