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Cosa vuol dire, dati alla mano, stritolare l'economia di Putin

Giampaolo Galli

La Russia è un gigante militare per il suo arsenale atomico, ma è un nano economico. E le sanzioni posso avere effetti immediati e mettere a serio rischio la tenuta del sistema economico russo

Le sanzioni imposte alla Russia potrebbero avere effetti non solo su tempi lunghi, ma anche nell’immediato. Possono indebolire Putin sia all’interno sia in un eventuale tavolo negoziale. La Russia è un gigante militare per il suo arsenale atomico, ma è un nano economico. Il suo reddito pro-capite, tenuto conto delle parità di potere d’acquisto, la colloca al 72esimo posto al mondo. Nell’ultimo decennio, il tasso di crescita medio del Pil reale è stato dell’1,5 per cento, un valore modesto per un paese a basso reddito. Su questa economia fragile si abbatte il costo di una nuova guerra e delle sanzioni. Secondo un calcolo pubblicato da Novokmet, Piketty e Zucman nel 2018, le ricchezze detenute all’estero dai russi ammontano alla stratosferica cifra di 85 per cento del pil russo. In sostanza, la ricchezza degli oligarchi detenuta all’estero – Regno Unito, Svizzera, Cipro e altri centri offshore – ha le stesse dimensioni della ricchezza detenuta in Russia dall’intera popolazione. Forse una parte di queste ricchezze riuscirà a sfuggire alle sanzioni perché nascosta in paradisi fiscali sotto falsi nomi, ma l'America ha un grande potere extraterritoriale perché non vi è banca al mondo che non abbia riserve in dollari e che non tratti con banche americane. Queste ultime sono soggette al divieto di trattare con banche che a loro volta trattano con cittadini russi.

Vi è poi il blocco delle riserve ufficiali della Banca Centrale Russa (630 miliardi di dollari). Questa è l’arma più pesante. Circa metà delle riserve sono investite in attività dei paesi occidentali che hanno introdotto le sanzioni; l’oro, che rappresenta un altro 20 per cento delle riserve, non è facilmente liquidabile specie se si mettono sul mercato quantitativi ingenti. Questo significa che la Banca centrale non sarà in grado di sostenere il valore esterno del rublo, il che richiede di vendere valute pregiate.

Nella speranza di bloccare la fuga di capitali, la Banca Centrale ha reagito alle sanzioni alzando i tassi di riferimento dal 9,5 al 20 per cento; con un’inflazione inferiore al 9 per cento, il tasso di interesse reale sale da zero a oltre il 10. Se questa situazione dura più di qualche settimana, l’economia tornerà presto in recessione. Peraltro, la svalutazione del rublo non avrà alcun effetto di stimolo delle esportazioni – composte quasi soltanto da materie prime controllate dallo stato – ma farà innalzare l’inflazione.

 

Il rischio più grande per la Russia è forse rappresentato dal possibile fallimento di qualche grande banca soggetta alle sanzioni. Il debito russo in valuta estera ammontava a oltre 350 miliardi di dollari, il 21 per cento del pil. L’esposizione debitoria riguarda per oltre il 60 per cento imprese e famiglie, ma situazioni di default da parte di soggetti privati possono innescare crisi bancarie. Inoltre, il timore di fallimenti e la svalutazione del rublo sta determinando una corsa agli sportelli che moltiplica il rischio di crisi del sistema bancario. E allo scadere delle obbligazioni in valuta le banche sanzionate devono liquidare gli investitori, ma non possono rifinanziarsi sul mercato per via dell’esclusione dal sistema Swift e del blocco imposto dagli Stati Uniti. Ognuna di queste considerazioni può significare il default di una grande banca.

A tutto questo si aggiunge il blocco delle esportazioni di beni utilizzabili per l’industria bellica e la raffinazione del petrolio. E’ difficile immaginare che questo misure non abbiano effetti dirompenti e tali da indebolire seriamente l’autocrate che ne è la causa.  

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