editoriali
C'era un imam a Molenbeek
Espulsa dal Belgio la principale autorità religiosa islamica locale
L’imam della più grande moschea del Belgio, la al Khalil nel quartiere di Molenbeek a Bruxelles, Mohammed Tujgani, è stato privato del suo permesso di soggiorno in Belgio. Obbligo di lasciare il paese e divieto d’ingresso per un periodo di dieci anni. Secondo i servizi di intelligence belgi, l’imam rappresenta una “minaccia per la sicurezza nazionale”. Secondo quanto riferito dai media, Tujgani ha rilasciato dichiarazioni antisemite.
Si riparla di Molenbeek nei giorni in cui uno dei suoi abitanti più tristemente noti, Mohamed Abrini, viene processato a Parigi fra i responsabili degli attentati nella capitale francese (130 morti). Abrini in aula ha detto che preferirebbe vivere in Arabia Saudita, “dove si può essere veri musulmani”, perché “islam e democrazia sono incompatibili”. Abrini ha difeso lo stupro, il genocidio e la decapitazione. Ha detto di essere orgoglioso di suo fratello, Souleymane, morto combattendo per lo Stato islamico. Si è rifiutato di condannare gli attentatori di Parigi. Ha difeso la sharia e il jihad. Ha respinto l’idea stessa di “radicalizzazione”. “Non esiste quello che voi chiamate islam radicale. C’è solo l’essere musulmano. Questo è tutto”.
A ricordarci di Molenbeek, oltre all’imam, ci ha pensato il quotidiano francese Figaro, che è appena tornato nella città. Si scopre che dei 640 jihadisti schedati e che risiedono in Belgio, 70 vivono oggi a Molenbeek (senza contare tutti gli islamisti fuori dai radar). Dal parlamentare Georges Dallemagne all’esperta di terrorismo Fadila Maaroufi, tutti sanno e dicono che “l’islam politico e il comunitarismo continuano a guadagnare terreno, mentre le influenze esterne – Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Egitto – pesano sempre di più”. L’espulsione dell’imam ci ricorda, infine, che il vulcano islamista agisce, anche quando sembra in sonno.
Isteria migratoria