Forfait reale
La Regina Elisabetta non va a Westminster, ma è come se ci fosse
La sessione parlamentare si è aperta senza il discorso della Regina, uno dei momenti più scenografici della politica britannica. Un'assenza eccezionale che ha finito per oscurare la presenza del figlio Carlo
La Regina non si è presentata al Discorso della Regina. Elisabetta aveva mancato solo due volte il tradizionale appuntamento con l’apertura solenne della sessione parlamentare, nel 1959 e nel 1963, in entrambi i casi perché incinta; stavolta però – non senza qualche refolo di Schadenfreude per i segni di cedimento dell’ultimo baluardo di un Novecento che non c’è più – l’assenza ha dato l’impressione di un passaggio di consegne epocale.
Eppure, anche se Elisabetta era assente, la Regina c’era. Si è capito nel momento in cui il messo regio, il cosiddetto black rod, ha utilizzato la formula consueta e ha detto ai parlamentari che era lei a convocarli, senza il minimo cenno al caso che non l’avrebbero trovata lì. E Carlo non solo ha esordito in terza persona, dicendo “Il governo di Sua Maestà”, ma è rispettosamente rimasto defilato, col trono collocato a lato rispetto alla corona posata su un cuscino. Del resto, perfino un quotidiano giacobino come il Guardian alla vigilia scriveva sobriamente che “il discorso sarà letto da Carlo su autorizzazione della Regina. La Regina non gli ha delegato alcuna altra funzione”.
Non si tratta solo di un lutto che il Regno Unito e i suoi pragmatici abitanti hanno già iniziato a elaborare, per ora in forma solo cerimoniale; la questione ha radici più profonde. Il Discorso della Regina è l’atto più altamente scenografico della politica britannica e simboleggia equilibri perfetti instaurati già col Bill of Rights. Viene pronunciato dal sovrano ma il testo è fornito dal primo ministro e porto dal Lord cancelliere, carica che viene assegnata dal monarca ma su indicazione del capo dell’esecutivo. Il testo standard fa riferimento al “mio governo” esaltando nella persona del sovrano l’unità della nazione anteposta alle divisioni politiche. La carrozza su cui il sovrano si sposta da Buckingham Palace a Westminster inscena materialmente la traslazione del potere, dalla monarchia assoluta a quella parlamentare. E’ tradizione che, per convocare i membri del ramo basso al cospetto del sovrano, il messo regio (annunziato dall’urlo “black rod!”, solitamente piuttosto allarmato) bussi con un bastone nero alle porte della House of Commons, che gli vengono sbattute in faccia a testimonianza della sovranità del Parlamento. Tutto questo rituale indica che, se i parlamentari vanno ad ascoltare la Regina, è perché lo vogliono loro e non perché li ha chiamati lei. Infatti è il loro corteo, e non quello regale, a portare lo scettro, ossia il simbolo della sovranità.
In un contesto di così capillare simbolismo, l’assenza del sovrano viene sublimata e forse anche esorcizzata. Indubbiamente emerge una distinzione fra la persona di Elisabetta, che come tutti le persone può invecchiare o non star bene, e le sue funzioni che possono essere espletate dall’erede al trono o dal Lord cancelliere, senza che il meccanismo istituzionale ne risenta. Presente o meno, il garante dell’unità della nazione resta il monarca. La regina nella sua persona incarna un potere che non è personale.
Curiosa coincidenza, proprio nel giorno del Discorso della Regina nel nostro Parlamento si discuteva di presidenzialismo. Di là da ogni giudizio di merito, è innegabile che si tratti di un modello opposto, che vira in direzione di una personalizzazione del Quirinale e conduce verso un capo di Stato inevitabilmente destinato a dividere lo stesso popolo chiamato a eleggerlo: pensate al recentissimo ballottaggio francese o alle ultime complicate presidenziali americane. Certo, anche negli Stati Uniti o in Francia il presidente diviene garante di unità, ma la caratura simbolica è differente. Forse induriti da quasi ottant’anni di repubblica e di equilibri instabili, abituati a vedere eletto (dal Parlamento) al Quirinale un esponente politico, noi italiani fatichiamo a cogliere la solidità del portato simbolico della monarchia e al rituale preferiamo il retroscena, al ruolo la persona. Per questo abbiamo creduto, confortati o sviati dalle immagini, che, senza Elisabetta, oggi a Westminster la Regina non ci fosse. C’era, invece: nello spazio vuoto di fianco al trono, nelle parole del messo, nella corona sul cuscino. Non sarebbe lo stesso se, ad esempio, i francesi trovassero all’Eliseo solo la cravatta di Macron.
L'editoriale dell'elefantino