Cosa c'è dietro il Trattato del Quirinale che Roma e Parigi stanno per firmare

Jean-Pierre Darnis

L’ambizione francese è quella di riprodurre con l’Italia il Trattato dell’Eliseo del 1963 tra Francia e Germania. Dal vertice bilaterale del 2017 al salto di qualità nei rapporti con l'esecutivo Draghi

Emmanuel Macron torna a Roma per firmare il Trattato del Quirinale – il che rappresenta una tappa importante, che determina anche un’opportunità di rinnovo dei rapporti europei. Il Trattato è stato concepito come un rimedio alle numerose crisi fra Roma e Parigi. L’idea era stata lanciata dalla presidenza francese al vertice bilaterale del settembre 2017 (quando dossier come Stx-Fincantieri o Libia-immigrazione creavano non pochi problemi) ed è un passo notevole, considerando che dopo la Seconda guerra mondiale i rapporti politici fra i due paesi sono stati spesso superficiali. Con l’arrivo dei socialisti al potere, negli anni Ottanta, si era assistito a una volontà di rinnovo con la creazione di un vertice bilaterale annuale: un'iniziativa utile, poi superata dall’intensità problematica dei rapporti nel Ventunesimo secolo. Dall’opa di Edf su Edison nel 2001 in poi, la moltiplicazione delle crisi bilaterali ha prodotto una serie di incomprensioni strutturali, e indica che l’intensità dell’integrazione in corso, anche nel settore economico-industriale, chiede di essere governata con nuovi strumenti. 

 

Molti ricorrono alle letture storiche per ricordare la complessità di un rapporto che nasce nelle fasi alterne del periodo risorgimentale. Ma queste letture storico-culturali occupano oggi anche troppo spazio, perché non tengono conto dell’attuale dinamica bilaterale caratterizzata dall’integrazione spinta delle catene di valore ma anche da cooperazioni scientifiche e tecnologiche estremamente strutturanti, dai satelliti di Thales Alenia Space fino ai semi-conduttori della ST Microelectronics. La società civile varca allegramente il confine comune per alimentare flussi densissimi di scambio e cooperazione. Il Trattato del Quirinale non è soltanto il necessario rimedio da porre agli inceppamenti della relazione bilaterale – che ha vissuto una crisi sotto il governo gialloverde giungendo all’inizio del 2019 al richiamo dell’ambasciatore Masset – ma uno strumento necessario per governare la crescita. Questo spiega anche le tante aspettative per un testo che ha conosciuto un iter sofferto: partito nel gennaio 2018 dopo l'incontro Gentiloni-Macronpoi arenatosi con il governo Conte 1. Successivamente, con il governo Conte 2 si era ristabilita una normalità di rapporti e il vertice bilaterale di Napoli nel febbraio 2020 aveva rilanciato la stesura di un trattato – sforzo affidato alle rispettive diplomazie.

 

Ma è con l’esecutivo Draghi che abbiamo assistito a un ulteriore salto di qualità nei rapporti fra Roma e Parigi. L’eccellente immagine di Mario Draghi ha permesso di saldare un anno contenzioso come quello delle condanne per terrorismo di cittadini italiani rifugiati in Francia. La visita di stato di Sergio Mattarella a Parigi a luglio scorso e i ripetuti contatti fra Macron e Draghi hanno concretizzato la firma del testo. Tutto bene quindi? L’operazione politica è certamente sinonimo di un rilancio del bilaterale. L’ambizione iniziale, almeno da parte francese, era quella di riprodurre con l’Italia il meccanismo efficace del rapporto fra Francia e Germania, derivato dal trattato dell’Eliseo del 1963 – dispositivo che si è poi evoluto con l’intensificazione degli incontri che vanno dai consigli dei ministri in comune fino agli scambi strutturali di alti dirigenti della pubblica amministrazione. Il trattato franco-tedesco voleva riconciliare due popoli lacerati dalle guerre: il contesto italo-francese è diverso, ma si percepisce la necessità di migliorare la mutua conoscenza per evitare incomprensioni.

 

Il Trattato del Quirinale riprende le cooperazioni settoriali per poi definire un’agenda ulteriore che possa favorire lo sviluppo. Ma il dispositivo sembra per il momento molto meno denso di quello franco-tedesco, senza calendarizzare appuntamenti costringenti o comitati ad hoc e rimanendo molto prudente per lo scambio di funzionari, anche nella diplomazia. La diplomazia italiana è sempre stata incline a un’intepretazione multilaterale del proprio ruolo in Europa. Il rafforzamento del rapporto bilaterale con la Francia, anche in chiave di maggiore efficienza europea, richiede però un cambio di abitudine non facilissimo per la Farnesina, sia per la permanenza di una cultura storica delle difficoltà nel gioco delle potenze europee, sia per il confronto con i corrispettivi francesi, che replicano allegramente il modello Macron di ex allievi dell’Ena iperattivi e mai a corto di idee o di piani.  

 

La società civile si è già portata avanti, con un universo di manager italiani e francesi che si muovono quotidianamente in un contesto bilaterale e internazionale. Il Trattato del Quirinale rappresenta quindi un segnale politico estremamente significativo ma che deve essere ulteriormente perfezionato da meccanismi governativi e amministrativi comuni, anche per portare la relazione italo-francese allo stesso livello di quella franco-tedesca: un’ambizione più che legittima per rinnovare la governance europea e rinforzare confronto e convergenza fra i tre maggiori paesi dell’Unione.