dallo schermo alla realtà

Gli scontri di Jenin anticipati dalla serie Netflix “Fauda”

Gabriele De Campis

Nello sceneggiato incentrato sulle avventure di un ufficiale di una unità antiterrorismo c'è un efferato conflitto a fuoco tra forze speciali israeliane e miliziani palestinesi proprio nel campo profughi della Cisgiordania, pieno di analogie con la nuova giornata di sangue in Medio Oriente

La trama di una fiction anticipa la realtà, prevedendo l’irruzione delle forze speciali israeliane a Jenin. I tragici fatti di sangue in Palestina presentano sorprendenti analogie con la serie cult “Fauda” (una parola araba che significa “caos”), trasmessa da Netflix. E così sono sovrapponibili i lanci delle agenzie e i servizi giornalistici con le puntate riprodotte in streaming: sullo sfondo c’è il medio oriente di nuovo in fiamme, proprio mentre il governo italiano sceglie di orientare con maggiore intensità la sua azione verso il sud del Mediterraneo.

La battaglia nel campo profughi della Cisgiordania settentrionale, conclusa come riportano le agenzie internazionali con nove morti tra i palestinesi, infatti, corrisponde all’epilogo efferato della quarta stagione di “Fauda”, incentrata sulle avventure di Doron Kabilio, ufficiale di una unità antiterrorismo Mista'arvim, che con la sua squadra dà la caccia (proprio a Jenin) a un pericoloso terrorista in possesso di informazioni sensibili (raccolte dopo un rapimento con torture di un alto ufficiale israeliano), nonché ideatore e organizzatore di attacchi missilistici contro Israele. 

La scena finale – ci perdoneranno gli appassionati che non sono ancora giunti alla visione della puntata decisiva – cristallizza un cruento conflitto a fuoco tra forze speciali e militanti islamisti, con Doron che riesce a eliminare il capo della cellula, Adel, mentre i cecchini palestinesi colpiscono senza tregua i suoi compagni, mettendoli fuori gioco. Doron è un eroe-antieroe, combattuto tra il forte legame con i suoi commilitoni e la ricerca di brandelli di umanità in una lotta serrata che vede i suoi “nemici” parte di un conflitto irrisolto, con molti profili speculari, tra identità nazionali, etniche e religiose. 

“Fauda”, in questi giorni tra le serie più viste su Netflix, è ideata da Lior Raz, l’attore che interpreta il protagonista Doron, e da Avi Issacharoff: entrambi hanno un passato nelle forze armate israeliane e trasformano il vissuto in un racconto in presa diretta di straordinario impatto, riproducendo i dilemmi delle operazioni più complesse nonché il sottile confine tra il bene e il male, tra il raggiungimento dell’obiettivo della missione e il rispetto delle regole che distinguono l’etica militare dalla barbarie.

Nella produzione israeliana c’è una cura maniacale per i dialoghi, e una riproduzione fedele dello scontro militare, tra tecnologie ultramoderne, matrimoni, preghiere nelle moschee (fino in quella di Molenbeek), amori, dinamiche comunitarie e contrapposizioni  interne agli stessi paesi (tra Fatah e Hamas come tra i vari organismi di sicurezza di Tel Aviv). Lior Raz-Doron nella fiction brilla alternando la scaltrezza nelle situazioni disperate alla inattesa comprensione delle ragioni dei rivali e delle loro famiglie (spesso si innamora anche di giovani arabe con tresche quasi impossibili). In una intervista parla dei palestinesi in questi termini: “Li abbiamo mostrati come esseri umani, abbiamo aiutato la gente a capire cosa c’è dietro i titoli dei giornali”. Ma la realtà, quella di Jenin, rende sempre più incolmabile il solco tra i popoli in armi.

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