(foto Ansa)

Alla Conferenza di Parigi

Draghi e Macron credono nelle elezioni di Natale in Libia

Arianna Poletti

Si voterà in tutto il territorio libico il 24 dicembre, ma la legge elettorale è ancora per aria. Ecco chi minaccia il voto

Tunisi. E’ con l’obiettivo di sostenere il traballante processo elettorale che dovrebbe portare la Libia a dotarsi di un presidente e di un nuovo Parlamento per l’inizio dell’anno nuovo, come stabilito dalla roadmap di Tunisi e di Berlino, che oggi ha preso il via a Parigi la Conferenza internazionale sulla Libia, copresieduta da Italia, Francia, Germania e Libia sotto l’egida delle Nazioni Unite. Alla Maison de la Chimie, un centro congressi non lontano dall’Eliseo, ci sono numerosi attori nazionali e internazionali e tra loro il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, la cancelliera tedesca Angela Merkel e la vicepresidente americana Kamala Harris. Tra i partecipanti, oltre ai membri della conferenza di Berlino, Parigi ha voluto anche i rappresentanti dei paesi confinanti con la Libia come Ciad e Niger, così come quelli di stati non coinvolti nei precedenti round, come il Marocco. Tra gli obiettivi di Parigi c’è una “maggiore stabilità” non solo della Libia, ma di tutta la regione. 

Emmanuel Macron non intende perdere la sua scommessa e afferma fin da subito: le elezioni in Libia si faranno e saranno il 24 dicembre. “Questa è la volontà del popolo libico – ha confermato Draghi – e a dimostrarlo è la registrazione di circa tre milioni di elettori”. A quali condizioni, però, è stato oggetto delle discussioni terminate alle sei di ieri sera e riassunte nella dichiarazione congiunta. Per il presidente francese Macron, si osserva da tempo “una convergenza della comunità internazionale” sulla crisi in Libia, così come “una volontà comune europea”. Anche Draghi ha ribadito che l’Italia “ha sempre sostenuto con forza la necessità di un ruolo importante dell’Ue in Libia”, confermando in conferenza stampa la sua vicinanza al leader francese: “Il riaccostamento delle posizioni tra Italia e Francia riflette il riaccostamento delle posizioni libiche”.

Il documento finale chiede, innanzitutto, lo svolgimento di elezioni “inclusive”, con un primo turno delle presidenziali il 24 dicembre e un secondo in concomitanza con le elezioni parlamentari. Una parte è dedicata al ritiro dei mercenari stranieri, come previsto dall’azione della commissione militare congiunta 5+5. “Trecento mercenari lasceranno il paese nei prossimi giorni, e questo è un inizio. Ringraziamo il Ciad per la collaborazione”, ha annunciato Macron in conferenza stampa. Il documento cita poi la riunificazione effettiva della Banca Centrale libica, e infine la crisi umanitaria con particolare riferimento a quella migratoria. Ma soprattutto, viste le crescenti tensioni tra chi si è scontrato con le armi e presto lo farà alle urne, viene ribadito il mantenimento del cessate il fuoco tra le parti rivali entrato in vigore un anno fa a seguito dell’escalation su Tripoli, il 23 ottobre 2020. Per Draghi, l’attuazione dell’accordo sul cessate il fuoco resta “un obiettivo cardine”. “La sostanziale assenza di conflittualità dell’ultimo anno e la riapertura della strada costiera sono traguardi importanti che non vanno vanificati”, ha dichiarato.  

Per la Libia, che per la prima volta ottiene la co-presidenza come ribadito da Macron, sono atterrati a Parigi il premier Abdulhamid Dabaiba e il presidente del Consiglio presidenziale Mohamed al Menfi. Ad accompagnarli, c’è anche il ministro degli esteri Najla Mangoush, finita al centro delle polemiche negli ultimi giorni dopo esser stata sospesa e poi riammessa nel Consiglio presidenziale, prova delle recenti tensioni interne. A testimonianza invece della vicinanza tra la delegazione italiana e quella libica, c’è l’incontro tra Mario Draghi e Abdulhamid Dabaiba tenutosi presso l’ambasciata d’Italia in mattinata prima dell’inizio della conferenza. Durante i negoziati, proprio la delegazione italiana avrebbe svolto il ruolo di mediazione per il raggiungimento di un compromesso tra quei paesi orientati verso il Governo di Alleanza Nazionale e chi ha sostenuto le forze vicine al maresciallo Haftar (presente a Parigi anche Abdel Fattah al Sisi, suo principale alleato).

A creare ostacoli, invece, resta la Turchia con i suoi mercenari fermi a Tripoli. Erdogan non si è presentato a Parigi ufficialmente a causa della presenza della Grecia, inviando solo il vice ministro degli Esteri. Mancava anche Abdelmadjid Tebboune, presidente dell’Algeria, in piena crisi diplomatica con la Francia. Se la comunità internazionale si dice, per ora, meno polarizzata di un anno fa, in Libia la tensione sale. Sono ancora tante le incognite a un mese e mezzo dal primo turno delle presidenziali. I primi candidati hanno iniziato a registrarsi (possono farlo fino al 22 novembre), e tra loro compaiono nomi destinati a creare conflitto, come quello dell’ex ministro dell’interno di Misurata, Fathi Bachagha, e quelli (probabili) del figlio dell’ex dittatore Saif al Islam Gheddafi e del maresciallo Khalifa Haftar. Intanto, però, la legge elettorale promulgata dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk (Est), che sembra favorire la candidatura di Haftar, non piace al premier Dabaiba, tornato da poco proprio dalla Turchia. L’articolo 12 impedisce infatti a chi non ha abbandonato la propria carica pubblica o militare tre mesi prima delle elezioni di candidarsi, escludendo così il probabile favorito dalle elezioni. Per Draghi, la legge elettorale “deve essere elaborata con l’accordo di tutti”.

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