La corsa al litio dell'Ue evita le dipendenze, ma è piena di ostacoli

Paola Peduzzi

L’ambientalismo locale blocca lo sfruttamento di giacimenti utili alla transizione ecologica dell’Unione europea

Nella valle del fiume Jadar, nella Serbia occidentale, c’è un grande giacimento di litio che il gruppo anglo-australiano Rio Tinto vorrebbe estrarre: ha promesso di investire 2,4 miliardi di dollari, ma per ora il progetto è sospeso. Ci sono state molte proteste da parte degli ambientalisti locali e il presidente serbo, Aleksandar Vucic, che pure è a favore della miniera, ha detto che senza il consenso degli abitanti non andrà avanti: ha le elezioni nell’aprile prossimo. Un’attivista ha spiegato le sue ragioni al Financial Times: “Il litio renderebbe il mondo più pulito, e i paesi dell’Europa occidentale potrebbero sentirsi a posto con la coscienza. Ma questo posto diventerebbe una discarica e le nostre vite sarebbero distrutte”.

La Commissione europea ha pubblicato un documento in cui dice che l’Ue dovrebbe avere a disposizione diciotto volte il litio che ha adesso entro il 2030 per costruire le batterie che servono alle auto elettriche, sostituendo così le auto inquinanti e avviarsi verso la “neutralità ambientale” prevista per il 2050. Al momento l’Ue importa il litio e altri minerali, come rame e cobalto,  che servono per creare elettricità ed energia pulita. Il 78 per cento del litio importato arriva dal Cile, il più grande produttore seguito da Argentina e Cina, l’8 per cento dagli Stati Uniti e il 4 dalla Russia. In Europa i giacimenti di litio ci sono, soprattutto in Portogallo, ma anche in Germania, Francia, Austria, Repubblica ceca, Romania, Finlandia e appunto in Serbia, però il problema è sfruttarli. Le miniere godono di pessima fama dal punto di vista della sicurezza sul lavoro e del rispetto dell’ambiente e l’offensiva sulle “miniere di ultima generazione” messa in campo da governi e aziende non ha avuto grande successo. Esperti e politici dicono che l’apertura di miniere darebbe un grande contributo ai pil dei paesi interessati, ma gli ambientalisti dicono che è come con i diamanti: si arricchiscono gli altri, non le persone che lavorano nelle miniere. Molti pongono anche questioni geopolitiche: ridurre la dipendenza da paesi stranieri, in tempi in cui le catene di approviggionamento sono sempre di più armi politiche più che strumenti logistici indispensabili.

 

C’è anche una questione di competizione interna all’Ue: la Germania sta investendo molto sulla zona nella valle del Reno dove c’è il litio e altri minerali che servono per le batterie. I paesi più piccoli non vogliono rimanere indietro, soprattutto se, come per esempio il Portogallo, hanno riserve ben più grandi. Ma per ora le miniere, nonostante gli incentivi, stentano a partire. Lo stesso Portogallo, che pure ha lanciato già tre anni fa un piano per diventare, come dice il governo, esportatore di ecologismo, incontra moltissime resistenze a livello locale. Soltanto quest’anno sono stati ritardati due megaprogetti di estrazione, a causa delle proteste. Che sono per lo più ambientaliste, ma anche di ordine economico: le miniere dovrebbero restare aperte per circa dieci anni e impiegherebbero manodopera a basso costo. Il guadagno economico insomma non compensa il danno ambientale. 

 

Poi c’è l’interesse collettivo, in questo caso europeo. Parte della transizione ecologica dipende da queste risorse e l’autonomia strategica dell’Ue, tanto cara a molti leader del continente, pure. Ma la corsa “all’oro bianco”, com’è chiamato il litio, tanto indispensabile per raggiungere questi obiettivi rischia di essere rallentata da chi si batte per salvare il pianeta, ma non nel proprio cortile.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi