Ne rimarrà uno solo

Epurazioni e defezioni. Putin rafforza la sua cerchia di fedelissimi e cerca i “moscerini”

Micol Flammini

Peskov dice che Sergei Shoigu non si trova perché ha da fare. Con lui è scomparso anche Valeri Gerasimov, capo di stato maggiore. Il Cremlino è molto scontento di come sta andando la guerra e cerca un capro espitaorio. Ma c'è anche chi se ne va, e viene soprattutto dal mondo economico 

Dmitri Peskov, la voce del Cremlino, ha detto che non c’è da preoccuparsi per Sergei Shoigu, il ministro della Difesa russo che non si vede più dall’11 marzo. Prima riferiva quasi tutti giorni dell’andamento della guerra, poi ha smesso. Qualcuno ha messo in giro voci di un suo arresto, altri di problemi cardiaci. Peskov ha detto che il ministro è semplicemente molto impegnato, deve occuparsi “dell’operazione militare” e non ha tempo per la televisione. Con lui è scomparso anche Valeri Gerasimov, capo di stato maggiore. Sono i due architetti dell’invasione e  i due uomini di cui Vladimir Putin si fiderebbe di più: oltre al presidente russo, sono loro due ad avere i codici per azionare l’arsenale nucleare della Russia. La loro scomparsa è il sintomo che dentro al potere russo ci sono cose che non vanno: non basta che la tv racconti che in Ucraina le operazioni vanno secondo i piani, che le azioni sono concentrate nel Donbas, che i soldati russi distribuiscono viveri alla popolazione che li accoglie a braccia aperte; la verità è un’altra e il Cremlino è scontento. Andrei Soldatov, uno dei massimi esperti di servizi di intelligence russi, e per questo ha dovuto lasciare il paese ma conserva ancora molte fonti  dentro all’Fsb, ha sempre detto che Shoigu è una delle poche persone che Putin ascolta e di cui si fida. Con Shoigu, l’esercito ha preso sempre più potere, anche economico, e i militari hanno iniziato ad avere   più importanza. Più degli addetti ai servizi di sicurezza e più degli oligarchi. 

 

Infatti le prime notizie di epurazione che l’insoddisfazione per la guerra avrebbe generato riguardano i servizi segreti. Sempre Soldatov aveva raccontato che al diciassettesimo giorno di guerra, quando la Russia, seppure con fatica, continuava ad avanzare, la rabbia del presidente russo aveva deciso di colpire il quinto servizio dell’Fsb, un dipartimento speciale che si occupa di intelligence estera. Il suo capo, Sergei Beseda, è stato interrogato e poi messo ai domiciliari. La scorsa settimana è stata la volta della Guardia nazionale, e il generale Roman Gavrilov è stato costretto a dimettersi. Il quinto servizio si occupava di raccogliere informazioni di intelligence in Ucraina, coltivare reti di agenti e sostenitori di gruppi politici che potrebbero  sostenere  l’invasione russa, condurre operazioni di guerra politica.

 

La Guardia nazionale è l’unità dell’esercito che finora ha subìto più perdite e Gavrilov sarebbe accusato di azioni sconsiderate che hanno fatto aumentare il numero dei morti fra le truppe russe, che è incredibilmente alto: quasi diecimila. Le epurazioni stanno colpendo quindi soprattutto i servizi  per due ragioni. La prima è che erano  stati incaricati di sondare come potessero essere accolti i soldati russi e di tessere una rete di contatti favorevole a Mosca. Questo o non è stato fatto oppure l’operazione non è riuscita. Rimane la domanda se Putin fosse stato ben informato riguardo alle reali condizioni sul territorio. In città a maggioranza russa come Kherson, la prima città occupata da Mosca, gli abitanti prima hanno organizzato manifestazioni contro l’esercito e domenica scorsa qualcuno ha sparato con un fucile d’assalto contro Pavel Slobodchik, un politico locale e collaboratore del sindaco filorusso Vladimir Saldo. I servizi di intelligence avrebbero potuto prevedere l’atmosfera che l’invasione avrebbe potuto creare. La seconda ragione per cui si cercano colpevoli nei servizi è che la Russia è stata molto colpita da come gli Stati Uniti abbiano previsto e indovinato ogni mossa dell’invasione: ora Putin cerca la talpa.    

 

Le epurazioni raccontano la ricerca di un capro espiatorio da parte del Cremlino ma anche la volontà di Putin di rafforzare la cerchia dei fedelissimi, che si è fatta sempre più piccola. Il presidente russo è passato dal volere i personaggi più svariati attorno a sé al volerne pochissimi. Questi pochi, ora che la guerra non va come previsto e ora che l’economia russa è disastrata, devono essere anche innocui. In uno dei suoi ultimi discorsi Putin ha parlato dei traditori che stanno danneggiando la società russa, ha promesso che il popolo russo li sputerà fuori come fossero dei moscerini accidentalmente finiti in bocca. E i traditori non sono soltanto le talpe dell’intelligence, ma anche tutti coloro che sono contro l’invasione.  

 

Se da una parte Putin si sta costruendo attorno una cerchia più che fedele, alcuni analisti dicono che il culto della fedeltà che coltiva da anni ha danneggiato la qualità del suo entourage. Questo è avvenuto anche nell’esercito e nelle agenzie di intelligence, dove c’è un grande problema di sfiducia. Ci sono ufficiali di medio livello che avrebbero le competenze per capire cosa sta accadendo in Ucraina e però sono riluttanti a riferire ai generali, hanno paura.  Se quello che sta accadendo sul campo di battaglia, in un paese senza pluralismo, può essere ancora nascosto alla popolazione, i danni derivanti dalle sanzioni e dall’isolamento sono impossibili da nascondere. E infatti le prime defezioni si contano tra chi negli anni si è occupato di economia. Il primo funzionario del Cremlino di peso ad essersi dimesso è stato Anatoli Chubais, che da ultimo era stato nominato  inviato per il clima, ma negli anni aveva lavorato alle privatizzazioni e alla struttura del mercato russo.

 

Nei giorni scorsi invece  ha lasciato il suo posto da capo del fondo tecnologico Skolkovo, che è sostenuto dallo stato, Arkadi Dvorkovich. Ex consigliere economico di Dmitri Medvedev ed ex vice premier, ha detto di essere contro la guerra. Si continua a parlare delle lettere di dimissioni che Elvira Nabiullina, governatrice della Banca centrale russa, avrebbe mandato a Putin. Sarebbero state tutte respinte, ma nella cerchia di Putin, chi ha a che fare con l’economia non vuole essere ricordato per il disastro finanziario al quale la Russia sta andando incontro. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.