Cosa sta succedendo a Kherson, tra silenzio ucraino e annunci russi

Micol Flammini

Kyiv vuole far sapere il meno possibile, Mosca dice che l'attacco è finito e le perdite dell'Ucraina sono molte. Il fronte del sud è guidato da un  generale che viene dalla parte opposta, ma si prende cura della sua nazione da sempre

L’Ucraina vuole far sapere il meno possibile sugli attacchi contro le postazioni russe a Kherson. L’indicazione da parte dello stato maggiore delle Forze armate e del presidente Volodymyr Zelensky è: dire lo stretto necessario, anche meno. Funzionari locali e giornalisti sono stati invitati a non dare informazioni, Kyiv ha vietato che i media possano accompagnare soldati in prima linea in  teatri di guerra attivi, tra cui Kharkiv, Kherson o le regioni del Donbas.  Pena: potenziale perdita dell’accredito. Il ministero della Difesa di Mosca parla già di offensiva fallita e di un numero molto alto di perdite tra i soldati di Kyiv. Dal fronte ucraino hanno confermato al Foglio che questa volta non si tratterebbe di un’esagerazione da parte russa. L’Ucraina sarebbe riuscita a sfondare la prima linea  russa, le altre linee sono meglio equipaggiate. Nella città di  Kherson infuria invece  l’attività partigiana. 

 

 

Alcune testate ucraine hanno parlato di sparatorie per le strade ma non sono arrivati altri elementi a conferma. Kirill Stremousov, funzionario russo nei territori occupati, ha detto che i sabotatori ucraini erano stati catturati, e che la situazione in città era tornata tranquilla. Faceva riferimento anche all’omicidio di Oleksii Kovalov, ex parlamentare  ed esponente del partito di Zelensky passato con i russi. Stremousov sosteneva di parlare da Kherson, ma dall’analisi dei suoi video, è stato rilevato che il funzionario si trovava invece a Voronezh, in Russia,  e parlava da una stanza dell’hotel Marriott. Stremousov potrebbe essere scappato per paura dell’inizio della controffensiva. 

 

Le manovre di preparazione dell’offensiva sono iniziate prima del previsto, era necessario colpire i russi prima che riuscissero a riorganizzarsi, soprattutto dal momento in cui era stato rintracciato un punto di debolezza nelle linee russe. Il fatto che l’inizio dei preparativi ucraini per riprendere Kherson abbia coinciso con la ricorrenza dell’assedio di Ilovaisk, dove nel 2014 i soldati ucraini, ai quali era stata promessa una via di fuga in cambio della resa, vennero uccisi mentre si ritiravano, sembra una di quelle quadrature storiche, forse organizzate ad arte o forse per coincidenza, che rende ancora più importante la figura di Andrii Kovalchuk, il comandante del fronte del sud, che la guerra contro i russi la combatte da otto anni. Se la controffensiva dovesse superare il momento di preparazione, molto dipenderà da questo generale  di cinquant’anni, dagli occhi scuri e le occhiaie segnate, originario di quella parte dell’Ucraina che si trova nel punto opposto: la regione di Volyn, nascosta tra i confini con la Polonia e la Bielorussia. Kovalchuk è un ex capo di stato maggiore delle forze dall’assalto aeree, viene dalla generazione di chi era giovane quando l’Unione sovietica si dissolveva e ha sentito la responsabilità di proteggere la neonata sovranità ucraina. Lo ha fatto nel 2014, quando è stato nominato eroe dell’Ucraina per il suo comando valoroso e quando è stato assegnato a lui il fronte del sud, è stato fatto per mettere uno dei generali migliori in uno dei posti più critici dell’Ucraina, da cui dipende una delle poche promesse fatte da Zelensky in questi  giorni: ricacciare i russi fino dietro ai confini. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.