Roman Abramovich (Ansa)

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Abramovich è sefardita o aschenazita? Il mistero del passaporto e il rabbino in manette

Marcello Sacco

Sfruttando una modifica alla legge sulla nazionalità, l'oligarca russo è diventato cittadino portoghese in appena sei mesi, senza aver mai abitato nel paese e senza nemmeno parlarne la lingua. Intanto Daniel Litvak, che guida comunità ebraica di Porto e si occupa anche delle naturalizzazioni è stato arrestato prima che partisse per Israele

In piena aggressione russa all’Ucraina, l’opinione pubblica in Portogallo ha un motivo in più per discutere da che parte vuole davvero stare. Si tratta della legge che ha permesso all’oligarca russo Roman Abramovich di diventare cittadino portoghese in pochissimi mesi, sfuggendo momentaneamente a una parte delle sanzioni che in questi giorni hanno colpito altri suoi connazionali.

Sfruttando una modifica alla legge sulla nazionalità, che permette la naturalizzazione degli ebrei che, attraverso una complicata ricostruzione del proprio albero genealogico, riescono a dimostrare di discendere da sefarditi iberici espulsi dalla penisola nei secoli XV e XVI, Abramovich aveva ottenuto la naturalizzazione in tempo record (sei mesi appena) senza aver mai abitato in Portogallo, senza parlarne la lingua e soprattutto senza che fosse mai chiarita del tutto la sua costola sefardita (Abramovich è notoriamente aschenazita), ma giusto in tempo per intascare un prezioso passaporto europeo prima che, nel Regno Unito, la sua situazione si complicasse. 

 

L’ultimo colpo di scena, di venerdì scorso, è la notizia dell’arresto e successivo rilascio, ma soggetto a misure cautelari, di Daniel Litvak, rabbino della comunità ebraica di Porto. Era in procinto di partire per Israele. Forse in fuga, secondo il sospetto dei giudici che gli hanno ritirato i suoi due passaporti, israeliano e argentino. La “legge dei sefarditi”, come ormai viene sinteticamente chiamata questa modifica normativa del 2015, attribuisce alle comunità ebraiche di Lisbona e Porto la responsabilità di raccogliere e certificare tutta la documentazione genealogica necessaria all’ottenimento della nazionalità. In una recente intervista alla Rtp, la televisione pubblica portoghese, un funzionario del ministero della Giustizia ammetteva che lo stato, nella maggior parte dei casi, si limita ad apporre il timbro, appaltando così ogni forma di controllo alle comunità religiose. Proprio Litvak, intervistato nell’ambito dello stesso servizio che la Rtp ha dedicato una settimana fa all’inchiesta giudiziaria in corso, negava ogni irregolarità, ma rivendicava la maggiore efficienza della comunità di Porto, grazie a criteri semplici e pratiche più spedite. Non a caso, delle oltre 86 mila richieste di nazionalità di discendenti sefarditi presentate fra il 2015 e il 2021, il 90 per cento (Abramovich incluso) sono state espletate dalla comunità che fa capo a Litvak il quale, secondo alcune fonti, sarebbe in possesso di un patrimonio milionario sparso in diversi conti bancari fra Portogallo e Israele, ed è sospettato di aver dirottato parte dei 35 milioni di euro che la sua comunità ha ricevuto in dono da quando è in vigore la legge.

 

Questa svolta nelle indagini arriva in un momento disastroso per gli affari degli oligarchi russi in Europa. Dopo il varo dell’ennesimo pacchetto di sanzioni inglesi, giovedì scorso, fonti del ministero della Giustizia portoghese dichiaravano alla Reuters che quelle misure non potevano applicarsi nell’Unione europea, tanto meno su quello che è, ormai a tutti gli effetti, un concittadino. Lasciavano tuttavia aperta l’ipotesi di rivedere il procedimento di naturalizzazione di Abramovich nel caso in cui fossero emerse novità sul versante giudiziario. Sempre alla Reuters, l’avvocato Miguel Delgado ricordava però altri casi di cittadini europei sanzionati, come la moglie di Bashar al Assad, Asma, a cui fu proibito di viaggiare in Europa. 

Il Portogallo è meno dipendente di altri paesi europei dal gas russo, ma è attaccato all’ossigeno dei milioni messi in circolo in questi anni da leggi ad hoc. Soltanto con il programma “golden visa”, in vigore dal 2012 e sospeso solo di recente e in maniera parziale (a seconda delle città in cui si investe), sono stati concessi visti in cambio di investimenti a 431 cittadini russi, per un volume d’affari di circa 278 milioni di euro. Perciò il sospetto che il governo stia ancora provando a tenere il piede in due staffe è forte. E le denunce delle solite organizzazioni civiche contro la corruzione trovano ora sostegno nella diplomazia ucraina, che preme per misure concrete.
 

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