(foto EPA)

L'accordo sul nucleare dell'Iran è vicino, per questo tutti lo criticano

Cecilia Sala

La situazione si è sbloccata e se c’è stata un’accelerazione in cui sia Stati Uniti sia Iran hanno fatto concessioni su aspetti che fino a pochi giorni fa sembravano insolubili, significa che le faranno anche sugli ultimi rimasti irrisolti

L’accordo sul programma nucleare iraniano dovrebbe essere pronto in un paio di giorni. Lo hanno fatto trapelare due ufficiali coinvolti nei negoziati internazionali in corso a Palais Coburg, a Vienna. Le questioni ancora irrisolte erano poche, ma si trascinavano da molto tempo ed era diventata chiara una cosa: non aveva senso continuare con gli incontri delle delegazioni di diplomatici ed esperti europei, russi, cinesi e iraniani (gli Stati Uniti non si siedono al tavolo, comunicano con gli iraniani indirettamente attraverso l’inviato dell’Unione europea Enrique Mora), perché quando rimangono pochi punti su cui per mesi non si trova un compromesso, su quelli devono essere i leader ad esprimersi. 

Anche le fonti di Palais Coburg che parlano di una soluzione imminente ammettono che esistono un paio di aspetti che non sono ancora stati definiti, ma la volontà politica adesso è chiara. Come per ogni patto, finché non è stato concordato tutto, non è stato concordato nulla, ma oggi la situazione si è sbloccata e se – dopo un lunghissimo stallo – c’è stata un’accelerazione in cui sia Stati Uniti sia Iran hanno fatto concessioni su aspetti che fino a pochi giorni fa sembravano insolubili, significa che le faranno anche sugli ultimi rimasti irrisolti. 

Non siamo mai stati così vicini a veder rinascere l’accordo (formalmente si chiama Jcpoa) voluto da Barack Obama nel 2015 e da cui Donald Trump era uscito unilateralmente nel 2018. Che fossimo agli sgoccioli si è capito nel fine settimana, perché a Washington, Teheran e Gerusalemme tutti i nemici del Jcpoa hanno alzato i toni quasi contemporaneamente. Sono consapevoli di avere davanti l’ultima chance per intralciare i piani di Biden sull’Iran. Domenica il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, durante un discorso ai rappresentanti delle organizzazioni ebraiche degli Stati Uniti riuniti a Gerusalemme, è stato molto duro contro l’accordo e ha detto che gli iraniani hanno fatto a Biden una richiesta inaccettabile (si tratta di uno dei punti irrisolti da tempo): “La rimozione del corpo dei Guardiani della rivoluzione dalla lista dei terroristi”. Per Bennett è “il massimo dell’insolenza”. Stiamo parlando dei pasdaran che finanziano e coordinano le milizie sciite della regione, quelle che minacciano continuamente Israele – Bennett non sa o non dice quale sia stata la risposta della delegazione di Biden in proposito. 

Il giorno prima a Teheran duecentocinquanta parlamentari iraniani (su duecentonovanta) hanno chiesto al presidente Ebrahim Raisi di non sottoscrivere il patto finché non avrà ricevuto “tutte le garanzie necessarie”. Tra le garanzie considerate necessarie ci sono anche quelle che gli americani non possono dare, come la rassicurazione che il ritorno al Jcpoa non rappresenti soltanto la volontà dell’Amministrazione Biden ma quella generale degli Stati Uniti. Sembra una formulazione bizzarra ma ciò che gli iraniani vogliono evitare è di siglare un patto con un presidente democratico per poi vederlo demolito dal prossimo presidente repubblicano, come è già capitato con la successione di Trump a Obama

La delegazione americana a Vienna non può fornire certezze su come si comporteranno i futuri presidenti degli Stati Uniti, allora il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian ha chiesto che ci sia almeno una dichiarazione ufficiale degli speaker delle Camere, oppure un voto dello stesso Congresso americano. Poco prima centocinquanta senatori repubblicani avevano chiesto la stessa cosa, cioè che il Congresso si potesse esprimere sui termini dell’accordo prima che venisse sottoscritto, ma con l’obiettivo opposto: affossarlo.

Questa mossa – proprio mentre l’Iran chiede rassicurazioni dal Congresso – è un tentativo di far saltare l’accordo. Così come i conservatori iraniani che chiedono rassicurazioni impossibili vogliono farlo saltare. Le garanzie politiche a cui si riferiscono, la questione dei pasdaran dentro o fuori la lista dei terroristi, i meccanismi di verifica sulla rimozione delle sanzioni, infine la sospensione o no dei procedimenti contro l’Iran da parte dell’Agenzia internazionale per il nucleare – questi sono gli ultimi nodi da sciogliere. Se davvero siamo a un passo dalla firma, sapremo presto chi ha ceduto e su cosa.

Di più su questi argomenti: