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Essere in minoranza non spaventa i sindacati americani

Matteo Muzio

Secondo le statistiche il ruolo delle "Unions" in questi anni è stato molto ridotto. Nonostante nel 2021 ci siano stati quasi duecento scioperi, non tutti i partecipanti erano aderenti ai movimenti. Oggi il voto dei dipendenti di Starbucks a Buffalo 

La vittoria dei democratici lo scorso novembre aveva fatto presagire una rinascita del movimento sindacale, messo all’angolo da anni di apatia dei lavoratori e di attivismo dei governatori repubblicani, che hanno cercato di applicare nei loro stati la legge Taft-Hartley del 1947, che proibisce la sindacalizzazione dei luoghi di lavoro. Qualche volta con successo (è il caso del Wisconsin nel 2015 e del Kentucky nel 2017), altre volte invece l’opposizione ad essi ha vinto: in New Hampshire lo sforzo del governatore Chris Sununu è stato sconfitto due volte nella Camera statale a maggioranza repubblicana: l’ultima volta l’8 giugno 2021, con il voto di venti repubblicani decisivo per bocciare la misura. In Missouri, invece, la legge venne approvata nel 2017 ma bocciata da un referendum statale l’anno successivo: il 66 per cento votò per il no all’applicazione della nuova legge.

 

In tutto questo però, qual è stato il ruolo del movimento delle “Unions” guidate dal loro padre padrone Richard Trumka, scomparso lo scorso 5 agosto, in carica dal 2009? Molto ridotto, stando ai numeri che si possono trovare sul Bureau of Labor Statistics aggiornati al 2020: in New Hampshire i lavoratori sindacalizzati sono soltanto l’11,1 per cento e in Missouri ancora meno: il 10,1 per cento, in calo rispetto al 2019, quando erano oltre il 12 per cento.

 

Perché, nonostante nel 2021 ci siano stati quasi duecento scioperi, non tutti i partecipanti erano aderenti ai sindacati. Ci sono ragioni molto precise per questo, come giustamente nota il magazine di sinistra The American Prospect: l’ondata del 2021 è paragonabile a quelle del 1921 e del 1946, avvenute dopo una guerra e una pandemia. Le ristrettezze del periodo “bellico” non sono più accettabili da ampi settori che vedono ridotto il proprio potere d’acquisto, che siano sindacalizzati o meno.

 

In uno di questi casi, quello dei lavoratori di Hollywood, l’accordo è stato trovato all’ultimo momento su un aumento salariale e una riduzione dell’orario di lavoro. In questo caso, si trattava di un evento molto visibile, su cui le telecamere fatalmente sarebbe state accese. In altri casi invece la situazione è più difficile è meno seguita. Prendiamo il caso dello stabilimento di Amazon di Bessemer, in Alabama. Da sempre la penetrazione dei sindacati negli stati del profondo sud è stata molto difficile: in parte per la posizione molto netta sul razzismo presa sin dall’epoca del presidente del sindacato automobilistico Uaw Walter Reuther, ma anche per le politiche pro business dei governatori, che volevano attirare investimenti delle grandi aziende sfruttando i salari bassi.

 

Un tentativo venne fatto negli anni Cinquanta, con un’operazione in grande stile denominata “Operazione Dixie”: fallita anche per l’ostilità dei lavoratori all’integrazione razziale.  Una seconda volta, nello stabilimento Volkswagen di Chattanooga, in Tennessee, nel febbraio 2014: l’establishment repubblicano locale, capeggiato dal governatore Bill Haslam, fece un’accesa campagna per evitare la riconquista sindacale, paventando la perdita del posto di lavoro. Il voto vide una sconfitta di misura del sindacato: 712 voti contro 626. In Alabama, invece, c’è l’occasione per rifarsi di una sconfitta pesante, in riferimento al voto dello scorso aprile, ben più largo di quello di Chattanooga: 1798 per il no contro 738 a favore, dopo che il board federale per le relazioni sindacali ha chiesto un secondo voto a causa dell’eccessiva intromissione dell’azienda nella campagna elettorale. Una battaglia in salita, specie se si pensa che l’Alabama è uno stato che proibisce in Costituzione la contrattazione collettiva sin dal 2016 e dove quindi gli iscritti ai sindacati sono un misero 8 per cento.

 

Si attende il prossimo 9 dicembre un altro risultato dai dipendenti di Starbucks a Buffalo, nello stato di New York: lassù il panorama politico è più favorevole, ma non è detto che basti. La nuova leader nazionale Liz Shuler, eletta al posto dello scomparso Richard Trumka ad agosto, ha affermato che non ci si deve fermare, anzi: la prossima espansione è in uno degli stati più liberal d’America, la California, che ospita le aziende della Silicon Valley. Le politiche antisindacali del Big Tech però non hanno nulla da invidiare a quelle delle imprese tradizionali, come mostra l’ostilità con cui Google ha accolto la costituzione di un sindacato interno, non riconosciuto, anche se la legge californiana lo imporrebbe. L’essere in minoranza non spaventa i sindacati, come mostrano i risultati del referendum in Missouri del 2018.

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