L'altra potenziale annessione è quella di Taiwan?

Giulia Pompili

Xi Jinping non rinuncerà al suo piano per la riunificazione. Ma dobbiamo intenderci su metodi e parole

Secondo il segretario di stato americano, Antony Blinken, di recente la Cina avrebbe “accelerato” il suo piano per “perseguire la riunificazione” con Taiwan – l’isola di fatto indipendente, che non è mai stata parte della Repubblica popolare cinese, e che invece Pechino rivendica come parte integrante della sua territorialità. Blinken ha fatto questa dichiarazione durante una conversazione con l’ex segretaria di stato Condoleezza Rice lunedì scorso a Stanford (i due hanno parlato anche di molto altro, e alcuni stralci di quella conversazione li abbiamo tradotti qui) ma non si è soffermato sulle motivazioni che inducono il dipartimento di stato a parlare di un cambiamento nell’approccio di Pechino su Taipei.


Il senso della risposta era infatti più ampio: Blinken non parlava di una tabella di marcia, ma di una strategia molto più assertiva da parte del leader Xi Jinping, che ora non può più soltanto evitare una eventuale dichiarazione d’indipendenza di Taiwan ma rassicurare anche i falchi più oltranzisti sulla “inevitabilità” della riunificazione. Se i metodi pacifici non dovessero funzionare, ha spiegato Blinken, la Cina minaccia di usare metodi coercitivi, e se anche questi dovessero fallire, la soluzione ultima potrebbe essere quella dell’uso della forza. La guerra della Russia contro l’Ucraina ha dato una percezione diversa alla parola “annessione”, un significato molto più esteso ma quantomai reale. Le grandi potenze non minacciano soltanto, ma accelerano sulla modifica dello status quo in chiave antioccidentale, ed è anche per questo che l’attenzione internazionale, sin dal 24 febbraio, si è concentrata su Taiwan. 

 


Pechino ha osservato con attenzione la guerra in Ucraina, l’operazione internazionale di sostegno a Kyiv e lo stesso ha fatto Taipei, prendendo appunti sulla sua strategia di Difesa. Per Xi Jinping un’operazione militare fatta di missili e sbarchi sull’isola potrebbe essere a dir poco distruttiva, e impegnerebbe uno sforzo gigantesco anche per mantenere l’occupazione dell’isola. Dopo la visita a Taipei della speaker della Camera americana, Nancy Pelosi, la Cina ha mostrato al mondo la sua capacità di bloccare e isolare fisicamente il territorio taiwanese, ma come ha spiegato Blinken, il passaggio precedente a un blocco navale e aereo potrebbe essere quello della coercizione economica. Le economie di Cina e Taiwan sono ancora interconnesse, e con uno strangolamento economico Pechino pensa di poter portare un pezzo della popolazione taiwanese dalla sua parte: è una scommessa azzardata e di lungo periodo, ma potrebbe ottenere un cedimento dall’interno. 


Però, come titolava la storica centesima edizione della rivista Foreign Affairs, viviamo nell’èra dell’incertezza. E quindi abbiamo bisogno di date a cui aggrapparci, finestre temporali durante le quali prepararci al peggio. L’altro ieri lo Yomiuri Shimbun, quotidiano giapponese molto attento alle questioni cinesi, scriveva che “circolano speculazioni sulla possibile invasione di Taiwan entro la fine del terzo mandato di Xi”, vale a dire entro il 2027. Sarebbe l’anno del centenario delle Forze armate cinesi, e verrebbe tre anni dopo le elezioni presidenziali sia a Taiwan – dove potrebbe vincere un presidente più orientato alla dichiarazione d’indipendenza piuttosto che al mantenimento dello status quo – sia in America, dove un presidente repubblicano potrebbe perfino aumentare le tensioni tra Washington e Pechino. L’altro scenario di cui si parla spesso è una riunificazione entro il 2049, il centenario della Repubblica popolare cinese. Se è vero che Xi Jinping non può iniziare una riunificazione senza essere certo che la completerà del tutto, le informazioni che abbiamo su come funziona la leadership e quello che succede nei palazzi del potere di Pechino sono solo mere speculazioni. Nel suo discorso d’apertura dei lavori del Congresso del Partito comunista cinese, il leader Xi Jinping ha citato Taiwan in un paragrafo, subito dopo Hong Kong, parlando di una “azione strategica per la completa riunificazione della Cina” e di un “impegno per salvaguardare il principio di una sola Cina all’interno della comunità internazionale”. Niente di nuovo rispetto a quello che aveva detto cinque anni fa, a parte l’attenzione per le “influenze esterne” e in generale il riconoscimento esterno del governo di Taipei.  

 


Secondo diversi osservatori di questioni di sicurezza, è difficile pensare che l’America, in questo momento, possa avere un’intelligence concreta sulle reali intenzioni cinesi come ne aveva sulla Russia poco prima che iniziassero i bombardamenti di Kyiv. E’ passato solo un anno da quando la Cia ha creato il sua China Mission Center, focalizzando gli sforzi operativi su Pechino. Negli anni precedenti, la Cia ha ammesso di aver perso gran parte della sua rete d’informazione in paesi come la Cina e l’Iran, e nel 2019 almeno tre agenti sono stati condannati per aver fatto il doppio gioco in favore di Pechino. Altri operativi sono stati espulsi, arrestati o fatti sparire. Ricostruire praticamente da zero una rete d’informazione, in un paese estremamente sviluppato a livello tecnologico e che ha fatto della segretezza radicale una priorità, con una importante barriera linguistica, è un problema per tutte le agenzie d’intelligence e anche per la Cia. Solo che oggi la Cina è la priorità per Washington: il documento di Sicurezza nazionale pubblicato dalla Casa Bianca la scorsa settimana si concentra soprattutto sul contenimento di Pechino, e in un podcast della Cia, “The Langley Files”, pubblicato a fine settembre, il direttore William Burns ha detto che la Russia è una potenza in declino, “e Putin dimostra ogni giorno che le potenze in declino possono essere distruttive almeno quanto quelle in ascesa”. Poi ha definito la Cina “sfida geopolitica centrale”. A fare più paura, forse, è quello che non sappiamo dei piani di Xi Jinping. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.