Una madre e il suo bambino in cura per il cancro nel rifugio antiaereo del reparto di oncologia dell'ospedale pediatrico di Okhmatdyt (Chris McGrath/Getty Images)  

reportage

Nell'ospedale dei bambini di Kyiv, guardando i missili alla finestra

Cecilia Sala

L’ex premier Timoshenko ci dice: servono i peacekeeper dell’Onu e chiudere i cieli. Tutti chiedono una no fly zone che fuori di qui pare impossibile

Kyiv. “Grazie per le sanzioni, però se non ci aiutate a chiudere lo spazio aereo io continuo ad avere i pazienti che dalle finestre vedono piovere missili, quelli attaccati ai macchinari non li posso far scendere in un bunker”. I pazienti di cui parla Volodymyr Zhovnir sono al sesto piano, dove ci sono i macchinari più sofisticati che il suo ospedale abbia a disposizione, il problema è che sono anche impossibili da trasportare: per ognuno di questi malati bisogna calcolare se sia più rischioso muoversi o rimanere dove si può diventare bersaglio dei russi. È una decisione che va aggiornata di continuo, la tipologia dei bombardamenti cambia di continuo: ieri è stata colpita la torre delle televisioni a Kyiv, è iniziata una nuova fase ed è più pericolosa della precedente. Dai raid aerei si è passati ai lanciarazzi dentro le città e l’ambasciatore ucraino negli Stati Uniti ha detto che lunedì sono state usate anche le bombe termobariche, quelle che consumano l’ossigeno e creano una depressione molto forte che fa collassare i polmoni prima di vaporizzare tutto ciò che trova intorno.

     
Il dottor Zhovnir è il direttore della clinica pediatrica Okhmadyt, una delle più importanti del paese: i bambini che hanno bisogno di cure arrivano da tutta l’Ucraina. Ora sono in trappola, in questo complesso di palazzi moderni e altissimi: le stanze del grattacielo in acciaio e vetro sono esposte ai combattimenti.

    

Chris McGrath/Getty Images 
  
 

Quelli che possono sono scesi nel reticolo di sotterranei dell’ospedale: c’è tutto il reparto maternità, ci sono i pazienti oncologici per cui si cerca di capire come evitare che saltino il prossimo ciclo di chemio e anche le sale operatorie sono state spostate il più in basso possibile, al piano zero. Se il cibo viene razionato come in ogni parte della città, qui bisogna fare lo stesso con le medicine, mentre il sangue non è un problema: tutti gli abitanti del quartiere sono venuti a donarlo, e quello in eccesso rispetto alle esigenze dei pazienti andrà ai soldati e ai civili della resistenza. Gli infermieri si salutano al cambio turno dicendo “gloria all’Ucraina” e c’è una ragazza in pigiama a cui ho chiesto perché si trovasse qui. Mi ha risposto: “Chiedilo a Putin”. Si chiama Julia e non ha intenzione di scappare: “Quello è pazzo, se non si arrende alla nostra resistenza e sgancia una bomba atomica, a che servirà essere in fuga o aver superato un confine?”.

  

È venuta a fare visita ai pazienti anche Yulia Tymoshenko, la leader della prima rivoluzione ucraina, quella arancione del 2004 citata oggi dal presidente Zelensky nel suo discorso al Parlamento europeo. Anche Tymoshenko pensa che Putin sia pronto a fare qualsiasi cosa, compreso colpire le quattro centrali nucleari ucraine. Dice al Foglio che ci vuole “una missione di peacekeeping dellOnu e la no fly zone subito”. Farla rispettare – nella pratica – significa intercettare i missili e tirare giù gli aerei russi, la Nato non ne ha nessuna intenzione perché si ritroverebbe coinvolta in questa guerra, ma qui è ciò che chiedono tutti.
 

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