Hamidreza Nikoomaram/Fars News Agency via AP

Le grandi proteste d'Iran contro il regime

Cecilia Sala

A Isfahan hanno finito l'acqua e la polizia ha aperto il fuoco contro i contadini in protesta: non si sa il numero dei morti, né cosa succede ora, perché il governo ha bloccato internet. Le preoccupazioni degli ayatollah

Isfahan è una città nel centro dell’Iran dove una settimana fa quasi un milione di persone sono scese in piazza. Il problema degli abitanti di Isfahan, e di molti iraniani, è che hanno finito l’acqua. Nella notte di mercoledì la polizia ha appiccato il fuoco a una distesa di tende dove sarebbero andati a dormire i manifestanti, che in quel momento si stavano scontrando con altri poliziotti. Questa era iniziata come una protesta dei contadini con obiettivi limitati e richieste specifiche: riaprite i rubinetti, ridateci il fiume Zayandehrud ormai prosciugato. Ma in poco tempo sono cominciati a risuonare gli slogan contro la Guida suprema, Ali Khamenei, e poi “morte ai dittatori”.

 

Allora la polizia prende la mira e comincia a sparare ad altezza uomo. Non si conosce il numero dei morti, ma nei video di ieri si vede un ragazzo a cui sparano alla testa, poi c’è una donna a terra: non si muove, ha gli occhiali rotti e il volto insanguinato. Ci sono altri tre corpi inermi di giovani trascinati via dalla folla dai loro compagni. Ci sono i raid nelle case, i poliziotti sfondano le porte degli appartamenti e ci lanciano dentro i lacrimogeni. Da Teheran decidono di rallentare internet nella zona, ma ormai sono scesi in piazza anche a Shahr-e Kord e ad Ahvaz. Non sappiamo che succede perché lì il governo ha completamente bloccato internet. Nel frattempo finisce l’acqua a Yazd, le autorità dicono che sono stati i “vandali” a sabotare il canale di rifornimento che arriva da Isfahan. I manifestanti dicono che non è vero, che è un trucco per rivoltare la popolazione contro di loro.

 

Questo genere di proteste mandano in paranoia i vertici della Repubblica islamica: il problema dell’acqua è un problema di molti e con il dramma dei contadini solidarizzano anche gli iraniani dei villaggi che votano conservatore. Gli ayatollah le temono perché sono contagiose e c’è il rischio che si ripeta quello che è successo nel novembre 2019, quando la rabbia dei “mustafazin” (“senza scarpe”) è esplosa in tutto il paese e la repressione ha fatto 1.500 morti nelle strade.

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