la storia

La liberazione del narcotrafficante catturato dai jihadisti siriani imbarazza l'Italia

Luca Gambardella

Gli Emirati Arabi Uniti non c'entrano e Bruno Carbone è stato consegnato alla polizia dai miliziani di Hayat Tahrir al Sham, dopo violenze e privazioni, riferiscono fonti al Foglio. Una versione che smentisce quella del ministro della Giusitizia, Carlo Nordio

Il narcotrafficante italiano Bruno Carbone, latitante da 10 anni e catturato lo scorso marzo da una milizia jihadista in Siria, è stato consegnato alla polizia italiana senza la mediazione degli Emirati Arabi Uniti, come invece dichiarato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Dal carcere di Rebibbia, dove è attualmente recluso, Carbone ha rivelato di essere stato consegnato a funzionari della polizia italiana dopo essere stato condotto in un aeroporto distante “non più di una ventina di minuti dal luogo in cui era incarcerato”, dicono fonti informate sulle indagini e sentite dal Foglio. Gli Emirati non sarebbero quindi coinvolti in alcun modo. Eppure, già martedì sera, mentre l'agenzia Ansa diffondeva la notizia – poi rivelatasi errata – di un'estradizione di Carbone da Dubai, il ministro aveva celebrato la collaborazione dimostrata da Dubai. “Anche quest'ultimo arresto testimonia di un consolidamento dei rapporti di cooperazione giudiziaria fra Italia ed Emirati Arabi Uniti – ha detto Nordio – Negli ultimi tempi le relazioni, anche grazie agli accordi bilaterali in vigore, hanno avuto una significativa intensificazione. Lo provano diversi casi recenti. Di questo rinnovato impulso, voglio ringraziare il mio omologo emiratino, Abdullah al Nuaimi". 

  

Arrivato martedì all'aeroporto di Ciampino, Carbone è stato poi trasferito a Rebibbia, sollevato per avere posto fine a otto mesi di detenzione che ha definito ai suoi legali al limite della sopportazione. Secondo quanto raccontato una volta giunto in Italia, i miliziani di Hayat Tahrir al Sham (Hts), la milizia che solo fino a qualche anno fa aveva prestato giuramento ad al Qaida salvo poi tornare sui suoi passi, avrebbero usato violenza contro Carbone, sottoponendolo a enormi privazioni. Per colui che è stato il capo di una delle reti più grandi al mondo nel traffico di stupefacenti, la Siria sarebbe stata solamente una tappa per trovare rifugio altrove e continuare la sua latitanza. Su Carbone, dal 2013, grava una condanna a 20 anni di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti. Una rete internazionale che legava Europa e Sudamerica, passando per la Campania, dove faceva gli interessi di clan camorristi che andavano dai Nuvoletta ai Ciccarelli di Parco Verde, fino a quelli del Rione Traiano. Carbone è considerato il braccio destro di un altro re del narcotraffico camorrista, Raffaele Imperiale, arrestato ad agosto del 2021 proprio a Dubai.

  

In dieci anni di latitanza, Carbone si è spostato continuamente: Europa dell'est, Asia, Golfo persico e medio oriente. In Siria, dove ha fatto ingresso lo scorso febbraio, si spacciava per cittadino messicano impegnato nel commercio di orologi. Secondo quanto riferito agli inquirenti, nel giro di appena un mese, sarebbe finito nel posto sbagliato al momento sbagliato facendosi catturare dagli uomini di Hts che all'inizio lo ritenevano una spia. Una detenzione durata fino al giorno prima della restituzione alle autorità italiane. A quel punto, tutto sarebbe successo nel giro di una giornata. All'improvviso gli aguzzini di Carbone chiamano un barbiere, gli danno una ripulita, gli portano vestiti nuovi e lo fanno uscire dalla cella. Lo incappucciano e lo fanno salire su un veicolo che, in circa venti minuti, lo trasporta in un aeroporto. “Presumibilmente oltre il confine, in Turchia. A quel punto, Carbone riferisce di essere stato consegnato a funzionari italiani”, dicono fonti vicine all'indagine. Secondo i legali del detenuto, nessuno avrebbe pagato un riscatto per la liberazione – un aspetto non di secondo piano, visto che Hts è ancora oggi una milizia legata all'estremismo islamico, seppure alla ricerca di una difficile riabilitazione internazionale per farsi rimuovere dalla lista delle organizzazioni terroriste.

  

Resta il mistero della presunta mediazione degli Emirati, che non hanno relazioni note con i jihadisti di Hts. Il Foglio ha chiesto al ministero della Giustizia di spiegare il ruolo emiratino, se mai ne sia stato giocato uno, nella liberazione del 45enne di Giugliano. Nessuna risposta è ancora arrivata da via Arenula, che lascia così senza smentita la versione di una inedita “estradizione” di un latitante camorrista verso un paese occidentale da parte di una milizia jihadista.

   

Se ci sono dubbi su una presunta collaborazione degli Emirati, non ce n'è alcuno, invece, su quello dei jihadisti di Hts. Martedì, nelle stesse ore in cui il governo italiano diffondeva la tesi della mediazione degli Emirati, Dhia’ al Umar, portavoce dei servizi di sicurezza dei combattenti jihadisti siriani, si è presentato in giacca e cravatta a favore di telecamere per annunciare che il narcotrafficante “è stato consegnato alle autorità del suo paese come previsto dalla legge”.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.