L'onda tellurica che sconvolge gli arabi nel Golfo

Daniele Raineri

I despoti sono biechi, ma con gli Accordi di Abramo hanno aperto la porta a una sovversione culturale vera

Succede che il filosofo americano Michael Sandel, che la Bbc presenta così: “Ha il profilo globale di una rockstar”, si collega da Harvard con Riad in Arabia Saudita e parla di filosofia con quattro studenti universitari sauditi, due maschi e due femmine (con il velo sui capelli). E quando la conversazione cade sul concetto di legge e sulla forza che è legata a questo concetto, una studentessa commenta che nulla dovrebbe essere al di sopra della legge. Se mio padre, dice la studentessa, fosse colpevole di un crimine, lo consegnerei alla legge. 

 

E lo dice mentre il padre siede nell’auditorium affollato dove si tiene la conferenza. E i presenti applaudono scroscianti, in un paese che è regolato da legami clanici e regole tribali che hanno una forza millenaria e che è sotto il controllo di ferro di una dinastia, quella dei Saud e del principe ereditario Mohammed bin Salman, che si ritiene al di sopra della legge. Il filosofo Sandel aveva chiesto in modo esplicito agli organizzatori che non gli facessero tenere una lezione e di poter invece interagire in diretta con i giovani sauditi ed è stato accontentato. E il risultato è stata questa scena insolita, come insolite sono le altre scene che arrivano dall’Arabia Saudita in questi mesi – dai grandi concerti di musica pop dove il pubblico è misto fino agli sbarchi dei primi turisti occidentali che girano sulla costa del paese vestiti da turisti in vacanza. Sabato scorso c’è stato il concerto della star indiana Salman Khan a Riad, davanti a un pubblico di ottantamila persone. A ottobre al concerto gratuito di Pitbull, un musicista americano che fa hip hop latino e reggaeton, si dice ci fossero più di duecentomila persone. Una scossa tellurica attraversa il Golfo, culla del mondo musulmano, e la sentiamo arrivare fin sotto i nostri piedi. 

 

Succede anche, lo stesso giorno, che il primo ministro di Israele  Naftali Bennett compia una visita senza precedenti negli Emirati Arabi Uniti e sia accolto da un picchetto d’onore e dall’emiro Mohammed Bin Zayed, che negli ultimi vent’anni ha molto manovrato per trasformare gli Emirati in una piccola potenza strategica e adesso scommette sulla tenuta della normalizzazione con Israele. E’ una conseguenza degli Accordi di Abramo del 2020, i trattati di normalizzazione fra alcuni paesi arabi – finora Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan – e Israele. Bennett dice che la sua è una visita che fa la Storia, Bin Zayed lo corregge in modo retorico: è una visita che fa il futuro. La visita di Bennett arriva quando i due sponsor principali degli Accordi di Abramo, Donald Trump e Benjamin Netanyahu, sono usciti di scena. Gli Accordi vivono di vita propria, funzionano perché convengono a tutte le parti, c’è un allineamento forte. La visita del primo ministro arriva quando ormai la presenza di israeliani negli Emirati non fa più notizia, è diventata un fatto come gli altri. Di più sarebbe difficile ottenere. 

 

Abbiamo tutte le ragioni del mondo per sospettare che gli autocrati del Golfo abbiano secondi fini mentre sponsorizzano queste straordinarie aperture sociali e del resto hanno compreso che di isolamento si morirà nel mondo del futuro senza petrolio. E hanno molto da farsi perdonare: il principe Mohammed bin Salman è sospettato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. E abbiamo anche buone ragioni per guardare in modo non ingenuo gli Accordi di Abramo. I paesi arabi avevano sempre ignorato in modo ostinato l’esistenza di Israele, da più di un anno un primo gruppo di paesi ha rinunciato a quella posizione perché al centro degli accordi di riconoscimento ci sono ragioni pratiche come la paura di un conflitto con l’Iran e lo scambio commerciale di tecnologia bellica. Ma gli effetti di queste aperture sono più ampie e vanno molto oltre ai piani e all’immaginazione degli autocrati del Golfo. Stiamo assistendo a un cambiamento irreversibile nella cultura e nella mentalità di milioni di persone in una delle aree più difficili – e da più tempo – del pianeta. Stiamo guardando un paesaggio nuovo fatto di relazioni fra paesi che fino a poco tempo fa nemmeno si parlavano. Sul breve periodo l’onda tellurica potrebbe diventare più grande di quanto, per ora, riusciamo a percepire.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)