Accordi messinscena

A Kabul e a Kyiv si vedono i danni dei patti deboli. Errori da evitare in Ucraina

Micol Flammini

I trattati vaghi hanno sempre conseguenze devastanti. Lunedì a New York si è parlato di nuovi accordi di non proliferazione delle armi nucleari, Mosca ha detto di essere d'accordo, ma mentre si negozia non ci si potrà concedere punti poco chiari e bluff

Ayman al Zawahiri, il capo di al Qaida ucciso da un drone americano  a Kabul, nel momento dell’attacco, secondo indiscrezioni,  era in compagnia del figlio e del genero di Sirajuddin Haqqani, ministro dell’Interno dell’Afghanistan. Non ci sono state ancora conferme sulla presenza dei due Haqqani, membri di una rete di estremisti che in Afghanistan ha fatto da cerniera fra i talebani e al Qaida e che erano considerati uno dei reparti talebani con il compito di organizzare attentati, ma il solo fatto che Zawahiri fosse a Kabul indica che un legame tra il regime afghano e al Qaida c’è. Nel 2020 i talebani firmarono con l'Amministrazione Trump gli accordi di Doha che prevedevano il ritiro dei soldati americani dal paese. Negli accordi c’è anche una clausola antiterrorismo alla quale i talebani, in cerca di una legittimazione davanti alla comunità internazionale, hanno fatto più volte appello, e che prevede la rottura con le organizzazioni terroristiche. Non che prima della morte di Zawahiri ci fossero  americani disposti a credere che i nuovi uomini di Kabul le avrebbero rispettate, ma ora potrebbero esserci le prove di questa connivenza. Washington ha trattato gli accordi come se fossero veri, ma sono stati una messinscena dalle conseguenze devastanti che ha portato al tracollo dell’Afghanistan. 

 

All’inizio delle grandi crisi internazionali ci sono spesso patti  deboli, che sembrano scritti per non essere rispettati. Gli Stati Uniti sottoscrissero gli accordi di Doha per legittimare il ritiro dall’Afghanistan, i talebani li firmarono proprio perché erano  sufficientemente vaghi da poter essere infranti.  Prima del 24 febbraio, data in cui la Russia ha invaso l’Ucraina, si invocavano come argine agli scontri tra Mosca e Kyiv gli accordi di Minsk, un patto  firmato dai rappresentanti di Russia, Ucraina, Osce e i leader delle due repubbliche di Donetsk e Luhansk che si erano proclamate indipendenti. Francia, Germania, Russia e Ucraina firmarono una dichiarazione di sostegno agli accordi. Minsk II prevedeva il ritiro delle formazioni di combattenti stranieri – nel Donbas erano già arrivati gli omini verdi, i mercenari della Wagner, e le armi di Mosca – ma la Russia ha continuato a dire di non essere impegnata nel conflitto. Prevedeva il cessate il fuoco, mai rispettato. Prevedeva anche il ritiro dei soldati dalla zona demilitarizzata che faceva da confine  tra l’Ucraina e i separatisti, ma anche questo punto non è stato rispettato. Su Minsk gli occidentali avevano chiuso un occhio, sapendo che non era un accordo perfetto, ma nella speranza che la situazione non esplodesse e convincendosi di aver fatto qualcosa per evitare il peggio. Russia e Ucraina negli anni e per ragioni diverse hanno trovato sempre il modo di appigliarsi ai dettagli e accusarsi a vicenda del mancato rispetto degli accordi. Minsk II piaceva a Mosca perché vago e la vaghezza ha portato alla guerra. 

 

Lunedì a New York è iniziata la conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Il segretario generale dell’Onu, António  Guterres, ha detto che se negli ultimi anni non c’è stata una guerra nucleare è soltanto per una questione di fortuna, ma che la fortuna non è una strategia né uno scudo. Perciò bisogna ricominciare ad accordarsi e fare in modo che questa volta non si sgarri: gli accordi devono essere rispettati da tutti. Straordinariamente sulle parole di Guterres erano d’accordo sia gli occidentali sia i russi e anche Vladimir Putin, che per l’evento ha mandato un appello, ha detto che nessuno potrebbe vincere una guerra nucleare. Il presidente americano Joe Biden ha rilasciato una dichiarazione in cui ha esortato il Cremlino a negoziare un nuovo accordo, un nuovo quadro di controllo sugli armamenti quando nel 2026 scadrà il New Start e ha anche invitato la Cina a unirsi. Mosca si è mostrata interessata a un nuovo accordo, nonostante ogni giorno, da quando ha invaso l’Ucraina, minacci l’inizio di una guerra nucleare, e ha iniziato a tirare fuori i suoi cavilli, dicendo che oggi un patto sul nucleare è più difficile rispetto alla Guerra fredda, perché è il raggiungimento della pace a essere più complicato. A minare la pace è stata la Russia, che ieri ha attaccato altre città dell’Ucraina, centri abitati, palazzi, scuole. 

 

Da quando è scoppiata la guerra, Mosca ha siglato un accordo per sbloccare il grano fermo nei porti ucraini e il giorno dopo ha attaccato il porto di Odessa facendo leva sulle garanzie vaghe di sicurezza contenute nel patto firmato a Istanbul. Qualsiasi nuovo trattato stretto con la Russia   – o l’Afghanistan che da poco ha anche mandato  un incaricato d’affari talebano a Mosca: i rapporti diplomatici sono ora ufficiali – per garantire la pace in Ucraina o la non proliferazione degli armamenti dovrà essere granitico e non una messinscena, le cui conseguenze sono sempre devastanti. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.