Dissidi a bruxelles

Quanto deve durare la guerra? “Attendisti” contro “volontaristi” nell'Ue

David Carretta

Tra “Putin non deve vincere la sua guerra” di Scholz e “l’Ucraina deve vincere questa guerra” di von der Leyen ci sono ulteriori sanzioni, forniture di armi e aiuti economici. Una frase o l’altra indica anche il prezzo più o meno elevato che un leader è disponibile a pagare

Bruxelles. La guerra di aggressione di Vladimir Putin è entrata nel suo quarto mese e dentro l’Unione europea iniziano a emergere crepe su fino a che punto spingersi per sostenere l’Ucraina. “Il nostro obiettivo è molto chiaro: Putin non deve vincere la sua guerra. E ne sono convinto: non vincerà”, ha detto ieri il cancelliere tedesco, Olaf Scholz,  al Forum economico mondiale di Davos. Il suo messaggio, a prima vista, appare coerente con quello degli altri partner europei. Nel Consiglio europeo di lunedì e martedì, i capi di stato e di governo ribadiranno che sono “incrollabili nel loro impegno ad aiutare l’Ucraina a esercitare il suo diritto intrinseco all’autodifesa contro l’aggressione russa”. Tuttavia, a ben guardare, ci sono delle differenze sempre più evidenti tra la linea di Scholz e quella sostenuta non solo da Polonia o Paesi baltici, ma anche dai leader delle istituzioni comunitarie. “L’Ucraina deve vincere questa guerra e l’aggressione di Putin deve essere un fallimento strategico”, ha detto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, martedì davanti alla platea di Davos. Non è solo una questione semantica. Dietro alle nuance retoriche ci sono obiettivi diversi su come deve finire il conflitto e, di conseguenza, diversi sono anche i mezzi che i paesi europei sono pronti a usare per realizzarli. Tra “Putin non deve vincere la sua guerra” di Scholz e  “l’Ucraina deve vincere questa guerra” di von der Leyen ci sono ulteriori sanzioni, forniture di armi e aiuti economici. Una frase o l’altra indica anche il prezzo più o meno elevato che un leader è disponibile a pagare. Soprattutto, lascia intendere se un leader è disponibile o no ad accettare concessioni territoriali alla Russia, pur di porre fine alla guerra.  


A parte il sabotatore Viktor Orbán – che continua a mettere il veto sull’embargo del petrolio e accusa Bruxelles dei danni della guerra – l’Ue è fondamentalmente divisa in due campi sull’Ucraina.  Il primo è quello degli “attendisti”. L’espressione è stata usata alcuni giorni fa dallo stesso Scholz  tornando dall’Africa quando – secondo lo Spiegel – ha sintetizzato così la sua strategia: “Non sono il Kaiser Guglielmo” (che aveva portato la Germania alla Prima guerra mondiale, ndr), meglio “l’attendismo attivo”. Il presidente francese, Emmanuel Macron, è l’altro leader del campo degli “attendisti”, anche se lui preferisce definirsi “realista”. Il suo appello a “non umiliare la Russia” è stato letto come un tentativo di frenare l’altro campo nell’Ue, quello dei “volontaristi” che vogliono infliggere una sconfitta definitiva a Putin. Nel campo dei “volontaristi” ci sono la Polonia, gran parte degli altri paesi dell’est, i Baltici, la Finlandia e la Svezia che hanno appena chiesto l’adesione alla Nato, perfino l’Irlanda. 

Vorrebbero mettere la massima pressione con le sanzioni alla Russia e sono pronti a pagarne il prezzo (Polonia, Bulgaria e Finlandia si sono viste tagliare il gas per il rifiuto di pagare in rubli). Vorrebbero fornire il massimo aiuto militare con  armi più pesanti per l’Ucraina, perché il loro obiettivo è infliggere una sconfitta definitiva a Putin, in modo che la Russia non possa più costituire una minaccia alla sicurezza europea negli anni a venire. Vorrebbero concedere all’Ucraina lo status di paese candidato, almeno come riconoscimento e incoraggiamento simbolico per il fatto che sta combattendo per i valori e gli interessi europei. I “volontaristi” hanno sempre più voce in capitolo dentro l’Ue. Ma devono scontrarsi con il peso storico e politico di Germania e Francia. La strategia dell’“attendismo attivo” di Scholz si è tradotta in poche e tardive forniture di armi a Kyiv, diverse telefonate a Putin per chiedere il cessate il fuoco ma non il ritiro delle truppe russe, e un freno costante sulle sanzioni finanziarie ed energetiche. Quella di Macron si è concretizzata in un impegno militare limitato, ancor più telefonate al presidente russo e l’ostruzionismo alla richiesta di adesione dell’Ucraina (serviranno “15 o 20 anni, è molto lungo”, ha detto il suo ministro per gli Affari europei, Clément Beaune). Né Scholz né Macron sono andati a Kyiv, contrariamente a tutti i leader “volontaristi”. L’Italia a volte è percepita come “attendista” (con il piano di pace di Luigi Di Maio), altre come “volontarista” (per la disponibilità di Mario Draghi sulle sanzioni e le armi).
 

Il vertice dei capi di stato e di governo di lunedì e martedì dovrebbe essere l’occasione giusta per discutere obiettivi e strategie dell’Ue. La guerra di Putin si è trasformata in un conflitto di attrito, nel quale la Russia cercherà di conquistare tutto il Donbas e probabilmente tutta la costa, compresa Odessa, ma ci vorranno mesi. Come ha spiegato Sylvie Kauffmann sul Financial Times, “l’occidente è diviso su come deve finire la guerra”. L’Ucraina deve riprendersi la Crimea e tutto il Donbas ricacciando i soldati di Putin dietro i confini internazionalmente riconosciuti della Russia? O basta riconquistare i territori occupati dai russi dal 24 febbraio? Oppure, data l’avanzata lenta ma costante degli ultimi giorni della Russia, è accettabile che Mariupol e Kherson diventino una nuova Crimea? Dalle risposte dipende anche il tipo di pace che ci sarà dopo la guerra e le pressioni che saranno fatte su Volodymyr Zelensky per arrivarci. Ma le risposte non arriveranno dal vertice. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, vuole evitare di mostrare divisioni tra i ventisette, già alle prese con il veto di Orbán sull’embargo sul petrolio.

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