Peter Thiel (LaPresse)  

La metamorfosi

Peter Thiel, il genio del tech americano che sta lavorando ai nuovi repubblicani

Pietro Minto

Tra i fondatori di PayPal ed ex consulente di Trump, è diventato il king-maker della nuova destra statunitense: un imprenditore che usa i miliardi della Silicon Valley per riscrivere il materiale genetico del partito in vista delle elezioni di metà mandato

Peter Thiel è tante cose. Innanzitutto è stato uno dei fondatori di PayPal, dove conobbe Elon Musk, ma anche tra i primi a investire in Facebook. Dal 2016 è soprattutto il king-maker della nuova destra statunitense, un imprenditore che usa i miliardi della Silicon Valley per riscrivere il materiale genetico del Partito repubblicano. 

Ha cominciato da lontano, fondando nel 2011 la “Thiel Fellowship” (la “compagnia di Thiel”, il riferimento al Signore degli Anelli è più che voluto, e non è l’unico nel suo portfolio), una fondazione che offre centomila dollari “a giovani che vogliono costruire nuove cose invece di stare seduti in classe”. Un fondo per aspiranti startupper, ai quali viene chiesto di lasciare il college o non iscriversi proprio, anche per evitare le spiacevoli influenze woke delle università statunitensi, che rappresentano la Kryptonite di Thiel e i suoi.

Da sempre rappresentante dello spirito libertario della Valley, è con Donald Trump che Thiel cambia definitivamente e svela del tutto le sue carte. In piena campagna elettorale del 2016, diventa il principale sostenitore dell’improbabile candidato repubblicano, di cui sarà consulente tecnologico una volta arrivato alla Casa Bianca (ricordate il goffissimo incontro tra Trump, Tim Cook, Jeff Bezos e gli altri Big tech?). 

Con la fine di Trump i suoi piani non sono cambiati. Sembra anzi che Thiel abbia appena cominciato. All’inizio di quest’anno, infatti, c’è stato il suo passaggio definitivo alla politica e l’addio al consiglio di amministrazione di Meta (il gruppo di Facebook), per dedicarsi alle elezioni di metà mandato. Alle quali partecipano alcuni candidati a lui vicini, in particolare due suoi pupilli, J.D. Vance e Blake Masters, di cui è stato mentore, datore di lavoro e oggi diretto investitore. All’inizio di agosto Masters si è aggiudicato le primarie repubblicane in uno stato cruciale per le elezioni di novembre, l’Arizona. Il candidato ha conosciuto Thiel frequentando un corso da lui tenuto a Stanford nel 2012, di cui pubblicava gli appunti online, creando un blog seguitissimo da giornalisti e aspiranti startupper. Da questi appunti è nato un libro, Zero to One, uscito nel 2014, scritto a quattro mani con lo stesso Thiel. 

 

Il sottotitolo dell’opera è piuttosto calzante per capire il presente dell’imprenditore: “Appunti sulle startup e su come costruire il futuro”. Dalla tecnologia alla politica il passo è breve e Thiel ha intenzione di applicare il potere monarchico del founder (il fondatore di una startup) alla gestione della cosa pubblica, seguendo un credo che il nostro aveva confessato già nel 2009, quando annunciò di “non credere più che libertà e democrazia siano compatibili” e che il destino del mondo stia nel proteggere e conservare “i macchinari della libertà che rendono il mondo sicuro per il capitalismo”.

Come dire, un piano ambizioso. Che non si limita agli Stati Uniti, come dimostra la recente assunzione dell’ex cancelliere austriaco Sebastian Kurz come global strategist della Thiel Capital, la società di investimenti dell’imprenditore. Da Vienna, Thiel aveva già pescato l’ex dirigente federale del Partito socialdemocratico austriaco, Laura Rudas, all’epoca trentatreenne, assunta da Palantir, discusso gigante della sorveglianza militare fondato dal nostro.

 

La Compagnia dell’Anello di Thiel è fatta di personaggi scaltri, bianchi e giovani, che conoscono la politica contemporanea, e sono in linea con lo storico motto di Trump, “Make America Great Again”, senza però le assurdità dell’ex presidente. Anche per questo, secondo alcuni osservatori, sarebbe più pericolosa per la tenuta democratica di The Donald stesso (la battagliera rivista Mother Jones ha definito Master “un incubo per la democrazia”).

J.D. Vance, candidato thieliano che recentemente ha vinto le primarie repubblicane in Ohio, è un altro esempio di questa scuola: nato come intellettuale progressista, autore del libro autobiografico Elegia americana in cui raccontava il degrado socio-economico degli stati del nord-est americani, si è spostato sempre più a destra, avvicinandosi prima a Trump (che aveva a suo tempo accusato di portare “la classe lavoratrice bianca in un luogo molto oscuro”), poi, inevitabilmente, a Thiel. Oggi fa campagna elettorale parlando di immigrazione, della minaccia all’America “bianca” e di come la sinistra voglia aiutare la Cina. Il copione è lo stesso di Trump: i soldi, però, sono quelli di Peter Thiel.
 

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