Diffidenza al tavolo

Mosca camuffa la ritirata da Kyiv, ma Washington non si fida. I punti in discussione nella trattativa

Micol Flammini

Gli ucraini prima di ogni cosa vogliono il cessate il fuoco e hanno confermato di essere disposti a cedere sulla neutralità, ma chiedono garanzie sulla sicurezza. Intanto la Russia fa finta di vincere

Bisogna ritirarsi  facendo finta di vincere, anzi, facendo vedere che non soltanto si vince, ma lo si fa con generosità. Ieri i delegati ucraini hanno capito che era questo il senso della costruttività russa al tavolo dei negoziati di Istanbul, i segnali li stavano cogliendo già da un po’ e l’ultimo era arrivato proprio in mattinata quando è riapparso il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, per dire che la Russia deve concentrarsi sulla liberazione del Donbas. Un dettaglio importante: la “denazificazione”, grido di battaglia di Vladimir Putin per iniziare la guerra, è diventata “liberazione”. Dopo la giornata nel palazzo di Dolmabahce, incominciata con molto scetticismo, le due parti hanno detto che ci sono stati progressi, ma l’incontro non ha portato a nessun accordo concreto e neppure a un compromesso. La Russia ha annunciato che ridurrà le attività attorno a Kyiv e Chernihiv per  “aumentare la fiducia reciproca”. E gli ucraini sanno bene che si tratta di un bluff a metà – attorno alla capitale gli ucraini stanno riguadagnando molto terreno – e Mosca sta cogliendo l’occasione per trasformare una possibile fuga in un gesto di apertura. A Chernihiv, invece, negli ultimi giorni l’esercito russo ha intensificato i bombardamenti per consolidare il controllo dell’area a nord, quindi qui la riduzione della pressione militare sarà reale. L’Ucraina  ha fatto dichiarazioni molto  importanti e ha detto di essere disposta a parlare di concessioni territoriali: ha proposto che i negoziati sullo status della Crimea siano condotti in un periodo di quindici anni e ha promesso che Kyiv non cercherà di riconquistare la penisola militarmente. 

 

I delegati ucraini hanno proposto che la questione della sovranità del Donbas venga invece discussa direttamente dai due presidenti. Di cui uno, Zelensky,  da settimane  chiede di incontrare l’altro, Putin, che invece continua a dire che non è il momento. Kyiv prima di ogni cosa vuole il cessate il fuoco e  ha confermato di essere disposta a cedere sulla neutralità, ma in cambio deve ricevere delle garanzie di sicurezza legate a  un trattato analogo all’articolo 5 della Nato, anzi: “Meglio della Nato”, ha detto il capo delegazione ucraino, Mikhailo Podolyak. Tra i garanti della sua sicurezza devono esserci Stati Uniti, Regno Unito, Turchia, Cina, Israele, Francia,   Germania e anche Italia. Tutti devono essere legalmente coinvolti nella protezione di Kyiv.   Gli   ucraini, che chiedono a Mosca  anche di non interferire con l’ingresso in Ue,    sono disposti  a fingere di non vedere il tentativo russo  di mascherare la ritirata, ma vogliono rassicurazioni per il futuro.  

 

I punti che la Russia ha portato sul tavolo dei negoziati sono ancora tutti lì, tranne la denazificazione.  Il capo delegazione russo, Vladimir Medinsky,  ha precisato   che le convergenze riguardano “questioni minori, mentre su quelle importanti si continua a perdere tempo” e ha sottolineato che la riduzione dell’escalation a Kyiv e Chernihiv non è un cessate il fuoco. Il segretario di stato, Antony Blinken, ha  detto di non credere nell’impegno di Mosca: “C’è quello che la Russia dice e poi c’è quello che fa”.    E mentre si parlava di negoziati a Istanbul, Paesi Bassi, Repubblica ceca e Belgio espellevano trentanove spie russe e il Regno Unito faceva sapere che non è il momento di liberare la Russia dalla pressione occidentale. Nessuno è più disposto a fidarsi di Mosca, che sembra cercare più una riabilitazione della sua immagine internazionale e anche nazionale che la pace.  I continui passi avanti e indietro  su un possibile accordo riflettono anche le divisioni dentro al potere russo: c’è chi ha capito che questa “operazione militare” è un pantano ed è meglio andare via mentre gli ucraini si dimostrano in vena di concessioni. Il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha detto che negoziare è un errore: bisogna portare avanti quello che si è iniziato. E non è il solo a pensarla così.  

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.