Massima deferenza

L'Iran si siederà ai negoziati nucleari di Vienna da vincitore

Daniele Raineri

L’Amministrazione Biden ha una posizione debole, l’iraniano Raisi se volesse potrebbe avere la Bomba

 Questa settimana in teoria ricominciano, dopo molta attesa, i negoziati sul programma nucleare dell’Iran a Vienna che si erano interrotti a metà giugno dopo soltanto due mesi. Ma le speranze di riportare in vita l’accordo del luglio 2015 che fermava l’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran in cambio della fine delle sanzioni internazionali sono basse. L’inviato americano nominato dal presidente Joe Biden, Robert Malley, durante un briefing a porte chiuse una settimana fa ha detto: “E’ come tentare di resuscitare un cadavere”, ma in pubblico si mostra  più ottimista. E’ come se le sette squadre di negoziatori non riuscissero più ad azzeccare il momento giusto per arrivare di nuovo a un accordo e non riuscissero a trovare  un minimo di allineamento comune. 

 

L’Amministrazione Trump uscì dall’accordo tre anni fa perché sosteneva la necessità di applicare la “massima pressione” possibile contro l’Iran, quando a Teheran c’era una leadership – il tandem formato dal presidente Hassan Rohani e dal ministro degli Esteri Javad Zarif – molto più disponibile ai negoziati di quella attuale. L’ex capo del Mossad israeliano fino a maggio di quest’anno, Yossi Cohen, due giorni fa ha detto in un’intervista che con il senno di poi quella rottura ordinata da Trump fu controproducente, perché ha consentito all’Iran di non rispettare più le regole e non c’è stato modo di fermare i suoi progressi in campo nucleare. Poi Trump aveva cambiato registro e si era mostrato più malleabile, al punto da fermare in modo plateale un’azione militare di rappresaglia contro l’Iran dopo l’abbattimento di un aereo spia americano in volo sul Golfo. Desiderava un incontro faccia a faccia con i leader iraniani e sarebbe stato senza dubbio spettacolare, ma non avvenne.

 

Dopo Trump è arrivato il presidente Joe Biden che aveva come obiettivo il ripristino del patto del 2015 nel primo anno della sua presidenza, ma a giugno anche la leadership in Iran è cambiata ed è arrivato il presidente Ebrahim Raisi, che al contrario dei predecessori è ostile ai negoziati. L’uomo che Raisi ha nominato a capo della squadra dei negoziatori iraniani, Ali Bagheri Kani, non vuole nemmeno sentire parlare di “negoziati sul nucleare”, sono piuttosto “negoziati sulla fine delle sanzioni ingiuste”.  La posizione dell’Iran è questa: dal momento che l’America è uscita dal patto del 2015, l’Iran non è più legato dalle clausole di quell’accordo e si può comportare di conseguenza. Uno dei pilastri di quello che sapevamo sulle relazioni tra l’Iran e il resto del mondo, ovvero che l’Iran ha bisogno con urgenza della fine delle sanzioni perché la crisi economica è troppo dura da sopportare, non c’è più. Non conta più. L’Iran torna a Vienna ed è la parte che ha meno voglia di negoziare.

 

Nel frattempo in questi mesi nei siti dove si lavora al programma nucleare l’arricchimento dell’uranio è arrivato al sessanta per cento – una percentuale che non ha senso dal punto di vista dell’uso dell’uranio per scopi civili ed è vicina alla soglia del novanta per cento necessaria a costruire una bomba atomica. Lo scopo del patto del 2015 era tenere l’Iran a circa un anno di distanza dalla possibilità di produrre un’arma nucleare. Ora quella distanza da coprire si è ridotta, secondo gli esperti, a un intervallo compreso “fra tre settimane e alcuni mesi” (vedi il rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica pubblicato mercoledì 17 novembre). A questo punto l’Iran non sta costruendo una bomba atomica perché non vuole per una deliberata scelta politica, non perché non sia in grado di farlo. In Israele in questi mesi si parla con sempre più insistenza della possibilità di operazioni militari e raid aerei contro i siti atomici dell’Iran. E’ in questo contesto che a Vienna ricominciano i negoziati, dopo una pausa di cinque mesi e con iraniani diversi.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)