Il presidente Usa, Joe Biden (Ansa)

Ultimissimo round

Biden ha molto più bisogno di un accordo nucleare dell'Iran e si vede tantissimo

Cecilia Sala

Per la Casa Bianca c’è tempo fino alla fine di febbraio per salvare l’accordo sul nucleare iraniano. Ma a guardare la situazione da Vienna, dove sono in corso i colloqui, non si percepisce alcuna fretta. Le parti hanno ricominciato a parlarsi martedì scorso e, per ora, da questa partita decisiva non emerge nulla di nuovo

Per la Casa Bianca c’è tempo fino alla fine di febbraio per salvare l’accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa). Tre funzionari dell’Amministrazione Biden hanno detto alla Cnn che, altrimenti, bisognerà rivedere i piani e “lanciare sforzi aggressivi per impedire a Teheran di ottenere un’arma nucleare”. Ma a guardare la situazione da Vienna, dove sono in corso i colloqui, non si percepisce alcuna fretta. Gli iraniani e gli inviati europei, russi e cinesi hanno ricominciato a parlarsi martedì scorso e, per ora, da questo “round decisivo” non emerge nulla di nuovo. Il ministro degli Esteri della Repubblica islamica ha detto “finché gli occidentali non dimostrano un po’ di realismo non ci possono essere passi avanti”.

 

È un déjà-vu, sono le stesse cose che diceva quattro mesi fa. È stato più duro Ali Shamkhani, per lui degli americani non ci si può fidare, sono “incoerenti”. Ali Shamkhani è interessante perché è il segretario del Consiglio per la sicurezza nazionale, il vero ministero degli Esteri iraniano, è stato scelto direttamente dalla Guida e occupa quella posizione da nove anni. Quando il ministro degli Esteri ha aperto all’ipotesi di colloqui diretti con gli Stati Uniti per accorciare i tempi, Ali Shamkhani lo ha fermato. Alle orecchie degli americani le dichiarazioni che arrivano da Teheran suonano come una beffa, visto che hanno appena fatto un passo non scontato e venerdì hanno eliminato un pacchetto di sanzioni consentendo a un po’ di imprese russe, cinesi ed europee di ripristinare i loro investimenti.

 

Il ringraziamento è stato l’annuncio da parte di Teheran di un pacchetto di spesa pubblica multimiliardario “per resistere alle sanzioni”. Che non dovrebbe essere una priorità se davvero l’accordo va chiuso entro febbraio e di conseguenza le sanzioni saranno rimosse. A Teheran pensano che Biden abbia speso talmente tanto capitale politico nel salvataggio dell’accordo voluto da Barack Obama e abbandonato da Donald Trump che non sarà lui a far saltare il tavolo. Hanno anche notato una cosa: sulla stampa era già filtrato che – a detta di alti ufficiali statunitensi – per gli americani i negoziati non potevano prolungarsi oltre la fine di gennaio, poi la scadenza è diventata la metà di febbraio e adesso la fine di febbraio. Gli iraniani credono che Biden non si possa permettere un altro scenario di tensione oltre all’Ucraina e, rispetto alla recessione interna, sono forti di un fatto: come conseguenza della crisi delle materie prime, nonostante le sanzioni c’è un nuovo boom dell’export di petrolio iraniano ed è diretto soprattutto in Cina.

 

C’è un ultimo tassello da considerare. Tra i diplomatici di Teheran circola una battuta: “Leggere più tweet di Ted Cruz e meno messaggi di Robert Malley”. Il primo è il senatore repubblicano che aveva scritto su Twitter che anche se Biden sigla l’accordo, appena i repubblicani hanno la maggioranza al Congresso o tornano alla Casa Bianca, lo fanno saltare. Il secondo, Malley, è l’inviato speciale di Biden per l’Iran. Lunedì Cruz ha twittato di nuovo, per annunciare che ha spedito una lettera al presidente in cui, insieme ad altri senatori, chiede che qualsiasi nuovo accordo con l’Iran venga votato dal Congresso. Anche tra i dem ci sono quelli che non vedono di buon occhio il Jcpoa e la scorsa settimana il presidente della commissione Esteri del Senato, il democratico Bob Menendez, ha criticato la politica di Biden sull’Iran in Parlamento. Se chiudono l’accordo – è il ragionamento iraniano – si tratta di un patto con sopra una data di scadenza. Molti stanno dicendo che nessun accordo è meglio di uno a termine, tanto a pagare il prezzo delle sanzioni non sono i vertici ma la popolazione.
 

Di più su questi argomenti: