Reclute dell'esercito armeno (foto LaPresse)

guerra nel caucaso

L'Azerbaigian attacca l'Armenia, che chiede aiuto a Putin

Luca Gambardella

I bombardamenti degli azeri uccidono una cinquantina di militari lungo il confine con il Nagorno Karabakh. "Se avete bisogno di protezione tornate a fare parte della Russia", dicono i russi filoputiniani

A distanza di due anni dall’ultima guerra del Nagorno Karabakh, nella notte di lunedì le forze armate dell’Azerbaigian hanno lanciato una nuova offensiva lungo il confine occidentale della regione che da decenni contendono all’Armenia. Stavolta l’attacco con mortai e droni ha interessato villaggi che si trovano in pieno territorio armeno, quelli di Vardenis, Sotk, Artanish, Ishkhanasar, Goris, Jermu e Kapan. Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha accusato gli azeri di avere violato il cessate il fuoco del 2020 e di avere ucciso 49 militari. Le provocazioni reciproche fra i due schieramenti erano diventate più frequenti nelle ultime settimane e i segnali di una escalation erano diversi. Il 25 agosto, gli azeri avevano preso il controllo di Lachin, città strategica che dal Nagorno Karabakh apre un passaggio di pochi chilometri verso l’Armenia.

  

Il vero obiettivo di Baku è però l’apertura di un altro corridoio, più a sud, che garantisca continuità territoriale fra l’Azerbaigian e l’exclave di Nakhichevan, in pieno territorio armeno. Ogni tentativo diplomatico per creare una via di passaggio finora è fallito e anche l’Iran ha chiesto agli azeri di abbandonare le sue rivendicazioni, perché teme che questo corridoio ostacoli i suoi scambi commerciali con l’Armenia. Baku però non si dà per vinta e un paio di giorni prima dell’offensiva ha messo in allerta i suoi uomini. Dal 5 settembre, gli azeri sono anche impegnati in esercitazioni militari congiunte con i loro alleati turchi. Non si conosce la data di conclusione delle esercitazioni, che si svolgono ad appena 40 chilometri dagli scontri di queste ore.

  

Si tratta di una coincidenza sospetta: anche due anni fa, la guerra del Nagorno-Karabakh – che in appena sei settimane uccise 6.500 persone – fu anticipata da esercitazioni congiunte di turchi e azeri. Dopo poche ore dall’inizio dell’attacco, Pashinyan aveva già chiesto aiuto ai paesi membri dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), che oltre all’Armenia include Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tajikistan. Poi ha avuto un colloquio telefonico con Vladimir Putin, a cui ha chiesto di attivare la clausola di mutuo soccorso inclusa nel Trattato di amicizia siglato fra i due paesi nel 1997. I russi non hanno dato una risposta ufficiale, ma hanno  allertato i 2.000 “peacekeeper” che stazionano nelle basi di Gyumri e Sisian e che vigilano sul rispetto del cessate il fuoco.

  

Come già successo in passato, la presenza delle proprie forze armate sul territorio armeno permette a Mosca di giocare il ruolo di arbitro. Il ministro della Difesa di Mosca, Sergei Shoigu, ha detto che “si prenderanno tutte le misure necessarie a stabilizzare la situazione”. Viste le difficoltà sul fronte ucraino, i russi hanno scarso interesse a una escalation nel Caucaso e Putin ha chiesto “ogni sforzo possibile” per una soluzione pacifica. Ma fidarsi del Cremlino è impossibile e da Mosca arrivano già segnali contrastanti. Zachar Prilepin, ex deputato della Duma e propagandista del regime di Putin, ha detto che “qualsiasi paese si trovi nel perimetro russo che vuole garanzie di sicurezza non deve chiedere aiuto alla Csto ma entrare a far parte della Russia”.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.