Sei mesi di guerra

Il giorno dell'Indipendenza a Kyiv e la nuova parola-chiave di Zelensky

I festeggiamenti disciplinati dell'Ucraina e le vittime dei missili di Mosca

Cecilia Sala

BoJo a Kyiv, il tweet di Sanna Marin e il regalo da tre miliardi di Joe Biden pensato su misura per la controffensiva. L’America non è stanca di aiutare e, almeno su questo, democratici e repubblicani vanno d'accordo

“Prima usavamo la parola ‘pace’, adesso usiamo la parola ‘vittoria’”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nel giorno in cui a Kyiv si festeggiano trentun anni di indipendenza dall’Unione sovietica,   indica  quali sono l’ambizione e la strategia da ora in poi. Perché il suo paese è più forte non solo delle previsioni del Cremlino e di quelle del Pentagono (entrambi avevano pronosticato la capitolazione  in un massimo di 72 ore) ma gli stessi ucraini  si sono fatti sorprendere da una determinazione collettiva e da  un’unità d’intenti che sembravano inimmaginabili  solo sei mesi fa. 

Le premesse erano comunque buone: il 24 febbraio il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, riceve una telefonata dal suo omologo bielorusso, Viktor Khrenin, che gli passa un messaggio dell’omologo  russo, Sergei Shoigu: “Avete la possibilità di arrendervi”. Reznikov è sarcastico: “Puoi dire a Mosca che, anche loro, hanno la possibilità di arrendersi”. Nelle stesse ore trilla il cellulare di Andriy Yermak, il capo dello staff del presidente ucraino: è il Cremlino. Per la precisione Dmitri Kozak, il vice capo di stato maggiore. Kozak ripete “avete la possibilità di arrendervi”: Yermak bestemmia e riattacca. Pochi giorni prima, Zelensky aveva risposto agli americani che gli offrivano un viaggio sicuro verso un governo in esilio con la frase “non mi serve un passaggio, mi servono le munizioni” che poi è finita sulle tazze e sulle magliette indossate ieri nelle città ucraine ma anche a Londra, a Oslo, a Varsavia e a Milano. 

Come ha rivelato ieri un’esclusiva del Washington Post, quel 24 febbraio c’era solo una brigata schierata in difesa della capitale, nel gabinetto del presidente erano allineati sulle parole con cui controbattere all’arroganza russa, ma molti temevano che Kyiv sarebbe caduta comunque, sia pure con onore. Invece i russi a Kyiv non hanno mai messo piede se non ieri, ma nel formato di una parata militare fatta di carri e cannoni distrutti dai colpi dei Javelin della resistenza. Far sfilare l’esercito ucraino  non era un’ipotesi (sarebbe stato il bersaglio perfetto per i missili) e, simbolicamente, è molto più potente così. Da Mosca, Shoigu ha commentato che non avrebbero intensificato gli attacchi nel giorno dell’Indipendenza, ma i missili russi hanno ucciso 15 civili  colpendo una stazione nella regione di Dnipro. 

Boris Johnson è andato in visita nella capitale ucraina,  il migliore tweet di auguri lo ha pubblicato Sanna Marin e il regalo più prezioso è stato quello del presidente degli Stati Uniti. La stanchezza dell’occidente, e in particolare degli americani e di Joe Biden, è stata un’illusione di Putin. Il valore degli aiuti americani dal 24 febbraio è 9 miliardi di dollari e la cosa interessante è che – nonostante sia una cifra senza precedenti negli ultimi trent’anni di campagne di assistenza militare all’estero – i cittadini degli Stati Uniti non hanno cambiato idea: il 72 per cento è d’accordo e – almeno su questo – democratici e repubblicani sono uniti (i dati sono stati raccolti tra il 15 luglio e l’1 agosto dal Chicago Council on Global Affairs). Alla vigilia della festa dell’Indipendenza, la Casa Bianca ha annunciato un pacchetto di aiuti militari e finanziari da 3 miliardi: il più imponente di sempre, pensato per dare a Zelensky ciò di cui ha bisogno per la controffensiva, cioè per riprendere quei territori occupati dove i bambini vengono deportati (come a  Mariupol, per stessa ammissione dell’intelligence militare di Mosca), gli uomini della resistenza dell’Azovastal stanno per finire in delle grandi gabbie allestite in un teatro per essere processati come terroristi e dove ieri i partigiani hanno ucciso un altro collaborazionista di nome Ivan Sushko – è successo nella provincia di Zaporizhzhia ed è stata usata un’autobomba. “Prima usavamo la parola ‘pace’, adesso usiamo la parola ‘vittoria’” significa controffensiva.

 

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