Foto: ANSA/EPA/YURI KOCHETKOV

L'assedio finanziario alla Borsa di Mosca

Mariarosaria Marchesano

La guerra di Putin contro Kyiv ha avuto effetti economici sugli operatori internazionali, che ora sono chiamati a prendere una posizione. Un indice globale monitora la posizione delle aziende sul tema Ucraina

La Borsa di Mosca, chiusa ormai da sei giorni, è diventata il simbolo dell’assedio finanziario dell’occidente nei confronti della Russia. Un fatto senza precedenti. Basti pensare che dopo le Torri Gemelle, Wall Street si fermò per sole quattro sedute. Mai era successo che, come reazione a un’aggressione bellica, un blocco di paesi provocasse la sostanziale paralisi finanziaria del paese invasore spingendolo verso il default. Se riaprisse, il listino moscovita vedrebbe azzerare il valore di gruppi come Gazprom e Sberbank, la principale banca del paese, con perdite enormi per gli investitori.

 

Ma l’assedio finanziario, che ha già provocato il declassamento del debito pubblico russo a livello ‘spazzatura’ da parte delle agenzie di rating e adombrato il fallimento di uno stato nel bel mezzo di una guerra, sta assumendo una portata anche più ampia che coinvolge l’aspetto reputazionale degli operatori internazionali. E’ significativo come il gigante della gestione del risparmio Carmignac abbia deciso di non acquistare più alcun tipo di titolo russo motivandolo con ragioni di “etica”. Del resto, come si fa a proporre ai clienti investimenti all’insegna della sostenibilità e della responsabilità sociale se poi dentro i portafogli ci metti la Russia di Putin le cui milizie sparano sui civili ucraini indifesi?

 

Per quanto tra imprese e gruppi finanziari stia salendo giorno per giorno il livello di preoccupazione per le prospettive economiche dell’Europa, senza dubbio più esposta degli Stati Uniti all’effetto di ritorno delle sanzioni contro Putin, cresce parallelamente la consapevolezza che in questa guerra bisogna scegliere da che parte stare. Per questo due studiosi-filantropi come Alberto Alemanno e Mark Hanis, hanno creato l’Ukraine Corporate Index, un indice mondiale di 86 grandi aziende di cui viene monitorata la posizione sul tema Ucraina. A favore si sono schierate in vari modi Generali, Adidas, Bmw e Disney. Poi anche Shell, Siemens, Snapchat, Toyota e molti altri. Invece, Lavazza, Leonardo, Philip Morris, Pirelli, Unilever sono tra quelle rimaste in silenzio.

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