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Il capo di Lukoil si dimette. Il petrolio russo teme le sanzioni

Federico Bosco

L'oligarca che ha guidato la società petrolifera per 30 anni è tra le persone sanzionate dal Regno Unito. All'inizio della guerra, con la sua azienda aveva chiesto "una rapida conclusione del conflitto armato". La preoccupazione per il destino del paese avanza tra l'élite economica russa 

L’amministratore delegato del colosso petrolifero russo Lukoil si è dimesso. L’oligarca 71enne, Vagit Alekperov, era da 30 anni a capo della società che, sotto la sua direzione, è diventata uno dei maggiori produttori di energia al mondo. Nel comunicato non vengono date spiegazioni, ma la decisione arrivata nello stesse ore in cui Vladimir Putin metteva in scena l’ordine dell’assedio all’acciaieria di Azovstal in quelli che vogliono essere gli ultimi atti della conquista di Mariupol. La Lukoil si era distinta per aver chiesto al Cremlino, dopo appena dieci giorni dall’inizio della guerra, una rapida conclusione del “conflitto armato” in favore dell’apertura di un negoziato per una soluzione diplomatica. A colpire anche le parole usate nella nota, in cui si parlava di “conflitto” e non di “operazione militare speciale”.

 

Alekperov è un russo-azero nato in Azerbaigian, come vice ministro dell'industria petrolifera e del gas dell'Unione Sovietica aveva fondato nel 1991 la prima società energetica statale verticalmente integrata, la Langepas-Uray-Kogalymneft, che nell'aprile 1993 divenne Lukoil Oil Company, con lui come presidente. Le dimissioni arrivano a una settimana dall'inserimento di Alekperov nella nuova lista di personalità russe sanzionate dal Regno Unito.

 

Chiaramente, le richieste di Lukoil per una soluzione diplomatica non sono state ascoltate dal Cremlino e la decisione di Alekperov appare come la scelta di abbandonare la nave prima che il comandante la porti nell’abisso. Nel caso di Lukoil, questo abisso è l’embargo sul petrolio.

 

La determinazione di Putin nel portare avanti la linea dello scontro frontale con l’Occidente hanno reso realistica la possibilità che Bruxelles introduca sanzioni sul settore petrolifero russo, compromettendo la Lukoil, il bilancio statale e tutta l’economia russa. L'embargo del petrolio russo “farà sicuramente parte” del sesto pacchetto di sanzioni attualmente allo studio dalla Commissione europea, come conferma Ivo Schmidt, funzionario della direzione Energia citato da Ee Observer, che poi ha aggiunto: “Sappiamo che l’impatto sarebbe enorme sulla Russia, che è il secondo esportatore di petrolio dopo l’Arabia Saudita al mondo”.

 

Finora il funzionario russo più importante ad aver ha rotto con Putin dopo l’invasione è Anatoly Chubais, l’impopolare architetto delle privatizzazioni degli anni ’90 dimessosi dal ruolo di inviato russo del clima alla COP26 per lasciare il paese, forse definitivamente. Ad altre personalità che hanno cercato di dimettersi – inclusa la governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina – sarebbe stato detto che dovevano rimanere dove sono per aiutare a gestire le ricadute economiche. Nabiullina, che solo tre giorni fa aveva lanciato l’allarme sulla conseguenze delle sanzioni sull’economia russa salvo essere smentita poche ore dopo da Putin, oggi ha ammorbidito le sue posizioni in un discorso alla Duma, prospettando scenari più ottimistici.

 

Tra gli oligarchi, molti dei quali hanno visto yacht, fondi e altre proprietà sequestrati in base alle sanzioni occidentali, ci sono state critiche nei confronti della guerra, ma senza menzionare direttamente Putin. A fine marzo il magnate dei metalli Oleg Deripaska ha definito la guerra “follia”, dicendo che sarebbe potuta finire “tre settimane fa attraverso negoziati ragionevoli”. Ha avvertito che i combattimenti “potrebbero continuare per molti anni”.

 

Secondo le fonti di Bloomberg, ci sono molti alti funzionari di stato e membri dell’élite economica russa a essere preoccupati per il destino del paese. Credono che l'invasione sia stata un errore catastrofico che riporterà indietro la Russia di anni. Alcuni funzionari di basso profilo avrebbero chiesto di essere trasferiti a lavori non legati alla definizione delle scelte politiche. Tutti hanno parlato in condizione di anonimato, temendo ritorsioni. In pochi hanno la forza, o forse la possibilità, di allontanarsi dalle conseguenze della guerra, come hanno fatto Chubais o Alekperov. 

 

Sempre più dipendente da una cerchia ristretta di consiglieri fedeli alla linea più intransigente e oltranzista, Putin ha respinto tutti i tentativi dei funzionari che hanno cercato di avvertirlo del costo economico e politico dell'invasione dell'Ucraina. Chi lascia il paese viene considerato un “traditore”.

 

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